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C’è moda e moda (e non tutta va bene)

C’è moda e moda (e non tutta va bene)

Stop nelle vendite, aziende costrette a chiudere, licenziamenti… In questo comparto produttivo di punta, in particolare per l’export, emergono due tendenze opposte. I grandi marchi mettono a segno buoni risultati, mentre le imprese più piccole e diffuse sul territorio faticano a stare su un mercato dominato dagli acquisti on line.


C’ è moda e moda… Da una parte Forbes, che incorona nel 2024, ancora una volta, Bernard Arnault come l’uomo più ricco del mondo – possiede 72 marchi del lusso estremo riuniti sotto la sigla LVMH: dagli champagne Veuve Cliquot a Christian Dior passando per Bulgari e Tiffany – e il suo socio italiano Diego Della Valle che avvia il gruppo Tod’s, in crescita esponenziale di fatturato, a una felice uscita dal listino di Borsa. Dall’altra, però, nella marchigiana Casette d’Ete, dove appunto opera il brand Della Valle, c’è chi nello stesso settore soffre di una crisi profondissima. Ancora: se Patrizio Bertelli – si prepara all’ennesima entusiasmante sfida di Coppa America – festeggia con Miuccia Prada il record di fatturato del marchio nel primo trimestre 2024 con un balzo dell’11 per cento (1,18 miliardi), nella sua Toscana il comparto del cuoio e del lusso batte in testa. Siamo abituati a considerare la moda come in continua crescita, motore inesauribile del made in Italy, ma le cose stanno cambiando assai in fretta e, per molti versi, in peggio. E poi c’è Chiara Ferragni, emblema dei clic in rete e di un mondo di lustrini dove conta più l’apparire che l’essere, che è stata allontanata con cortesia dal consiglio d’amministrazione di Tod’s e che adesso piange; sono tante, però, le influencer che con lei non ridono più.

C’è una fortissima polarizzazione del mercato della moda con pochi brand in continua ascesa e gli altri che arrancano e dunque non hanno più risorse per alimentare questo mercato. Una prova clamorosa l’ha offerta sul finire dell’inverno l’annullamento di Moda Makers – doveva tenersi a fine maggio – a Carpi che è la fabbrica diffusa del tessile e della maglieria di lusso. Il comunicato che ha annullato la rassegna lascia pochi dubi: «ModenaFiere e la Camera di Commercio di Modena, in pieno accordo con il Carpi Fashion System, comunicano che è stato valutato come l’attuale congiuntura di mercato non sia tale da consentire di organizzare la prossima edizione di Moda Makers prevista per maggio 2024». Il distretto carpigiano, tanto per rendere l’idea, vale circa il 5 per cento dell’intero fatturato del settore italiano, circa 5,3 miliardi su 103,2 miliardi di euro. Appena una settimana fa il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha dovuto rispondere al presidente della Toscana Eugenio Giani che lo sollecitava a occuparsi dei problemi del distretto fiorentino-pratese del fashion. La risposta del ministro è: allarghiamo la cassa integrazione. Sace, il servizio di assicurazione pubblica e Abi, l’associazione delle banche, rinegozieranno i prestiti concessi alle imprese e già garantiti appunto da Sace. Significa che la faccenda è seria.

Lo sanno benissimo peraltro a Firenze dove l’ultimo rapporto Irpet, l’Istituto per la programmazione economica regionale, evidenzia come nel fatturato di tutti i comparti del settore si veda il segno meno (meno 6,7 per cento il tessile, meno 4,6 l’abbigliamento, meno 5 per cento le pelli e addirittura una contrazione del 16,8 per cento delle calzature). Ma ciò che è davvero preoccupante è che queste contrazioni si hanno e si amplificano nel triangolo del lusso che fa capo a Scandicci, dove ci operano i migliori contoterzisti per marchi più rinomati. Si capisce che la moda rischia di restare a piedi da un dato: a soffrire più di tutto è il comparto calzaturiero. Il primo allarme è venuto dal distretto della conceria di Santa Croce sull’Arno (è il polo in provincia di Pisa più importante in Europa, il solo che tratta con metodi naturali le pelli più pregiate) che è tornato ai livelli di crisi del periodo Covid. I sindacati hanno fatto i conti e «350 aziende sono coinvolte in richieste di cassa integrazione per un totale di 1.750 settimane solo nei primi quattro mesi del 2024. Stiamo parlando di almeno 2.700 persone coinvolte dagli ammortizzatori sociali». E già ci sono stati i primi 75 licenziamenti. Il motivo? È in diminuzione la domanda di pelli.

La ragione la spiegano a Vigevano, in provincia di Pavia, uno dei distretti più importanti del sistema moda dove sono attivi anche molti contoterzisti delle grandi griffe che sfilano alla Fashion week milanese. Qui è diventato emblematico il caso della Moreschi (la fabbrica di scarpe più consistente: 200 addetti) di proprietà del fondo svizzero Hurleys che ha annunciato 59 licenziamenti, spostato la produzione in Estremo oriente e cancellato la scritta «Vigevano» dal marchio. Chi tiene duro sull’origine sono invece gli industriali marchigiani dove la crisi si abbatte duramente con una fortissima emorragia d’imprese. Nella regione adriatica, al 31 marzo scorso, sono 4.451 le aziende attive della moda (tessile, abbigliamento, calzature), in diminuzione del 24,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019, pari a 1.412 che sono venute a mancare. Anche la produzione è in contrazione: meno 8,8 per cento su base annua con il tessile che fa meno 4,8, l’abbigliamento meno 8,9 per cento e il calzaturiero che perde il 14,8 per cento. I motivi? La domanda che langue e l’esplosione delle vendite online. Aver perso in dieci anni oltre 28 mila negozi di abbigliamento ha di fatto distrutto il mercato degli artigiani. È per questo che, nella moda made in Italy, non tutto luccica.

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