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Il risiko della moda: chi-va-dove nei ruoli del fashion system

Il risiko della moda: chi-va-dove nei ruoli   del fashion system

Dai «divorzi» imminenti a quelli già avvenuti. Dai cambiamenti dei designer a capo delle direzioni creative delle maison, ai manager che si spostano tra le due holding francesi concorrenti. Scossoni e migrazioni che (forse) giovano allo stile e al business.


Il prossimo annuncio, molto atteso nel dorato mondo del fashion system, riguarda la successione creativa sul trono di Celine, storico brand francese di sofisticata allure, attualmente affidato alla visione estetica di Hedi Slimane. Francese, classe 1968, è un designer di lungo corso, preparato in vari ambiti, a cominciare dalla fotografia. È un battitore libero, cresciuto alla corte di Yves Saint Laurent, con un passaggio in Dior, incurante delle mode e ancor meno dei mercati emergenti. Eppure dal suo arrivo, nel 2018, il creativo ha fatto più che raddoppiare le vendite del suo attuale brand: secondo quanto si evince dai report economici la società Celine S.A., con sede a Parigi, dai 441,3 milioni di fatturato del 2017 (anno prima della nomina del designer) ha raggiunto 728 milioni di euro nel 2021 (ultimo dato disponibile): vendite quasi raddoppiate, così come si è moltiplicata la forza lavoro, passata nello stesso arco temporale da 404 persone a 675. Peccato, però, che il trend positivo abbia perso molto vigore negli ultimi tempi; alla base della frenata ci sarebbe un mancato rinnovamento nei prodotti firmati appunto Slimane, con conseguente calo di attenzione da parte del mercato. In particolare, sarebbe la pelletteria a non dare i risultati sperati A questo si aggiunga il carattere spigoloso e divisivo del designer che infastidisce non poco gli Arnault, proprietari del brand in quanto parte del ricco portafoglio del gruppo Lvmh. Senza contare che da tempo Slimane non vuole più comunicare direttamente con Séverine Merle, ceo del marchio, facendo aumentare così le tensioni interne e i rumors esterni su una sua imminente dipartita.

Intanto, già si parla di un nuovo incarico per Slimane: misstweed.com, sito d’informazione indipendente, evoca addirittura la poltrona di direttore creativo di Chanel, ricordando come Hedi fosse il protégé di Karl Lagerfeld, che della maison di rue Cambon è stato per oltre 30 anni il deus ex machina. Attualmente, però, alla guida dello stile c’è Virginie Viard che sta riscuotendo un ottimo successo commerciale; quindi tale ipotesi potrebbe non essere fondata, anche se ai mercati il giro di poltrone piace sempre molto. Invece, da Celine, sempre secondo Astrid Wendlandt, ex redattrice di Reuters e fondatrice di Misstweed, andrebbe l’attuale direttore creativo di Alaïa, Pieter Mulier. Lo stilista di origine belga, già noto come braccio destro di Raf Simons, ha precedenti in Jil Sander, Christian Dior e Calvin Klein, prima di approdare da Alaïa, le cui vendite sono date in crescita per la gioia di Richemont, gruppo che possiede il brand, fondato dallo stilista tunisino.

Certa e recentissima, invece, la notizia delle dimissioni di Marcelo Burlon dal ruolo di direttore creativo del brand County of Milan, da lui fondato nel 2012. In fondo, il futuro della casa madre Ngg-New guards group, dopo il salvataggio della controllante Farfetch da parte dei coreani di Coupang, è ancora incerto. Ngg-New, che comprende anche una decina di altri brand come Palm Angels, Alanui, Opening ceremony, Heron Preston e Ambush, oltre alla licenza per Off-White, marchio fondato da Virgil Abloh e nell’orbita di Lvmh, e quella per la distribuzione di Reebok in Europa, avrebbe dovuto essere rilevata dal fondo Style capital di Roberta Benaglia. Ma a quanto pare l’operazione non è andata a buon fine e stando a quanto scrive sui social il designer argentino, lui rimarrà a Ibiza continuando a occuparsi dei suoi progetti legati alla Fondazione Marcelo Burlon che dal 2021 si occupa di promuovere l’integrazione, i diritti civili, proteggere l’ambiente e migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in condizioni di difficoltà.

Insomma questo 2024 sarà ricordato come l’anno dei divorzi, delle separazioni degli stilisti dalle maison e, perché no, anche dei licenziamenti, sebbene quest’ultimo sia un termine sconosciuto e poco praticato nel mondo fashion. E se lo stilista belga Dries Van Noten, dopo 37 anni di successi con il marchio eponimo oggi di proprietà del gruppo Puig, ha deciso di ritirarsi dalle passerelle per dedicarsi a se stesso e a nuove priorità, a Walter Chiapponi, ex designer di Tod’s, è bastata una sola sfilata per lasciare Blumarine al suo nuovo destino di brand in cerca di identità. C’è già chi dice che Chiapponi sia atteso da Ferragamo. Ma il grande distacco è stato senza dubbio quello di Pierpaolo Piccioli, da 25 anni nell’atelier di Valentino. A sostituirlo arriva Alessandro Michele, in stand by dal novembre 2022 quando ha lasciato Gucci, con tutte le perplessità del caso, visto il contrasto tra l’anima pop vintage del designer romano e la sofisticata allure dell’atelier di piazza Mignanelli.

Va ricordato, inoltre, che la maison Valentino appartiene dal 2012 a Mayhoola, il fondo reale del Qatar, nella cui compagine societaria, l’estate scorsa, è entrato al 30 per cento il gruppo Kering versando in contanti 1,7 miliardi di euro con un accordo vincolante per l’acquisizione totale del marchio entro il 2028. A condurre la trattativa Jacopo Venturini, amministratore delegato del brand dopo esser stato il merchandiser di Gucci negli anni d’oro della direzione creativa di Michele, con Marco Bizzarri nel ruolo di ceo. Venturini aveva già lavorato sei anni da Valentino nel prét à porter, prima di andare da Prada e poi nel marchio delle «due G». Logico quindi che Rachid Mohamed Rachid, chairman di Valentino, l’abbia richiamato dandogli carta bianca in cambio di buoni risultati commerciali. Che però, a quanto pare, non sono arrivati. Oppure non sono stati all’altezza delle cifre che il business bulimico della moda richiede di volta in volta. Per chiudere il cerchio del giro delle poltronissime, arriva il recente insediamento (è avvenuto il 2 maggio), di Stefano Cantino in qualità di nuovo deputy ceo di Gucci. Il posto di ceo del brand è rimasto vuoto da quando Marco Bizzarri, dal 2015 presidente e amministratore delegato della griffe, aveva lasciato Kering lo scorso settembre, dopo 18 anni, pagando così la flessione del gruppo del 4 per cento (2 per cento su base comparabile) a 19,6 miliardi di euro, e quella dei ricavi di Gucci, scesi del 6 per cento a 9,873 miliardi.

Cantino è un manager curioso e preparato, con un trascorso di oltre 20 anni nel gruppo Prada in ruoli di crescente responsabilità nelle aree marketing e commerciale, fino ad assumere l’incarico di communication & marketing director, e di cinque anni in Louis Vuitton, dove ha supervisionato le strategie di comunicazione e immagine del brand. Ad affiancarlo ci saranno Jean-François Palus, presidente e ceo di Gucci, e Francesca Bellettini, deputy ceo di Kering, responsabile per il brand development del gruppo: un triumvirato di peso che dovrebbe far fronte all’implementazione della nuova strategia di Gucci. Che va attuata con urgenza stando a quello che i vertici della famiglia Pinault hanno dichiarato: «Si prevede che i ricavi comparabili di Gucci nel primo trimestre 2024 diminuiranno di quasi il 20 per cento su base annua, a causa di un calo più marcato delle vendite di Gucci, in particolare nella regione Asia-Pacifico. Tuttavia i primi prodotti, prevalentemente ready to wear, frutto del nuovo corso stilistico affidato alla direzione creativa di Sabato De Sarno, sono arrivati in selezionati negozi monomarca da metà febbraio. La collezione Ancora, la cui disponibilità aumenterà gradualmente nei prossimi mesi, sta incontrando un’accoglienza molto favorevole».

Ora, tralasciando i pettegolezzi che riguardano l’instabilità di De Sarno alla guida di Gucci e i gossip che vorrebbero Pierpaolo Piccioli da Fendi, resta una riflessione sul nuovo corso di business creativo di Marco Bizzarri. Il gigante (e non solo in senso metaforico, è alto quasi due metri) delle strategie e del marketing ha infatti da poco costituito la holding di famiglia Nessfashion con cui il manager emiliano ha intenzione di investire in aziende di moda e del lusso, sia in Italia sia all’estero, e tanto per cominciare ha rilevato fino al 23 per cento del marchio d’abbigliamento donna Elisabetta Franchi che fa capo alla Betty Blue Spa, che ha chiuso il 2023 con un fatturato di 170 milioni di euro e un margine Ebit del 31,8 per cento, dopo che, nel 2020, in concomitanza con la pandemia, era andato in fumo il progetto di quotazione all’Aim. Inoltre è entrato nel cda del brand Golden Goose.

Ma non è finita qui. Durante il Salone del Mobile di Milano, il manager emiliano, classe 1962, ha allargato i confini dei suoi interessi spostandosi anche verso il design e puntando su Visionnaire. Attraverso Forel, la società di cui ha assunto la guida nelle scorse settimane, assieme a Mario Gardini, advisory di Faro alternative investments sicav, ha siglato un accordo per conto del fondo Faro Ai per l’acquisizione di una quota di maggioranza del marchio italiano di interior design di lusso, fondato dalla famiglia Cavalli a Bologna dal 1959. Cosa dire: nella logica del business chi si ferma è perduto e il valzer delle poltrone ne è un motore fondamentale.

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