Asti capitale del Moscato e dello Spumante
«La produzione, in un anno, è aumentata di quasi 7 milioni di bottiglie» dice Giacomo Pondini, direttore del Consorzio dei mille viticoltori piemontesi che curano questi unici e preziosi grappoli. Le ragioni del successo? «I nostri vini piacciono ai giovani e i mixologist li usano nei drink. Ma difffidate dalle pessime imitazioni e dai fake».
Con la schiena a pezzi, ma felici. I mille produttori vinicoli che fanno capo al Consorzio dell'Asti e del Moscato d'Asti Docg hanno da poco terminato la vendemmia, quel delicatissimo momento dell'anno in cui si tirano le somme e la terra non fa sconti. Schietta, talvolta impietosa e incorruttibile, restituisce ciò che neve, vento, pioggia e sole hanno forgiato.
In questo caso, per fortuna, i grappoli sono sani, carichi, succosi e pronti a dare nel tempo grandi bollicine. L'entusiasmo dei vigneron piemontesi però non dipende soltanto dalla qualità delle uve. L'Asti Spumante e il Moscato d'Asti hanno chiuso il 2020 con numeri importanti.
La produzione totale è cresciuta dell'8,4 per cento rispetto a quella 2019: si è passati dagli 85 milioni di bottiglie ai 91,5, con esportazioni record in America (28 milioni) e in Russia (11 milioni). Roseo anche il 2021: «L'ultimo dato, aggiornato a luglio, è molto incoraggiante dal punto di vista commerciale poiché segna già un 20 per cento in più della produzione rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente» spiega Giacomo Pondini, direttore del Consorzio. Il mondo, in altre parole, ha sempre più sete di queste bollicine zuccherine e aromatiche e «proprio per via della crescente richiesta e per mantenere il mercato in equilibrio, è stata approvata la proposta di sbloccare parte della produzione vendemmiale 2020 messa a riserva (circa 40 mila ettolitri, ndr)» aggiunge Pondini. In fondo, è cosa buona e giusta ricordare che l'Asti, anche grazie alle intuizioni di Carlo Gancia già a metà Ottocento, è stato il vino pioniere della spumantistica italiana. E oggi raccoglie i frutti della sua storia.
Tuttavia, come ogni eccellenza del made in Italy che si rispetti, si trova a dover fare i conti con l'annosa piaga della contraffazione: «Non riusciamo ad avere un dato chiaro e definitivo, ma sappiamo che nel mondo ci sono milioni di bottiglie falsificate. Per fare un esempio, soltanto in Ucraina, sugli scaffali dei supermercati ci sono circa 3 milioni di etichette a marchio Asti senza averne i requisiti per esserlo davvero. Questo non è grave solo dal punto economico, è penalizzante per l'immagine stessa del prodotto. Il consumatore, ignaro, compra e degusta un vino scadente che nulla ha a che vedere con la denominazione e si fa un'idea sbagliata in merito alla sua qualità, che nel caso delle bottiglie contraffatte è scadente» prosegue.
Naturalmente il Consorzio, tra le sue molteplici funzioni, in primis la promozione del prodotto in Italia e all'estero, ha anche il compito di verificare che la produzione rispetti tutti i punti del cosiddetto disciplinare. Disciplinare che, peraltro, dal 2017 prevede che le aziende vinicole possano produrre lo spumante dolce per eccellenza nella versione secca. «Si tratta di un grande passo in avanti che mira a diversificare l'offerta» afferma Pondini. Tradotto, significa che il vino da dolce più conosciuto sul pianeta diventa anche il nettare che può accompagnare tutto il pasto.
Ma l'escalation dell'Asti non finisce qui: sta conquistando i palati più giovani grazie al suo nuovo impiego, neanche a dirlo promosso dal Consorzio, nell'affascinante mondo della mixology, diventando l'ingrediente inedito di cocktail e drink. «Crediamo molto in questo progetto che ha l'obiettivo di "parlare" a un pubblico decisamente meno agé rispetto a quello tradizionale» prosegue Pondini.
Insomma, l'Asti Spumante e il Moscato d'Asti se la passano un gran bene. Il merito va senza dubbio alla tenacia e alla passione di quei famosi 10 mila produttori di cui sopra e all'attività costante del Consorzio che, guardingo, sorveglia sulla vita e il destino delle dolci bollicine.