La moda è in crisi, ormai è un dato di fatto. Già a marzo, Federazione Moda Italia-Confcommercio aveva denunciato un trend allarmante: 18 negozi di abbigliamento chiusi ogni giorno dall’inizio dell’anno. Una realtà economica preoccupante che, già nel 2024, aveva segnato un calo del 4,2% rispetto all’anno precedente, con oltre 6000 attività commerciali chiuse.
I dati più preoccupanti arrivano ora dai bilanci dei grandi gruppi del lusso. Il colosso francese Kering, proprietario di Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, McQueen, Saint Laurent, Brioni, Pomellato e Ginori 1735, ha annunciato un calo del 12% dei ricavi, pari a 17,2 miliardi di euro. Tra i marchi in sofferenza spicca Gucci, che ha registrato un -21% a cambi comparabili.
Nonostante le rassicurazioni del presidente e CEO François-Henri Pinault, l’improvvisa nomina di Demna Gvasalia come nuovo Direttore Creativo ha causato un calo immediato del 10% del titolo in Borsa.
Anche LVMH, altro colosso francese, ha chiuso il primo trimestre 2025 con un fatturato di 20,3 miliardi di euro, segnando un calo del 3%, con conseguente perdita dell’8% in Borsa.
Un altro segnale della crisi è la vendita della maison Versace da parte di Capri Holdings al gruppo Prada per 1,25 miliardi di euro. Valentino, con Alessandro Michele appena nominato Direttore Creativo, ha registrato ricavi in calo del 3% nel 2024.
Da Londra, il British Fashion Council ha cancellato l’edizione di giugno 2025 della London Fashion Week Menswear, spostando i giovani brand a Parigi nel nuovo spazio London Show Rooms. Ufficialmente, per offrire maggiore visibilità, ma la realtà è che la piattaforma britannica aveva perso sempre più interesse e appeal economico.
Perché il sistema è in crisi?
L’attuale crisi economica globale e l’instabilità geopolitica minano la fiducia e il potere d’acquisto dei consumatori, mentre il costo della vita continua ad aumentare.
Contemporaneamente, il sistema moda appare confuso e caotico, guidato da strategie di marketing veloci e spesso incomprensibili, con l’obiettivo di massimizzare i profitti nel breve termine. Il risultato è un susseguirsi di nomine creative e amministrative che destabilizzano le aziende: creativi che durano una collezione, CEO che raramente vedono la seconda.
La storia della moda insegna che identità stilistica e successo economico si costruiscono con tempo e coerenza. Lo dimostrano esempi virtuosi come Prada, Hermès e il gruppo Armani, fedeli al proprio DNA e lontani da rivoluzioni destabilizzanti.
A peggiorare il quadro, arrivano ora i nuovi dazi imposti da Donald Trump, che alzeranno ulteriormente il prezzo finale dei prodotti. Sul web e sui social, le polemiche sono già iniziate: come giustificheranno le maison di lusso un ulteriore incremento dei prezzi?