I Blur celebrano a Lucca il riscatto della Generazione X
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I Blur celebrano a Lucca il riscatto della Generazione X

ll concerto della band guidata da Damon Albarn presso le Mura Storiche ha entusiasmato 35.000 spettatori, tra successi del passato e brani appena usciti del nuovo album

«Domani è il tuo giorno fortunato/ Bene, ecco il tuo giorno fortunato/Potrebbe davvero, davvero, davvero succedere/ Se i giorni sembrano scorrerti addosso/ Beh, lasciali andare». Queste parole tratte dal capolavoro The Universal, brano portante dell’album The Great Escape del 1995, hanno chiuso, dopo quasi due ore, l’emozionante concerto dei Blur alle Mura Storiche di Lucca, dove sono accorsi 35.000 spettatori da tutta Italia. Una canzone di struggente bellezza, non solo per gli archi avvolgenti, gli ottoni squillanti e il suo coro ricco di pathos , ma anche per il suo significato, che è quasi un manifesto di speranza e di riscatto per la Generazione X, di cui i Blur sono gli indiscussi portavoce. Uomini e donne nati tra il 1965 e il 1980, cresciuti attraverso l’ottimismo degli anni Ottanta e Novanta, che poi si sono dovuti scontrare con le emergenze del Terzo Millennio, tra crisi economica, pandemia e guerre, portando con dignità le cicatrici. Una generazione perduta per alcuni, di certo poco fortunata perché cresciuta con l’idea di un mondo che è poi drammaticamente cambiato nel giro di pochi anni, ma che, di certo, non si è mai arresa, anche grazie all’amore per la musica. Certo, i Blur sono quattro cinquantenni fortunati, che non hanno certo problemi economici né incertezze per il loro futuro, ma i loro continui scioglimenti, le loro inaspettate reunion, i furibondi scazzi che poi vengono sempre sanati dalla loro profonda amicizia, fino al recente trionfo dei due concerti sold out a Wembley e la pubblicazione due giorni fa di un album come The Ballad of Darren, sorprendentemente fresco e ispirato, rappresentano il riscatto di una generazione che non si è mai arresa.

LA RECENSIONE DI THE BALLAD OF DARREN

Di grande suggestione la copertina del disco, con uno scatto del fotografo Martin Parr che ritrae un uomo solo, nel bel mezzo di una piscina, sotto un cielo plumbeo e minaccioso. Considerate che nemmeno negli anni Novanta, nel loro periodo di massimo successo e della rivalità con gli acerrimi nemici Oasis, la band di Damon Albarn si è esibita allo stadio di Wembley e oggi, a trentacinque anni dalla loro formazione, i Blur raccolgono i frutti di un repertorio che, per qualità e varietà, ha pochissimi rivali. Ma qual è il segreto dell’immutato successo, dopo oltre tre decadi, della band di Colchester? Probabilmente sono due: ironia e malinconia. Dando uno sguardo anche alla scaletta (perfetta) di ieri sera, quasi tutti i brani ruotano intorno a questi due grandi temi, a volte anche all’interno della stessa canzone. L’attitudine allo sberleffo intelligente, un costante senso di incertezza, il peso delle scelte del passato e un vago desiderio di giorni migliori attraversano quasi tutte le loro canzoni, che hanno una sorprendente ricchezza di stili che vanno dal pop all’alt rock, sfiorando anche il punk e il noise rock, ma quasi sempre con un’attitudine “arty”, in cui è evidente il loro amore per artisti come David Bowie, Talking Heads, Roxy Music, Smiths e i Beatles più sperimentali. Il concerto inizia alle 21.30 con l’energica St.Charles Square contenuta nell’album The Ballad of Darren appena pubblicato, come a dire: guardate che non siamo solo una band del passato, ma un gruppo in piena attività. Alla fine del concerto saranno tre le nuove canzoni eseguite, la già citata St. Charles Square, il singolo autobiografico The Narcissist e la godibile Barbaric cantata nel bis: tre brani che non sfigurano accanto ai classici di trent’anni di carriera.

Come accaduto recentemente nel concerto dei Depeche Mode (a cui li accomuna il produttore degli ultimi due dischi, il mago dei suoni James Ford), qui a Lucca non si celebra la nostalgia, ma la memoria di una stagione irripetibile e straordinariamente creativa, che è giusto trasmettere anche alle nuove generazioni (abbiamo visto numerosi padri insieme ai figli adolescenti, che un giorno li ringrazieranno per avergli fatto vedere i Blur dal vivo). Damon Albarn, con l’iconica polo Fila da tennis e gli occhiali da vista, è sorridente, divertito e cerca sempre l’interazione del pubblico, anche attraverso coraggiose incursioni nelle prime file del pit. Alex James, che ha sempre la sigaretta a un lato della bocca, dona profondità alle canzoni con il suo basso tridimensionale, mentre Dave Rowntree, reduce qualche giorno fa da un piccolo incidente domestico, tiene le redini dei brani con metronomica precisione, senza mai strafare (scuola Ringo Starr, tanto per capirci). Nella scaletta non mancano scelte sorprendenti, come Trimm Trabb e Villa Rosie, ma la forza dei Blur è anche quella di avere B-side che hanno poco da invidiare, per qualità musicale, alle hit. La prima scossa della serata è per la stralunata e ipnotica Beetlebum, nella quale Graham Coxon sfoggia tutto il suo repertorio di chitarre sature e caracollanti che sono uno dei marchi di fabbrica dei Blur, fino alle emozionanti armonizzazioni alla Beatles dell’inciso.

Uno dei momenti più attesi dagli ex adolescenti degli anni Novanta è l’irresistibile Coffee & TV (impossibile dimenticare il video della confezione di latte che vaga per le strade di Londra in cerca del chitarrista della band), cantata come sempre da Graham Coxon insieme ai 35.000 spettatori di Lucca, che poi si produce in uno dei suoi inconfondibili assoli stralunati. Il concerto entra nella sua fase clou, con l’esecuzione una dopo l’altra dei singoloni End of a Century, Country House e Parklife, tre canzoni che, da sole, valgono l’intera discografia di buona parte dei gruppi rock di oggi. I ritmi rallentano leggermente con To the end, forse una delle più belle canzoni “minori” dei Blur, con i suoi archi svolazzanti e le sue atmosfere nostalgiche che ricordano i gruppi vocali femminili anni Sessanta diretti da quel genio maligno di Phil Spector. Dopo che Oily Water e Advert mostrano l’anima più punk e corrosiva dei Blur, arriva il momento tanto atteso di Song 2, una canzone di incredibile potenza che ha trasformato i Blur in un fenomeno di portata mondiale, spalancandogli le porte degli Usa, che fino ad allora non vedevano di buon occhio un gruppo così palesemente e orgogliosamente inglese. Il concerto si chiude con il nuovo singolo The Narcissist, che contiene numerosi riferimenti alla fase di creazione della band e al costante rischio di rovinare tutto a causa dell’ego, e con la disillusione amara di This is a low, che racconta l’altra faccia dell’Inghilterra degli anni Novanta.

Albarn saluta il pubblico con un «Grazie, siete fantastici, vi amo!», ma è solo una breve pausa prima di servire il poker finale. Barbaric, pur essendo uscita solo due giorni fa, suona già come un classico del repertorio della band grazie al suo coinvolgente e malinconico refrain, mentre la gonzo-disco di Boys & Girls è un momento di pura esaltazione collettiva, con il frontman che, per l’occasione, indossa lo stesso giubbotto acetato della Fila che aveva nel video del 1994: per quattro minuti il tempo si è fermato e siamo tutti tornati con la memoria a trent’anni fa, quando quella canzone leggerina, ma oggettivamente irresistibile, ci ha fatto innamorare della band inglese, così diversa dai più seriosi rivali Oasis. Chi avrebbe, oggi, il coraggio di fare un coro così apertamente naif e semplice come quello di End of the century? Eppure quel «La la la la la», cantato a pieni polmoni dai 35.000 spettatori di Lucca, è la prova di come sia possibile creare una grande canzone unendo l’alto e il basso, come insegnava quel genio di Andy Warhol. Il finale, davvero memorabile, è costituito da due veri e propri inni, Tender e The Universal, di abbacinante bellezza: la prima è una “break up song” che invita a credere all’amore anche dopo che una storia è finita male; la seconda è un invito ad andare avanti, anche quando il cielo sembra sempre grigio, continuando a guardare in alto, nutrendosi della magnificenza dell’Universo, in attesa che il sole torni finalmente a illuminare il viso. Quando termina Tender, il pubblico, come accaduto anche a Wembley, continua a cantare per alcuni secondi il coro «Oh my baby, oh my baby/Oh why, oh my?», semplice, eppure straordinariamente emozionante. Proprio come la felicità.

La scaletta

St. Charles Square

There’s No Other Way

Popscene

Tracy Jacks

Beetlebum

Trimm Trabb

Villa Rosie

Coffee & TV

End of a Century

Country House

Parklife

To the End

Oily Water

Advert

Song 2

The Narcissist

This Is a Low

BIS

Barbaric

Girls and Boys

For Tomorrow

Tender

The Universal

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Gabriele Antonucci