Il Victoria and Albert Museum di Londra accoglie una delle esposizioni più attese dell’anno: la prima grande retrospettiva britannica in quasi 30 anni dedicata a Cartier, celebre Maison francese che ha ridefinito l’arte della gioielleria e dell’orologeria nel corso del XX e XXI secolo.
Intitolata semplicemente Cartier, la mostra rappresenta un viaggio immersivo e articolato nella storia di una delle firme più influenti del lusso globale, mettendo in luce la sua eccezionale eredità in termini di design, artigianato e visione imprenditoriale. Con oltre 350 pezzi esposti, l’allestimento si presenta monumentale e raffinato, animato da prestiti prestigiosi provenienti da collezioni pubbliche e private, incluse quelle della famiglia reale britannica.
Al centro dell’esposizione vi è l’ambizione dei fratelli Louis, Pierre e Jacques Cartier, nipoti del fondatore Louis-François, i quali, all’inizio del Novecento, trasformarono l’atelier parigino del nonno in un marchio di risonanza planetaria. L’apertura della mostra è dedicata proprio a loro, mettendo in scena il celebre Manchester Tiara (1903), emblema precoce delle aspirazioni cosmopolite della Maison. Questo sontuoso diadema fu realizzato in Francia per un’americana sposata a un aristocratico inglese, a testimonianza di una visione che già allora trascendeva i confini nazionali, anticipando la futura espansione con sedi a Londra e New York.
La narrazione prosegue poi attraverso tre sezioni principali, ciascuna dedicata a un aspetto fondante della grandezza di Cartier: la creatività, la maestria tecnica e il controllo dell’immagine. Il primo segmento esplora l’evoluzione dello stile della Maison, partendo dall’estetica del Garland Style — leggera, romantica e ispirata alle arti decorative francesi del XVIII secolo — fino alla progressiva affermazione di un linguaggio visivo inconfondibile, fatto di linee pure, contrasti cromatici audaci e armonie architettoniche. In questa sezione emergono gioielli iconici come la spilla geometrica del 1925, con corallo arancio ed ematite verde, e un raffinato fermaglio in diamanti del 1941, sintesi di semplicità monocromatica e rigore formale.
L’eccezionalità di Cartier risiede anche nella capacità di instaurare rapporti profondi con clienti influenti, da cui spesso scaturivano creazioni uniche. Emblematica, in tal senso, la Williamson Diamond Brooch, realizzata nel 1953 per Elisabetta II, con un rarissimo diamante rosa da 23,6 carati: un’opera che non è solo oggetto di lusso, ma custode di una memoria storica e affettiva. Accanto a essa, la Rose Clip Brooch appartenuta alla Principessa Margaret, e la spettacolare collana cerimoniale del Maharaja di Patiala, testimoniano la trasversalità culturale di una Maison capace di fondere tradizione indiana e modernismo europeo.
La seconda sezione della mostra si concentra sulle officine Cartier, cuore pulsante di un sapere tecnico tramandato e perfezionato nel tempo. È qui che l’arte incontra la scienza, come afferma il designer dell’allestimento Asif Khan, che ha concepito la scenografia come un «paesaggio onirico» sospeso tra luce, tempo e suono. Ogni gioiello diventa così un microcosmo, un capolavoro di ingegneria orafa: dai primi orologi con motivi pantera — introdotti già nel 1914 — al celebre bracciale in pavé di diamanti del 1978, fino all’audace collier serpente commissionato dall’attrice María Félix nel 1968, ogni oggetto svela la sinergia tra estetica e innovazione. Di particolare rilievo, inoltre, è la sezione dedicata alle pietre preziose, che documenta l’accesso privilegiato di Cartier a gemme straordinarie grazie ai viaggi di Jacques Cartier in India, Sri Lanka e Medio Oriente. Il collier in giada appartenuto a Barbara Hutton e la spilla Allnatt con diamante giallo da 101 carati rappresentano apici insuperabili di lusso e raffinatezza.
L’ultima sezione dell’esposizione indaga la strategia di costruzione dell’immagine del marchio. Fin dagli inizi del Novecento, Cartier seppe imporsi come sinonimo di gusto, modernità e distinzione. Partecipando a mostre internazionali, collaborando con il mondo della moda e prestando le proprie creazioni a eventi mondani, Cartier consolidò un’identità visiva potente e riconoscibile. Questo processo si rafforza nel tempo, passando dai reali alle icone del cinema e della musica: basti pensare all’anello di fidanzamento in diamanti indossato da Grace Kelly nel film Alta Società (1956), o alla Scroll Tiara, apparsa sul capo di Rihanna sulla copertina di W Magazine.
Il gran finale della mostra è affidato a un trionfale allestimento di tiare, simboli supremi di status e maestria orafa. Tra le più spettacolari si segnalano la Opal Tiara di Mary Cavendish, la tiara in stile Garland del 1902 e il modello Art Déco in platino e diamanti ispirato all’antico Egitto, indossato da Begum Aga Khan III. Queste opere, che un tempo decoravano le teste delle élite europee nelle grandi occasioni sociali, oggi sopravvivono come reliquie preziose di un’epoca, capaci ancora di esercitare fascino e ispirazione.
Concepita dai curatori Helen Molesworth e Rachel Garrahan, la mostra al V&A non si limita a celebrare il passato di Cartier, ma ne dimostra la capacità di reinventarsi, di rimanere al centro della cultura e della creatività per oltre un secolo.