La parete Est del Monte Rosa, la più himalayana delle Alpi
Beba Schranz racconta la cultura alpina Walser, la storia delle sue genti, e un sogno: trasformare le Alpi da barriera a crocevia d’Europa.
«Sono una walser, nonna materna (Ruppen) della valle di Saas, nonno paterno (Schranz) del Voralberg, e come i miei avi sento di avere una spiccata propensione al nomadismo, ma, ogni volta che torno a casa e dalla pianura la parete Est del Monte Rosa mi si profila all’orizzonte, mi coglie un misto di emozione, stupore, attesa. Quando poi, appressandomi, scorgo il golfo Borromeo, e via, via le valli che arricchiscono questo nostro territorio, mi vengono “le farfalle nello stomaco”, quasi come nel ritrovare la persona amata».
Maria Roberta Schranz, per tutti “Beba”, parte dai campetti per principianti per approdare, ad appena quindici anni, nella nazionale di sci alpino per cinque stagioni, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta: prima nella squadra B con la quale partecipò alle gare del circuito di Coppa Europa, vincendo il titolo continentale juniores di slalom speciale, poi nella squadra A, dove, in Coppa del Mondo, si cimentò nello slalom speciale, nel gigante e nella libera. E le cronache sportive nazionali non potevano non incrociarla nel 1970 durante i Campionati del Mondo di Sci Alpino in Val Gardena.
Monte Rosa significa comunità Walser. Una condivisione tra Italia e Svizzera…
«Storicamente non è mai stato “accettato” il ruolo di frontiera inteso come delimitazione dei confini degli stati nazionali. Un concetto puramente geometrico e relativamente recente, scaturito a partire dal XVII sec. dalla determinazione di alcuni confini tra monarchie assolute, che ebbe poi un ulteriore sviluppo all’inizio del XIX secolo. Un sistema che ha emarginato le Alpi assumendole come barriere, ciascuno su un proprio versante, lungo una linea divisoria che segue lo spartiacque».
Una forzatura, pare di capire.
«Che alterò un equilibrio secolare cominciato approssimativamente nell’intervallo dal XII al XIII sec. quando si attuò la “regionalizzazione delle Alpi” che provocherà progressivamente la realizzazione di una viabilità “infra-alpina” sconosciuta prima. Mentre le strade romane furono principalmente “militari”, il Medioevo sviluppò itinerari “rurali”, e in questo periodo i Walser si insediarono ad alta quota attorno al Monte Rosa e contribuirono concretamente a realizzare strade con funzioni rurali e di pascolo, che prevalsero sulla funzione di comunicazione e trasporto».
Ecco il fenomeno della transumanza…
«E del trasporto delle merci. L’acquisizione di zone di pascolo su versanti diversi, impose l’apertura di valichi come quello del Monte Moro tra la valle di Saas e quella di Macugnaga. A tale quota l’insediamento era consentito solo tramite piccoli villaggi sparsi che necessitavano per sopravvivere di collegamenti “federativi”: ecco l’altissima mobilità tra villaggi e alpeggi che caratterizza il nomadismo Walser. Dalla Francia, all’Italia, alla Svizzera passando dal Lichtenstein fino al Vorarlberg in Austria, questi antichi colonizzatori hanno creato una rete di sentieri che ha permesso un collegamento transfrontaliero tutt’ora valido».
Da decenni le antiche vie percorse dai coloni Walser vengono valorizzate per salvaguardare una conoscenza antica fatta di usi, costumi e sapere.
«Proprio nell’intento di rivitalizzare un turismo a misura d’uomo intorno al Monte Rosa, le associazioni culturali Walser al sud delle Alpi hanno fondato la Südwalserverein - Walser del Sud delle Alpi e stanno portando avanti un progetto davvero appassionante. Un viaggio nello spazio e nel tempo che permette di immergersi in un passato caratterizzato dal profondo legame tra l’uomo e l’ambiente, per scoprire la vita delle genti di montagna, di persone operose e ingegnose abituate alla fatica, che parlano dialetti di popolazioni lontane».
E’ stata anche stilata la “Carta dei valori Walser”…
«10 riflessioni e qualche suggerimento per vivere e salvaguardare i territori montani prendendo spunto dalla cultura e dalla nostra storia. É un decalogo pensato per abitanti e ospiti, dove l’ospite è sia colui che accoglie e sia chi viene accolto. Ecco perché, in alcuni punti della carta, le comunità e gli ospiti sono affiancati, in un “botta e risposta” che coinvolge entrambi per un futuro in cui ambiente, cultura ed economia convivano armoniosamente».
E veniamo alla parete Est del Monte Rosa!
«Per la sua imponenza è considerata la parete più himalayana delle Alpi! Fin dalla fine del Settecento ha stimolato i grandi viaggiatori, a partire da Horace-Bénédict de Saussure, il padre dell’alpinismo occidentale, che nella pubblicazione Voyages dans les Alpes del 1796 scrive: “Le cime del Monte Rosa sono inaccessibili da Macugnaga”. Anche perché la piccola Era glaciale protrattasi per circa quattro secoli, aveva ingrossato i ghiacciai che erano arrivati al massimo dell’estensione»
Macugnaga diventa meta di tanti alpinisti, non in senso stretto.
«Poiché i loro interessi spaziavano in diversi settori della montagna, soprattutto di carattere scientifico: Dolomieu (1797), Hans Conrad Escher von der Linth (1797), C. M. Engelhard 1835), Arthur Thomas Malkin (1840), Albert Schott (1841). Per una ventina di giorni, nel 1840, soggiorna a Macugnaga anche John Ruskin, il grande artista inglese dell’Epoca vittoriana che scrive “Trovo che il luogo sia un perfetto paradiso, e la mancanza della sublimità di Zermatt lo rende ancor più piacevole per viverci tra cascate e campi di fieno”. Anche Lady Cole, una delle alpiniste più grintose e appassionate, frequenta Macugnaga in quel periodo»
Una giovane guida di Macugnaga ha lasciato traccia…
«Ferdinand Imseng, emigrato da Saas Fee, il 22 luglio del 1872 finalmente raggiunge la vetta della Dufour (4634 mt.) dal versante Est: un’impresa che gli vale l’apprezzamento anche degli inglesi che nella relazione pubblicata sull’ “Alpine Journal” scrivono: “Ci convincemmo che Imseng era un vero profeta”».
Un'altra mitica guida alpina del Monte Rosa è stato Mattia Zurbriggen.
«Detto “ein Tifal” (un diavolo), nel dialetto Titsch di Macugnaga. Nato a Saas Fee il 15 maggio 1856, partecipa alla costruzione della capanna Marinelli, ma nell’arco di pochi anni spazia sull’intero massiccio, dalle domestiche Alpi vallesane, al Cervino fino al Monte Bianco e all’Oberland Bernese. Poliglotta e polivalente, sposta la sua attività sulle montagne di tutti i continenti: è conteso dai grandi esploratori dell’epoca, emerge come autentico precursore delle guide moderne e sale per primo l’Aconcagua, in Argentina, e poi il Karakorum, una sub catena dell’Himalaya».
In questi ultimi anni si è concretizzato un magnifico progetto…
«Il “Tour del Monte Rosa”, una bellissima gita tra Italia e Svizzera che si può realizzare in circa 9 giorni di cammino, tra passi montani silenziosi e verdi vallate punteggiate di chalet in legno. Un lungo trekking escursionistico che copre una distanza totale di 162 chilometri e supera i 13.000 metri di dislivello in 8-10 tappe, lungo il quale si possono ammirare dieci cime che superano i 4000 metri di altezza. Il punto più alto è l’attraversamento del Passo del Teodulo a 3.295 metri. Il percorso si può affrontare sia in senso orario dove si incontrano salite più graduali, che in senso antiorario leggermente più impegnativo».
Lei ha un sogno, da buona walser…
«Che le Alpi possano essere concepite come un complesso di tre grandi macro-regioni storiche (Alpi Occidentali, Alpi Centrali, Alpi Orientali), come “Stati” membri di un nuovo Sato federale d’Europa. In tal caso le regioni “alpine”, come il Piemonte e le Alpi verrebbero liberate da un loro ruolo di frontiera e tornerebbero ad essere, come già sono state in altri tempi della storia d’Europa, una zona non già di separazione ma d’incontro tra le varie genti d’Europa».
Con quali effetti?
«La comunicazione e la mobilità “transfrontaliera” nelle Alpi diventerebbe un normale traffico tra molteplici località alpine, che potrebbero venire collegate tra loro da un reticolo interno di strade non più asservite ad essere soltanto tronchi di collegamento con le grandi arterie stradali delle pianure metropolitane. Paradossalmente un ritorno alla viabilità “infra-alpina” degli antichi Walser, la mia gente…».