La mensa Lavazza, un modello da seguire per scuole, ospedali, aziende
Servire pranzi di qualità, l'esatto contrario di quanto accade nel 99,9% delle mense aziendali italiane. La storica azienda torinese lancia un modello vincente e replicabile
La storia di Lavazza è cominciata nel 1895; percorso virtuoso e di successo che sembra non voler conoscere la parola fine, come una strada fatta per andare sempre e solo in avanti. Da tutti i punti di vista.
L’ultimo passo, balzato alle cronache, riguarda qualcosa che con il caffè ha forse poco a che fare: è la mensa di Lavazza che ha acceso i fuochi a marzo 2023.
Siamo a Torino, all’interno del complesso Nuvola, il loro Head Quarter (amati inglesismi!), tra il Museo e gli uffici.
In quel posto si vede tutta “la profondità delle radici che uniscono Lavazza al proprio territorio di appartenenza… ancor più nella volontà di condividere lo schema di trasformazione della realtà urbana di Torino con un importante investimento relativo al proprio centro direzionale, mediante un progetto architettonico destinato a migliorare la qualità dell’ambiente del quartiere in cui sta per sorgere e in cui Lavazza è integrata da tempo” così scriveva, praticamente nel 2013 il duo Berta/Merlo.
La mensa ha un nome: Bistrot La Centrale ed è aperta a tutti i collaboratori del Gruppo ma soprattutto è aperto alla Città, alla gente comune. Alla base una nuova idea di ristorazione aziendale e collettiva che fa qualità e non perde di vista la sostenibilità. E ha anche una guida: Federico Zanasi, il maestro, lo chef del Ristorante Condividere * Stella Michelin che si trova allo stesso indirizzo, ma alla porta accanto. E mentre aspettiamo che la guida rossa si accorga del valore di quel posto e della bravura di quella squadra e lo faccia giocare nel campionato che più gli compete, tirandolo fuori dalla mischia, siamo andati a vedere che aria tira nelle cucine del bistrot, affidate a Steve Caruso, ex sous chef di Zanasi che con lui aprì il ristorante gastronomico nel 2018, progettato da Dante Ferretti, sotto lo sguardo paterno di un altro maestro, Ferran Adrià.
La mensa, continuerò a chiamarla così per immediatezza di senso, è stata progettata in collaborazione con CZA (Cino Zucchi Architetti)-RGA per gli interni ed è nata nell'ex centrale Enel. È suddivisa su tre livelli: il piano terra, ospita le casse e le macchinette per il caffè; al primo piano troviamo la cucina principale, la sala per 140 coperti, 3 isole, i servizi igienici e 4 sale riservate, pensate per essere flessibili. Il piano soppalco comprende una seconda sala open space che può ospitare fino a 140 coperti.
È un bistrot ma all’interno ospita in pratica tre ristoranti, ognuno con il proprio nome e il proprio menu. Isole dalle quali pescare anche solo una proposta, in grado di assecondare gusti ed esigenze di tutti.
La prima isola si chiama Murisengo, prende il nome dal comune del basso Monferrato dove nasce Luigi Lavazza nel 1859, da una famiglia di contadini. L’isola dedicata alla tradizione e alla storicità italiana. Paste al forno, secondi di carne o di pesce e contorni caldi.
Poi c’è Tierra l’isola che rappresenta il DNA di Lavazza e la sua attenzione alla cura dell’ambiente e al benessere sociale. ¡Tierra! è il progetto che coinvolge i paesi produttori del caffè e dal 2002 è declinazione della sostenibilità per il gruppo torinese. È qui che si trovano le proposte più leggere: zuppe, centrifugati e ogni giorno diverse insalate.
L’ultima isola che completa l’offerta si chiama Via San Tommaso 10, corrisponde all’indirizzo della drogheria dove, a Torino, Luigi Lavazza nel 1895 diede il via a tutto. Storia e sapori. È l’isola della pizza e della preparazione a vista di primi piatti di pasta e secondi di carne o di pesce.
Ai dipendenti ovviamente è riservato un prezzo di favore (favorissimo!), agli esterni tutto è alla portata di mano e di portafoglio: un piatto di lasagne costa 6,80 €, un’insalata pantesca 6,50 €, una vellutata di carote e zenzero 5,50 €, la macedonia 3,50 €. È una mensa, ovviamente, nonostante alcune meraviglie che troverete in carta come il Flan di vaniglia della @bodega1900. Amata Spagna, benedetto tu sia Adrià. Bodega 1900 era la sua linea prêt-à-porter, la mamma di Las Tapas Ricas, lo spin-off di Condividere, che ti portava a Barcellona quando non potevi uscire di casa, a causa della pandemia. Che giro immenso. Come gli amori che cantava Venditti.
Tutta questa roba la chiamano soft economy, nel libro se ne parla a pagina 15: “Lavazza viene dall’Italia e da Torino, la città con cui ha riconfermato i propri legami, ma con l’orgoglio di offrire al mondo quel che di più valido c’è in quello stile, in quel senso di appartenenza che combina il passato con una prospettiva per il futuro, la rivoluzione industriale e la soft economy di oggi. Questo matrimonio può essere celebrato perché si sta compiendo un passaggio di fase della trasformazione industriale in cui spicca il denominatore della qualità”.
E fare qualità vuol dire pensare al bene della propria gente e dei propri collaboratori: “La comunanza di traguardi dei singoli dipendenti e dell’impresa e la perorazione della disponibilità di tutti a fare qualcosa di più del proprio dovere, denunciavano l’esigenza di mantenere viva nei vecchi e di indurre nei nuovi l’identificazione con l’impresa e il conseguente spirito di sacrificio e di disciplina”.
Era il 2014 quando quelle parole furono messe nero su bianco. Sono passati dieci anni e i frutti li raccogliamo oggi. Non erano tenuti a rendere un ambiente di lavoro così sano, attento, proattivo. No, non erano tenuti. Speriamo che siano però d’esempio a chi nelle scuole e nei presidi ospedalieri non ha ancora capito come far da mangiare in modo sano e completo la nostra Gente.