Come sono gli album di Keith Richards senza i Rolling Stones
Guida ai dischi solisti del leggendario chitarrista che anche quando non è in compagnia di Jagger sa essere geniale. E molto funky...
Alla fine degli anni Ottanta mentre Mick Jagger era impegnato a promuovere il suo album solista Primitive Cool, Keith Richards entrò in studio per registrare Talk is cheap, pubblicato poi nel 1988. Talk is cheap è un gran bel disco che richiama da vicino il sound degli Stones. Big Enough è il singolo funk che da anni mancava alla band, almeno dai tempi di Tattoo You, mentre Take it so hard è rock and roll puro e viscerale. Niente male anche il remake del brano di Chuck Berry I could have stood you up. Pezzo forte del disco è però Make no mistake, un gioiello soul di rara bellezza. In generale l'intero album, da Whip it up a You don't move me, è un campionario dei migliori riff di Richards, quelli che hanno fatto del sound degli Stones qualcosa di unico ed inimitabile.
Il successivo Main Offender, uscito nel 1992, è caratterizzato dalla presenza di una superband, gli X-Pensive Winos formata dal chitarrista Waddy Wachtel, dal tastierista Ivan Neville e dal bassista Charley Drayton. Alla batteria Steve Jordan, da qualche mese il nuovo batterista degli Stones dopo la morte di Charlie Watts. A chiudere il cerchio, le voci di Sarah Dash, Bernard Fowler e Babi Floyd. Il risultato è una tracklist potente nel segno del rock, del reggae e del funk (meritano in particolare 999, Wicked as it seems, Words of wonder e l'eccellente Bodytalk). "Se non avessi portato i Winos in giro, probabilmente questo disco sarebbe stato completamente diverso", ha spiegato Keith in più occasioni.
Crosseyed heart del 2015 è un altro capitolo nella storia solista del chitarrista degli Stones. Su tutte le canzoni della setlist spicca il duetto con Norah Jones nel segno dello slow groove in Illusion. Molto intensa anche l'intro acustica della title track, mentre è assolutamente spettacolare l'hard blues di Blues in the morning. C'è il mood della Giamaica nelle suggestioni ska/reggae di Love overdue con tanto di fiati a punteggiare in maniera eccellente il brano. Sicuramente un disco meno sanguigno del precedente, ma comunque un ottimo album che svela ancora una volta la versatilità e le vibrazioni di un musicista che riporta a se stesso e al suo inconfondibile stile qualsiasi genere musicale.
Se poi volete immergervi nella torrida atmosfera da palcoscenico di Keith con gli X-pensive Winos, allora è assolutamente consigliato Live at the Hollywood Palladium, registrato durante nel 1988 e molto più intenso della maggior parte dei dischi live, non tutti epocali, degli Stones.