Perché dovremmo ascoltare gli album per intero (anche in streaming)
Ansa
Musica

Perché dovremmo ascoltare gli album per intero (anche in streaming)

Oggi ci si concentra distrattamente e per pochi secondi sui brani inseriti nelle playlist, mentre gli album sono opere che acquistano significato e valore nella loro interezza

Quando è stata l'ultima volta che avete ascoltato un album per intero, dalla prima all'ultima nota, senza skippare mai da una canzone all'altra? Se avete più di quaranta o cinquant'anni, forse non è passato poi troppo tempo; se avete meno di vent'anni, probabilmente non vi è mai capitato, nemmeno una volta. Intendiamoci, non è certo una colpa generazionale, ma è il modo in cui oggi viene fruita la musica dalla stragrande maggioranza degli utenti: consumandola (il verbo non è casuale) in versione liquida sulle piattaforme streaming, prevalentemente come sottofondo mentre facciamo altre attività, con una media di ascolto per brano di poco superiore ai trenta secondi, spesso non sapendo né il nome del brano né il nome dell'esecutore in quanto inseriti in una playlist di alcune ore dedicata a un certo "mood" sonoro. Gli stream, ovvero gli ascolti nelle piattaforme digitali, sono ormai l'unico parametro che interessa alla case discografiche, che sempre più spesso non pubblicano neanche il CD o il vinile del trapper o dell'artista latino del momento proprio perché considerano la musica fisica un mercato ormai residuale, che funziona ancora solo con gli artisti della vecchia guardia o con cofanetti deluxe per i 30/40/50 anni dell'uscita di un album storico, con 40-50 demo e alternative track ripescate negli archivi.

Al di là della bellezza dell'oggetto fisico, soprattutto del vinile ma anche di alcuni cofanetti in cd particolarmente curati, è bene ricordare che la musica in streaming di cui fruiamo quotidianamente non ci appartiene, ma ci viene concesso l'utilizzo di essa attraverso un contratto di licenza, che richiede ogni mese il pagamento di un "affitto" di circa 11 euro: se per caso vi scade la carta di credito prepagata(a chi scrive è successo recentemente) e se ci sono problemi di connessione dati o di wi-fi, la musica resta spenta. Certo, avere 100 milioni di brani dentro il vostro smartphone, tablet o pc, che si possono ascoltare in ogni momento e in ogni luogo, sono una possibilità straordinaria: potremmo ascoltare qualsiasi tipo di genere e qualsiasi tipo di artista, proveniente da ogni parte del mondo, allargando costantemente le nostre conoscenze verso nuovi orizzonti sonori. Solo in teoria, però. Basta dare un’occhiata alle classifiche FIMI degli ultimi cinque anni per rendersi conto che la musica italiana abbia ormai soppiantato quasi del tutto quella internazionale nelle preferenze dei nostri connazionali, sia per quanto riguarda gli album (tra i primi 20 dischi non troviamo nemmeno un artista internazionale: il primo è il trapper Travis Scott al 22esimo posto con Utopia) che nei singoli (nella Top 20 del 2023 restano i soli Bizarrap & Quevedo e Miley Cyrus a rappresentare la musica internazionale). Potenzialmente, potremmo ascoltare qualsiasi cosa, mentre in realtà, i nostri connazionali, soprattutto gli adolescenti che sono la fetta maggiore degli utenti dello streaming, si limitano ad ascoltare trapper o cantanti urban italiani, maschi, generalmente under 25. Un panorama desolante, che potrebbe parzialmente cambiare nei prossimi mesi con l'inserimento nei parametri FIMI anche degli ascolti su Youtube, una piattaforma utilizzata da un pubblico più adulto e con una maggiore quota femminile rispetto ai servizi di streaming audio: questo potrebbe modificare sensibilmente le classifiche e le certificazioni d’oro e di platino, riducendo il peso che oggi hanno la trap e l'urban nelle charts.

Al di là dell'autarchia discografica, quello che ci preme sottolineare qui è la totale mancanza di cultura dell'ascolto al giorno d'oggi, figlia soprattutto della rivoluzione digitale della musica liquida. Potremmo utilizzare qui una metafora culinaria per cogliere la differenza nei diversi modi di ascoltare la musica digitale e fisica. Immaginate che la musica in streaming sia una sorta di aperitivo a buffet all you can eat, con cibo di qualità non eccelsa, nel quale, pagando una cifra fissa relativamente bassa, possiamo consumare ciò che vogliamo, in grandi quantità: probabilmente usciremo sazi, forse anche troppo, ma non ci saremmo goduti i sapori delle singole pietanze, anzi, probabilmente, neanche ci ricorderemo che cosa abbiamo mangiato. La musica fisica (vinile o cd) possiamo paragonarla a una cena alla carta in un buon ristorante di pesce, dove ordiniamo un antipasto e un primo oppure un primo e un secondo, pagandoli il giusto o anche tanto, ma si tratterà comunque una scelta consapevole e probabilmente ci godremo appieno i sapori delle pietanze, rendendola così un'esperienza più gratificante e memorabile. Purtroppo viviamo nell'epoca della gratificazione istantanea, del tutto e subito, dell'attenzione spezzettata di continuo dalle notifiche dello smartphone.

Abbiamo costantemente fame di novità e la nostra soglia di attenzione è crollata vertiginosamente negli ultimi anni, così i film e le serie tv hanno continui stacchi e montaggi sempre più frenetici, mentre le canzoni pop non hanno quasi più delle intro strumentali, ma entrano immediatamente nel vivo del brano, a volte con un ritornello che arriva già dopo pochi secondi per non perdere l’interesse degli ascoltatori. Se un brano ci annoia dopo un minuto, possiamo facilmente passare a un altro o direttamente a un altro cantante o a un altro genere musicale del tutto diverso dal precedente. Ovviamente, questo può accadere anche a chi ha molti vinili o cd in casa, ma una cosa è premere un tasto (che richiede al massimo un secondo) e tutt'altra è alzarsi dalla sedia, togliere il cd o il vinile dallo stereo, sceglierne con cura un altro dalla nostra collezione e inserirlo nel giradischi o nel lettore. Non un riflesso automatico, ma una scelta consapevole e più ponderata. Una scelta che, naturalmente, possiamo fare anche quando ascoltiamo la musica in streaming, un ecosistema che richiede, però, una disciplina ancora maggiore al fruitore di musica, invogliandolo a passare freneticamente da un brano (o da un artista) all’altro. Lungi dall'essere una pratica esclusivamente da "boomer" o da "riccardone", ascoltare per intero un album, dall'inizio alla fine, senza skippare non appena sentiamo qualche passaggio che non ci piace, ci permette di immergerci completamente nell'opera di un artista, coglierne il testo ma anche soprattutto il sottotesto, apprezzare i cambi di accordi o di mood all'interno di un brano, i colori, le sfumature e gli arrangiamenti.

Se questa routine vi sembra troppo impegnativa, è bene ricordare che la musica, in quanto arte, non è stata concepita per essere subita, ma per essere ascoltata attivamente: inoltre, ogni singola cosa (quindi anche una canzone) assume un nuovo significato all'interno di un insieme più ampio. Con questo tipo di ascolto attivo, lentamente, quelle melodie e quelle parole inizieranno a sedimentarsi e a entrare nella nostra memoria a lungo termine, costituendo le tessere di quel mosaico policromo e irregolare che è la nostra vita. Il motivo per cui, quando andiamo a un concerto di un artista o di un gruppo che amiamo da anni, i successi del passato ci danno emozioni incomparabilmente più grandi rispetto ai brani nuovi (magari anche di maggior valore musicale) è proprio questo: perché quelle canzoni le abbiamo ascoltate centinaia di volte, ne conosciamo ogni singola parola e ogni passaggio, ci hanno accompagnato attraverso le diverse stagioni della nostra vita, di cui ne fanno ormai parte. Il nostro potrebbe sembrare un discorso luddista o passatista, ma in realtà anche la tecnologia sembra aver recepito questa istanza, recentemente, attraverso una app che sia chiama Longplay, disponibile per ora solo per iPhone e iPad. Longplay è un’app iOS creata per chi ama ascoltare gli album musicali interi, dall’inizio alla fine. Si collega alle librerie Apple Music e iTunes Match e mostra solo gli album completi che vengono aggiunti, escludendo le playlist e i dischi di cui si hanno solo alcune canzoni. Uno strumento che, graficamente, si presenta come un vero e proprio muro con tutte le copertine degli album preferiti degli utenti, quelli che li hanno accompagnati per anni nelle loro vite. Un altro motivo per cui dovremmo tornare ad ascoltare gli album per interi, anche in streaming, è che, quando sono in studio, gli artisti e i produttori passano ore e ore a trovare la giusta sequenza dei brani, quella più funzionale al racconto del film musicale che è nella mente di chi lo ha creato. Pensate al secondo lato di Abbey Road, forse l'album più bello e completo dei Beatles, a Wish you were here dei Pink Floyd, a What's going on di Marvin Gaye o a Pet Sounds dei Beach Boys: ogni canzone è tematicamente e musicalmente collegata alla precedente, per cui ascoltarle in modo casuale o spezzettato non renderebbe giustizia a quei capolavori, che sono stati concepiti per essere ascoltati dall'inizio alla fine.

Voi guardereste al cinema un film a pezzi, saltando a piè pari dei passaggi fondamentali per il racconto? Ecco, ci siamo capiti. Certo, guardando alle classifiche italiane di fine anno, ascoltare per intero alcuni di quegli album trap potrebbe sembrare una tortura in stile Guantanamo per chi è cresciuto con un altro tipo di musica, ma, paradossalmente, un ascolto ininterrotto di album cupi e monocordi, senza saltare freneticamente da un brano all'altro, potrebbe indurre a cercare, dopo qualche mese, un altro tipo di musica più gratificante, non più basata su loop ripetitivi con due/tre suoni freddi creati in pochi minuti al pc, ma costruita con perizia artigianale e con strumenti veri, caldi, utilizzando ritmo, melodia e armonia per esprimere i propri sentimenti e pensieri. Così come esistono lo slow food e le slow news, modi diversi e più sostenibili di approcciarsi al cibo e alle notizie, dovremmo promuovere anche una sorta di slow music, dove la lentezza non è necessariamente associata al ritmo, ma al modo di ascoltare la musica: meno playlist, meno canzoni casuali, meno skip; più scelte consapevoli, più album interi, ascoltati più volte e per più tempo, senza passare freneticamente da un disco all'altro per seguire il trend delle centinaia di uscite che si susseguono ogni venerdì. Il discorso, ovviamente, non vale solo per gli album del passato, ma anche per i dischi nuovi: c’è tanta bella musica oggi, anche se spesso resta nascosta nei meandri delle piattaforme, tanti artisti di valore, da ogni parte del mondo, che hanno qualcosa da comunicare e che sanno comunicarlo in note, anche se difficilmente entreranno a far parte del mainstream. Ascoltare un album per intero, infine, è un ottimo modo per allenare la concentrazione e la nostra capacità di ascolto, due qualità che, soprattutto al giorno d'oggi, sono preziose quanto rare. Un concetto espresso benissimo, in una delle sue affermazioni più celebri, dal compianto pianista Ezio Bosso: «La musica ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare».

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Gabriele Antonucci