Lazio-Roma e quell'Olimpico mezzo vuoto secondo Luca Di Bartolomei
Riflessioni a tutto campo con il figlio dell'indimenticato Agostino sull'ennesimo derby a curve deserte e senza il calore della folla
Il derby di Roma senza pubblico? "Un muro contro muro che non risponde a logiche sportive". Pallotta? "Non si deve cedere ai ricatti, soprattutto quando sono violenti". A parlare alla vigilia di un Lazio-Roma che avrà come cornice uno Stadio Olimpico semivuoto è Luca Di Bartolomei, figlio dell’indimenticato capitano giallorosso Agostino.
Uno che non si nasconde davanti alla complessità della guerra in atto intorno al calcio romano: "Ma lo Stato non può accettare cessioni di sovranità sulle curve. Gabrielli? Il prefetto di Roma ha ragione e parla con coerenza". Il colloquio che ne esce regala uno spaccato della lotta in corso intorno ai settori popolari dell’Olimpico. Con una conclusione amara: "A parlarne siamo in pochi". Ma non è una sorpresa.
Di Bartolomei, che effetto fa un derby di Roma senza pubblico?
"E' sconfortante, fa male al calcio e a tutto il sistema, perché vedere l'Olimpico vuoto per un derby fa riflettere tutti".
E' anche difficile da spiegare. Impossibile ad esempio giustificarlo con motivazioni sportive...
"Il muro contro muro è diventato solo una prova muscolare tra le due tifoserie e le forze dell’ordine con logiche di altro genere. Sono temi su cui non possiamo permetterci di puntare la luce a fasi alterne. Le curve degli stadi sono diventate qualcosa di diverso, con al loro interno persone perbene e minoranze di criminali che dettano legge".
Ha quindi ragione il prefetto di Roma, Franco Gabrielli?
"Non ho problemi a dire che ha ragione lui. Mi pare che abbia parlato con chiarezza: se le regole saranno rispettate, le barriere spariranno. Ma bisogna anche dire che è la prima volta che c’è una contrapposizione così dura e noi non possiamo più consentire che le cose vadano avanti così. Non si può accettare che nel 2016 per andare allo stadio si debba rischiare anche semplicemente di restare turbati dal punto di vista psicologico".
Non è quindi solo questione di violenza fisica.
"No. Ci sono cori che possono essere goliardici, ma quando si insulta un ragazzo per il colore della sua pelle o si fanno striscioni contro la madre di un tifoso morto, si va oltre qualsiasi logica".
Per aver detto cose simili Pallotta si è fatto terra bruciata attorno: lo sa, vero?
"E' capitato anche a me nel tempo, ma non importa. Le battaglie si combattono anche prendendosi qualche insulto".
Anche a costo di trovarsi uno stadio vuoto, perdere soldi e sottostare a un ricatto?
"Credo di sì. Non si deve cedere ai ricatti, a maggior ragione se sono violenti. Guai ad arrendersi se vogliamo lasciare qualcosa di meglio per le prossime generazioni: un calcio diverso, più umano e più vicino a certi valori. Solo in questo modo saranno i tifosi stessi a selezionare i propri comportamenti e a rendere il calcio e lo sport anche un business. Posso farle un esempio?".
Certamente...
"Ci sono paesi in cui chi esagera in campo poi è quasi obbligato a chiedere scusa per non perdere consenso e mercato. Da noi le cose vanno diversamente: siamo attaccati ai diritti Tv e alle compravendite sul calciomercato con effetti a volte distorsivi, come la vicenda Parma ha mostrato un anno fa".
A Roma si è tollerato troppo intorno e dentro le curve dell’Olimpico?
"Sicuramente con Gabrielli c’è stato un grande cambio nella gestione della sicurezza dentro e fuori lo stadio. Prima non andava bene ed era evidente, ma la questione non è solo romana e non bisogna rifugiarsi nell’idea che anni fa le cose fossero migliori perché è assolutamente falso. A Roma come altrove".
A Roma, però, è difficile parlare di queste cose: c’è sempre la sensazione di avere a che fare con ambienti protetti anche dalla politica... Lei come la vede?
"Roma ha la sua particolarità, essendo il luogo delle istituzioni. La vicinanza di esponenti della sinistra radicale o della destra post-fascista con le curve, per poi dividersi i voti secondo convenienza, è uno spettacolo cui assistiamo anche oggi e che avvelena il clima dentro le tifoserie. Sono stati fatti entrare i mercanti nel tempio e da questa situazione è difficile uscire".
Obiezione: l’Olimpico lo disertano in tanti, non solo il gruppo di ultrà più estremi.
"Gli stadi italiani sono vecchi, precari e inospitali. Disincentivano la gente, che si sta abituando sempre più a restare a casa davanti alla televisione. Ma è anche stata la politica perseguita agli inizi di questo millennio".
E’ un problema di accoglienza degli stadi, ma anche la conferma che i capi-curva sono in grado di condizionare il comportamento degli altri?
"Assolutamente. Si fanno grandi sulle spalle degli altri, figure di cartapesta che danno consistenza a fenomeni altrimenti circoscritti, come dimostrano anche i dati della Questura".
Come andrà a finire questa vicenda: chi cederà per primo nel muro contro muro?
"Deve andare a finire con il ritorno della gente allo stadio, meglio se con qualche presenza in meno. Il derby di Roma deve avere come cornice l’Olimpico pieno e vedo coerenza in quello che dice Gabrielli quando spiega che rispettando le regole verranno tolte le barriere".
Il cuore della guerra è il possesso di un territorio, quello delle curve...
"Lo Stato e noi tifosi e cittadini non possiamo accettare che lo stadio sia un luogo terzo, che non segue le regole della comunità in cui viviamo. Non ci può essere cessione di sovranità".
Se oggi qualcuno la rivendica così con forza, è però perché in passato l’ha avuta, non trova?
"Dove c’è un vuoto, questo vuoto si riempe. Negli anni Settanta e Ottanta nelle curve c’era la violenza di matrice politica, poi è arrivata la delinquenza organizzata e abbiamo visto fenomeni di spaccio, prostituzione e altro. Abbiamo ceduto pezzi di sovranità a persone che le indagini hanno dimostrato essere legati alla criminalità organizzata. Ma sa cosa mi spiace maggiormente? Che questa affermazione siamo in pochi ad averla fatta in tutti questi anni. In tanti si affannano a parlare quando c’è una vittoria o una polemica sportiva qualsiasi, ma su questo tema c’è silenzio".
Perché, a suo avviso?
"Perché fanno voti, potere e un pezzo d’economia. Ma l’idea di turarmi il naso non mi è mai piaciuta, forse perché un pezzo della vita della mia famiglia si è svolta lì dentro, in uno stadio. Questa gente non mi ha mai fatto paura, probabilmente perché non ho nulla da spartire con loro".
Altri invece hanno molto da perdere?
"Non so chi, però quando c’è da prendere posizione su questi temi siamo sempre in pochi. Guai a lasciar perdere se si vogliono creare le condizioni perché si possa tornare allo stadio in maniera normale. O decidiamo di comportarci da professionisti, oppure restiamo un’allegra combriccola governata non si capisce da chi".