Maria Lai, con le sue opere, ha tenuto in mano i fili del mondo
(Giorgio Dettori)
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Maria Lai, con le sue opere, ha tenuto in mano i fili del mondo

Attraverso opere fatte con stoffe, corde, collage, l’artista sarda ha raccontato i legami più profondi. Una sua «fiaba» del 1987, che ora viene ripubblicata, ne esprime la creatività intensa, di immediata poesia

sce una «fiaba di tessuto» di Maria Lai, Tenendo per mano l’ombra (Five Continents). È una riproduzione su carta dell’originale che era composto da pagine di stoffa cucite insieme e collage di tessuti tinti, su cui l’artista ha ricamato figure geometriche, fili e altri materiali. E questa bella edizione offre il motivo per ripensare l’intero lavoro dell’artista sarda, dalla dimensione domestica del tessere alla Land art. La sua storia e la sua persona rappresentano un simbolo di emancipazione femminile trasformando quel che sarebbe dovuto essere l’ordinario (come il lavoro al telaio o in cucina) nella sua arte, per evitare un futuro già stabilito. Parlando della sua vita la Lai ha scritto: «Io fin da bambina avevo sempre bisogno di sfuggire di casa e mi si guardava con un’interrogazione: “Non ti amiamo abbastanza? Perché stai sempre lontana”. Io amavo molto stare sola, nascosta, e mi dicevano: “Ma cosa fai?”. E io ascoltavo il silenzio. Mi sembrava bellissimo. Però naturalmente mi sentivo diversa, mi sentivo sempre un po’ accusata, mi pareva di tradire sempre chi mi amava. E sempre ho avuto il bisogno di creare distanze tra chi mi ama e me. Il vero amore è quello che mi dava mio padre aiutandomi a essere libera anche essendo preoccupatissimo per me». In una mirabile definizione delle proprie opere ha scritto poi: «I nastri sono il simbolo dell’arte, sono leggeri, effimeri, sono appena di un colore, non servono a nulla».

L’opera forse più completa di questa sua espressione artistica fu Legarsi alla montagna, un evento a cui partecipò l’intera comunità di Ulassai, in provincia di Nuoro, in un giorno simbolico di resa come l’8 settembre, ma era il 1981. L’operazione materiale durò tre giorni, e fu impiegato un nastro azzurro lungo 27 chilometri. Il primo giorno venne tagliato, il secondo fu distribuito e il terzo fu legato fra porte, finestre e terrazze di case, ridisegnando così le relazioni vecchie e nuove fra donne, bambini, pastori e anziani. Fu una festa senza precedenti. Alla fine delle manovre, scalatori esperti legarono il nastro al Monte Gedili, la montagna più alta sopra il paese, luogo emblematico per la sopravvivenza che nella memoria popolare era stato anche portatore di morte. La giornata fu documentata dal fotografo Gianni Berengo Gardin, oltre che da Tonino Casula, che realizzò un documentario sull’impresa, fino a oggi unica. Qualche giorno dopo infatti, nella rubrica d’informazione del telegiornale quotidiano, la televisione nazionale ne dava notizia come una particolare festa di paese, i rappresentanti ufficiali dell’arte nazionale la definirono puro folclore, e solo Filiberto Menna ne capì sin dall’inizio il valore profondo e ne scrisse così: «Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si è realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi prestigiosi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di sì: qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto. Ma c’è voluta la capacità di ascolto di Maria Lai che ha saputo restituire la parola a un intero paese e rendersi partecipe della memoria e dei fantasmi della gente comune, aiutandola a liberarsi della parte distruttiva di sé e ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà».

Tuttavia su Legarsi alla montagna cadde il silenzio per oltre vent’anni, e solo nel nuovo millennio maturò la consapevolezza che quel giorno Maria Lai aveva inventato la prima opera di Arte relazionale, rendendo il pubblico partecipe della costruzione e della definizione dell’opera stessa. Ormai ristabilita nel suo paese d’origine, dopo anni di peregrinazioni, nel 1979 Maria Lai fu chiamata dal sindaco di Ulassai Antioco Podda per realizzare un monumento ai Caduti in guerra, ma l’artista rifiutò. Per un anno e mezzo il Consiglio comunale e un gruppo di cittadini guidati dall’insegnante Alberto Cannas discussero allora l’idea di un’opera per il presente, come fu suggerito dall’artista. La maturazione della performance fu molto lunga. Fin da subito i popolani non condividevano le proposte e si rifiutarono di collaborare. Le idee della Lai, infatti, riaccesero antichi rancori... In seguito, l’artista confessò che le donne furono le prime a lasciarsi coinvolgere. «Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto nel rispetto delle parti, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era un legame d’amore veniva fatto un fiocco e al nastro legati anche dei pani tipici detti su pani pintau».Reinterpretando l’antica leggenda del paese, Sa Rutta de is’antigus, cioè La grotta degli antichi, Maria Lai trovava ispirazione in un fatto realmente accaduto ad Ulassai nel 1861, quando crollò un costone della montagna travolgendo un’abitazione. Morirono tre bambine, ma una riuscì a salvarsi e aveva in mano proprio un nastro celeste. I popolani considerarono il fatto un miracolo divino e ne conservarono il ricordo, tramandando di generazione in generazione: per inseguire un filo azzurro che volava in cielo tra i fulmini, una bambina esce della grotta poco prima del crollo.

Quando Maria Lai concepiva Legarsi alla montagna, aveva avuto il suo primo, importante riconoscimento alla Biennale veneziana del 1978. Ma il clima culturale stava già cambiando, lo sperimentalismo avanguardistico degli anni Settanta che aveva invaso piazze e città, lasciava il posto a un nuovo ritorno all’ordine. Contro la smaterializzazione dell’arte, ridotta a concetti minimalisti, fotografie e parole, i giovani artisti recuperavano la manualità, i valori tattili e visivi del colore, lo spazio dello studio, i pennelli, ma soprattutto l’intimità del creare. La Lai non aveva mai lasciato tutto questo, lo portava con sé nella costanza della sua esperienza creativa. Per questo è stata capace di anticipare i decenni successivi. In Legarsi alla montagna infatti, c’è la consapevolezza del valore terapeutico dell’arte, c’è la conoscenza profonda che questa è uno strumento per stringere legami e per riflettere sull’uomo e sul mondo. L’artista aveva fatto emergere e ampliato tutti i significati dell’essere comunità e del vivere insieme, un’operazione artistica molto politica la sua, stimolata da una bambina capace di salvarsi perché in grado di vedere nuovi mondi e modi di pensare. Come Maria Lai ha fatto in tutta la sua opera.

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