Claudio Martelli, “merito, bisogno e… tumulto”: quarant’anni dopo
Quarantadue anni dopo Claudio Martelli dà alle stampe “Il merito, il bisogno e il grande tumulto” (La Nave di Teseo), confrontandosi con un “paesaggio sociale” rimasto praticamente intatto
La Prima conferenza programmatica del Partito socialista italiano, svoltasi tra il 31 marzo e il 4 aprile del 1982 a Rimini per discutere di come “governare il cambiamento”, fu un avvenimento epocale nella storia del partito. Al tavolo dei relatori si alternarono alcune delle personalità di maggior spicco, tra cui Massimo Severo Giannini e Riccardo Lombardi, Federico Mancini e Claudio Signorile, Enzo Cheli e Gianni De Michelis, Rino Formica e Franco Reviglio, Valdo Spini e Gianni Baget Bozzo, Gino Giugni e Carlo Ripa di Meana, Giorgio Ruffolo, Francesco Forte e Giorgio Benvenuto. Claudio Martelli, allora 38enne, con la sua relazione “Un’alleanza riformista fra il merito e il bisogno, disegnò un nuovo manifesto del moderno riformismo socialista incentrato su temi come lavoro, scuola, ruolo della politica in Italia: e fu proprio in quell’occasione che il giovane vice segretario del PSI condensò la sua visione innovativa nella formula de “Il merito e il bisogno”, grazie alla quale il riscatto sociale e la valorizzazione delle singole capacità personali entrarono nel vivo del dibattito del partito, suscitando un clima di attesa, di slancio emotivo, di commozione.
Quarantadue anni dopo Claudio Martelli dà alle stampe “Il merito, il bisogno e il grande tumulto” (La Nave di Teseo), confrontandosi con un “paesaggio sociale” rimasto praticamente intatto, con le priorità di allora più attuali che mai: “merito e bisogno” sono diventati cartine di tornasole, come evidenziano le migliaia di abbandoni di giovani laureati che lasciano l’Italia alla volta di altri paesi che offrono loro maggiori opportunità e, contemporaneamente, quasi sei milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta.
Deputato ed europarlamentare, vicepresidente del Consiglio dei ministri e, soprattutto, Ministro di Grazia e Giustizia tra il febbraio del 1991 e il febbraio del 1993, Claudio Martelli si legherà a Giovanni Falcone in quell’ anno e mezzo a dir poco drammatico della nostra recente storia repubblicana (“Nello stesso giorno in cui fui nominato ministro della Giustizia lo chiamai e gli affidai l’incarico più importante del ministero, quello di direttore degli Affari Penali. Insieme, abbiamo pensato e organizzato la più organica, determinata ed efficace strategia di contrasto a Cosa Nostra”, ricorderà nel suo “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone (La Nave di Teseo, 2022).
Onorevole, torniamo a quella conferenza programmatica di Rimini del 1982, quando lei parlò di scuola, ruolo della politica, bisogni…
«Onestamente, ambivo a parlare anche al di là dei confini del partito, stanco di dibattiti tra -ismi: socialismo, comunismo, liberalismo, democrazia e quant'altro. A sinistra, poi, i dibattiti ruotavano tutti attorno al marxismo e alla sua pretesa scientificità quando la parte ancora vitale era quella umanista e utopista».
Lo slancio ideale di quel suo discorso fu formativo.
«Non ne potevo più di tutti quegli “-ismi”, di tutte quelle discussioni “ideologiche”, cercavo un nuovo fondamento, un nuovo punto di partenza per una visione politica aggiornata in presa diretta sulla realtà. E dove cercare questo nuovo fondamento se non nella natura umana? Ciascuno di noi è fatto di bisogni: nasciamo col bisogno, quello della madre che dopo averci nutrito in grembo ci allatta, ci accudisce, ci fa crescere…».
In questo suo ultimo saggio lei va alle radici della vicenda politica, entra nella carne viva...
«Non potrebbe essere diversamente, visto che si tratta di bisogni che segnano la nostra natura umana: quelli elementari come il cibo per nutrirci e un tetto per ripararci. Basta poco per capire che noi non siamo individui isolati, nasciamo parte di una società naturale che è la famiglia, per poi entrare nella dimensione sociale in cui collaboriamo, competiamo».
Non dimentichiamo che elaborava queste riflessioni nel momento storico in cui, invece, le forze liberiste prendevano la guida di Paesi occidentali importanti.
«La signora Thatcher aveva vinto le elezioni nel Regno Unito nel 1979, seguita a poca distanza, nel 1980, da Ronald Reagan negli Stati Uniti: entrambi erano collocati su una piattaforma liberista e individualista, diciamo pure antisocialista. Naturalmente quando si parla di socialismo, in America, il concetto viene sempre riferito al socialismo sovietico, più che alla social-democrazia: anch'io sono contro il socialismo sovietico, cioè il comunismo di Lenin e Stalin e penso, invece, che il socialismo democratico abbia creato parte della nostra civiltà grazie allo stato sociale ed alla fiscalità progressiva».
Colpisce all’inizio del libro una citazione di Norberto Bobbio.
«Socialismo come felicità? Tutti la vogliono perché ognuno la può sfoggiare secondo i propri desideri. Molto bella, molto liberale come definizione. Naturalmente c'è un filo di ironia, perché rimane un concetto spesso indeterminato. Personalmente mi sono sempre occupato di socialismo “determinato”, un socialismo democratico e liberale, che risarcisce i bisogni e premia i meriti».
Onorevole, com’è cambiato il paesaggio sociale del 1982 che la spinse a pronunciare quel discorso?
«Il mondo è cambiato, ha vinto il neoliberismo emerso come reazione alla stagnazione di quel periodo. Gli anni ’80 sono quelli di Reagan e Gorbaciov: per il primo, “lo Stato” era il problema, non la soluzione. Il secondo fu costretto a dichiarare che in Urss non funzionava niente: non le fabbriche, non gli uffici, non le forze armate, niente. La “Guerra fredda” finisce così: l’URSS si spegne e gli USA restano l’unica potenza in campo».
E allora oggi come stanno le cose?
«Abbiamo assistito a 40 anni di neoliberismo che è stato sviluppato e anche aggravato nei suoi connotati dalla “globalizzazione”. Certo, abbiamo vinto sull’ “Impero del male”, ma l’Urss crollò su sé stessa senza che fosse stato sparato un sol colpo di fucile, e oggi l’impero del male è tornato con Putin».
Affronta anche il tema dello statalismo.
«Il modello sovietico era crollato sotto il peso di uno statalismo eccessivo: uno Stato “impiccione”, come si diceva in Italia, uno Stato Provvidenza -l’Etat-providence- come dicono i francesi, il welfare State per dirla con gli anglosassoni. Noi socialisti eravamo perfettamente consapevoli dell’ipertrofia dello Stato e io la denunciai proprio nel discorso del 1982. Nel libro di oggi torno a parlarne osservando anche le conseguenze del turbo capitalismo intuite da Giulio Tremonti».
Cita anche Adam Smith.
«Il fondatore dell'economia classica ammoniva: “Non ho mai visto fare qualcosa di buono da chi pretendeva di commerciare per il bene comune”. E’ la voglia di arricchimento di tanti individui liberi che produce con la somma dei profitti individuali anche il bene comune, ovvero ciò che Smith chiamava la ricchezza delle Nazioni».
E sul “nazionalismo”, la più antica di tutte le ideologie?
«Tra quelle che si sono sviluppate nell’Ottocento il nazionalismo è probabilmente precedente: se si legge la storia moderna dei paesi europei e la spinta a formarsi delle Nazioni e poi degli Stati, risaliamo addirittura al Medioevo, età in cui marcata era la divisione in tanti staterelli. Così marcata da impedire, che sorgesse una grande potenza italiana». Con il nazionalismo siamo tornati a una competizione economica mondiale. «Certo, ci sono ancora le istituzioni create a metà Novecento: le Nazioni Unite piuttosto che l'Unione Europea o il Fondo monetario. L’Occidente esercita un’egemonia “contrastata”, ieri dall’Unione Sovietica sul piano militare, oggi -su un piano minore- dalla Russia di Putin».
Poi c’è la nuova Cina.
«In Cina vige la “regola del 996”: si lavora dalle nove alle nove (le 21.00, nda) per sei giorni alla settimana. Poi si aggiungono gli straordinari non pagati e in molte fabbriche i lavoratori dormono in azienda per non perdere tempo coi trasporti e massimizzare i profitti. Milioni di lavoratori cinesi vivono come gli schiavi del tempo antico. Dispotismo politico e capitalismo economico: questa è la Cina contemporanea».
Le Nazioni si sono scontrate, anche quando non c'era il capitalismo...
«La guerra è una costante della storia dell'umanità. Come la democrazia è un’eccezione, e così è anche la pace. A parole noi vogliamo difendere proprio queste nostre eccezionalità. Mi chiedo quali rinunce siamo pronti a affrontare e fino a che punto siamo disposti a farlo…».
A proposito di guerra: con gli americani la diatriba è perenne…
«Hanno inventato una distinzione divertente: considerano loro stessi figli di Marte e noi europei figli di Venere. Loro non temono la guerra, noi vogliamo pace…».
Tornando a questi 40 anni: la società di oggi è più giusta di quella del 1982?
«L'impressione è che sia meno giusta. Da tempo si è fermato l’ascensore sociale che era la grande ambizione del nostro socialismo liberale. Oggi è più difficile per la maggioranza degli individui farsi strada nella vita e persino poter disporre di un’istruzione adeguata, di effettiva assistenza sanitaria, di sicurezza sul lavoro e per i giovani di previdenza nella vecchiaia».