«Il mondo del vino sta cambiando, in meglio»
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«Il mondo del vino sta cambiando, in meglio»

Con Giacolino Gilardi, AD di Ceretto, analisi sul mercato del vino in continua evoluzione

«Il vino si vende facendolo desiderare. Sono le persone che devono ricercarlo, non siamo noi a proporlo»: sono queste le parole che Giacolino Gilardi, AD di Ceretto usa per dare corpo al cambiamento epocale che sta investendo il modo del vino.

È diventato un bene trasversale che tutti possono permettersi, perché “bere è un atto naturale”. Il vino gratifica. Lo si ricerca per territori: W le tipicità. Largo ai giovani che bevono consapevolmente e bene. E sempre alle nuove generazioni, subentrate alla direzione di cantine che hanno fatto la Storia d’Italia, è dato il compito di essere all’altezza dei cambiamenti. Climatici, di gusto, di confini geopolitici. Oggi si vive di momenti di convivialità vissuti attorno ad un calice. Di tutto questo abbiamo parlato con Giacolino Gilardi, AD di Ceretto e Mauro Mattei, ex sommelier del Ristorante Piazza Duomo *** Stelle Michelin che oggi si occupa del mercato italiano e della selezione Terroirs.

Li abbiamo incontrati in Langa, in occasione delle Anteprime 2024 della selezione Terroirs, distribuzione nata nel 2003 per far conoscere vini di altre nazioni agli appassionati italiani. Siamo nelle cantine della famiglia Ceretto, ad Alba. Sotto la lente d’ingrandimento sono finite le aree viticole più rilevanti nel panorama internazionale. Un’occasione di connessione che ha portato in territorio Unesco oltre 50 produttori. Anno dopo anno sono stati abbinati alla gamma di vini di proprietà della famiglia Ceretto, nomi di pari valore con uguale attenzione e curiosità ai luoghi di origine, al valore della terra, all’unicità delle varietà tradizionali, alle persone che si celano dietro le etichette.

Giacolino Gilardi, AD di Ceretto

Da produttori a importatori. Come è nata la Ceretto Terroirs?

Da una serata a Barcellona in cui conobbi Didier Dupont presidente della Maison Solon, uno tra gli champagne più rari e iconici al mondo. Fu lui a chiedermi come poter entrare nel mercato italiano, ed io presi la palla al balzo, anche se ai tempi non eravamo importatori ma solo produttori. Ne parlai con Bruno Ceretto la mattina successiva, fummo d’accordo sul fatto che non avremmo potuto lasciarci scappare un’occasione come quella, un vero colpo di fortuna. Quello fu il punto di partenza, a cui si aggiunsero tutte le altre etichette.

Come si vende il vino?

Il vino si vende facendolo desiderare. Sono le persone che devono ricercarlo, non siamo noi a proporlo. Ceretto ha sempre guardato oltre la vendita diretta. Basta vedere il lavoro che facciamo sull’arte. In tanti non comprendono il senso di investire milioni in attività non direttamente connesse con il nostro prodotto, senza capire che sono proprio quelle attività a portare la gente nelle Langhe, a vedere la Cappella del Barolo, o ad assistere ad una performance di Marina Abramović.

Come sono cambiati i gusti della gente?

Sono 43 anni che lavoro in questo settore. Ho visto il vino passare dall’essere un bene di consumo di prima necessità nel dopoguerra, quando sulle tavole si trovavano solo vini prodotti a pochi chilometri di distanza, all’essere un bene trasversale fruibile da chiunque in ogni posto. Oggi puoi bere un calice di Nero D’Avola a Venezia e un calice di Amarone della Valpolicella a Palermo. E parliamo di prodotti che con il tempo si sono affinati, non più relegati all’etichetta di “vini da pasto”. Oggi bere bene è diventato un atto naturale. È interessante notare che dove c’è una zona di produzione c’è anche vendita di prodotti di altre regioni, proprio perché la gente abituata a produrre e bere vino ha desiderio di scoprire cosa succede altrove. La cultura enologica negli ultimi vent’anni è esplosa, oggi si ha a che fare con sommelier, con grandi appassionati. Una volta le carte vino erano molto più corte, con tre o quattro nomi stranieri ma nulla di più.

Durante il Covid abbiamo avuto tempo e modo di appassionarci al mondo del vino. Stiamo ancora cavalcando l’onda lunga dell’effetto lock down?

Il Covid ha dato una spinta verso la consapevolezza di ciò che si beve. Quando eravamo chiusi in casa, l’unico modo per gratificarsi era una buona bottiglia di vino. Il risultato è che oggi ci sono giovani abituati al buono, che riconoscono un’etichetta, e che magari fanno una colletta per comprare una bottiglia costosa piuttosto che tre di media qualità.

Come è cambiato il modo di fare il vino rispetto a quarant’anni fa?

Parlo delle nostre zone, delle Langhe. Qui la grande differenza nella produzione l’ha fatta il completamento della filiera. E in questo Ceretto è stato pionieristico avendo sempre investito prima nel vigneto, poi nelle cantine, poi nella produzione. È cambiato il modo di raccontare il vino, si è capito che era preferibile parlare di un vino specifico di un determinato vigneto, piuttosto che di un uvaggio generico. La concorrenza invece acquistava uve per poi arrivare alla produzione. Luigi Veronelli (figura simbolo dell’enogastronomia) ha fatto da spartiacque tra questi due approcci, ha lanciato la figura del vignaiolo, segnando il termine del mercato dell’uva e la nascita della coscienza delle piccole cantine cha hanno iniziato a produrre in proprio. Non senza lati negativi; si è iniziato a mischiare i vitigni anche là dove un disciplinare lo vietava, a fare uso sfrenato di barrique che faceva perdere la territorialità del vino, tutto per compiacere le guide e gli ispettori. Ora questo processo è stato sicuramente ripulito e i produttori sono molto più coscienziosi.

In che modo la crisi climatica colpisce la vigna?

Bisogna aiutare il vigneto in questo processo di transizione climatica. Ad esempio, applicando la potatura a verde, che consiste nel tenere il filare in ordine per avere uno sviluppo della chioma e del prodotto equilibrato, adeguandosi al clima che cambia in maniera più rapida di quanto le viti siano naturalmente programmate a sostenere.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?

Il mercato si divide equamente tra estero ed Italia. Il mercato Italia è suddiviso in 1/3 Ceretto Terroirs, 1/3 Blangé, 1/3 tutti gli altri vini Ceretto. In questo momento storico il Sud ha numeri crescenti e acquirenti di alto profilo. E la grande differenza tra i due mercati è che, mentre l’italiano beve in ogni occasione, all’estero le tensioni geopolitiche si riflettono comprensibilmente sulle vendite. Basta dare uno sguardo all’Oriente o agli stessi Stati Uniti che devono gestire l’incognita delle elezioni.

Si dice che le Langhe abbiano meno appeal. È così?

Stiamo vivendo un momento d’oro, ma tanti, quando le cose vanno troppo bene, si preparano al peggio. Oggi nelle Langhe è in corso un ricambio generazionale, a quello bisognerà fare attenzione, perché è naturale che le generazioni che ereditano certe attività non hanno gli stessi stimoli di chi le ha create. Non dobbiamo perdere il contatto con la terra, con l’autenticità, con le storie che la gente vuole sentire, dobbiamo continuare a tramandare il sapere con i libri e con la parola, lasciando da parte la tecnologia, che poco si confà a chi è nato e cresciuto tra una collina, un filare e un orto.

Mauro Mattei ex sommelier Piazza Duomo

Mauro Mattei ex sommelier Piazza Duomo si occupa del mercato italiano e della selezione di Terroirs insieme a Gillardi. In Ceretto dal 2010.

Come sta il mondo del vino oggi in Italia?

Dal punto di vista commerciale non c’è la spinta di altre annate, ma è fisiologico. Il mercato è stabile ed eventi, come quello delle Anteprime 2024 in cui mettiamo negli stessi spazi più di 2.000 clienti professionali di tutta Italia e produttori da tutta Europa, puntano proprio a riportare euforia nel mercato.

Cosa bevono gli italiani?

Agli italiani piace legarsi al territorio, cercano la tipicità. Negli ultimi anni, soprattutto con le nuove generazioni si assiste ad una crescente curiosità nei confronti dell’estero.

A livello di abitudini, noi italiani preferiamo aprire una buona bottiglia a casa o al ristorante?

Ceretto serve principalmente il mondo Horeca (hotel, ristoranti, cafè), ma c’è sicuramente un ritorno all’enoteca, e il desiderio di farsi consigliare da un esperto. E questo si nota anche nell’on line, che da semplici store si trasformano in enoteche con sommelier che guidano all’acquisto.

Parlando sempre di abitudini. Perché in Italia si storce ancora il naso quando arriva in tavola una bottiglia senza il tappo in sughero?

Rispetto a qualche anno fa c’è più cultura sulle tappature alternative. Il tappo a vite Stelvin, ad esempio, permette di annullare la possibilità di difetti in bottiglia e consente una conservazione ed un’evoluzione perfetta, calibrata e costante del vino, cosa che il sughero non consente. Questo pregiudizio non è solo italiano, il vino importante si vende meglio col tappo in sughero. Ceretto fa i conti con questa percezione e propone una doppia versione del Blangé, con le due tappature alternative.

Cocktail pairing. Occasione o spina nel fianco?

Per me l’abbinamento cocktail-food è un’occasione per implementare il catalogo di prodotti dal punto di vista della Terroirs Ceretto. E penso anche a prodotti senza alcool, tipo i kombucha. Sono altri modi di vedere, lontani dalla classicità.

Avete accusato il colpo delle forti restrizioni in fatto di sicurezza stradale?

Assolutamente sì. Ma non ora, è già tempo che facciamo i conti con queste restrizioni, che vanno comunque viste come opportunità. La sicurezza è da mettere sempre al primo posto, ma in questo caso si aprono anche scenari importanti. Tanti clienti, ad esempio, preferiscono affittare una camera d’hotel e godersi appieno la serata, il che chiaramente apre nuove possibilità e consente al cliente di bere in libertà.

Quanta tecnologia c’è nel mondo del vino?

Chi sostiene che di tecnologia ce ne sia poca per mantenere quell’allure di tradizione contadina, mente. Ci sono parametri che non puoi controllare empiricamente, tipo le temperature in fermentazione. L’esperienza ti aiuta ad eliminare dei passaggi, mentre chi si improvvisa si affida ciecamente e completamente alla tecnologia.

Come si riconoscono i difetti di un vino?

Il naso è il primo senso da utilizzare, anche se ci sono grandi esperti francesi che sostengono che solo la bocca, e quindi l’assaggio, non mentono, mentre il naso può sbagliare. Io non sono d’accordo con la visione francese, avendo una preparazione costruita sul campo. Ancor prima del naso, è la vista che può tradire un colore troppo scuro o una velatura che ne guasta la limpidezza.

Come si sceglie un buon vino? Seguendo le denominazioni?

Purtroppo, in Italia non c’è una gerarchia piramidale. Puoi trovare un vino DOCG al supermercato sotto casa a 2 euro. A differenza di altri territori come la Borgogna invece, dove un Grand Cru è l’espressione migliore di un vino territoriale senza margine di interpretazione. In Italia ormai costruire una gerarchia è impossibile. Come si potrebbe stabilire che un’etichetta è meglio di tutte le altre nell’arco di qualche chilometro? Si darebbe il via ad una guerra senza fine. In Francia questo processo è avvenuto negli anni ’30, quando si era quasi inconsapevoli di ciò che si aveva per le mani. Per capirci, ci sono produttori all’epoca che hanno rifiutato il grado di Grand Cru per pagare meno tasse, non capendo che stavano svalutando il proprio vino ed erano seduti su una miniera d’oro.

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Nadia Afragola