Il «Duca Bianco» in un film
In occasione dei 75 anni dalla nascita di David Bowie, verrà presentato in anteprima mondiale, a fine gennaio, durante il Sundance Film Festival, il docufilm su di lui. A realizzarlo il regista Brett Morgen, già noto per il movie su Kurt Cobain. Intanto, a Londra e Roma, i temporary shop mettono in vendita t-shirt, foto, cd e vinili da collezione.
E' un crocevia della storia della musica il civico 23 di Heddon Street a Londra: lì, in un gelido e piovoso pomeriggio di 50 anni fa, il 13 gennaio 1972 David Bowie si mise in posa travestito da Ziggy Stardust, creatura misteriosa e aliena, un alter ego, simbolo delle contraddizioni della vita da rockstar, che con la sua ascesa e la sua caduta portava in scena la parabola della fama nel mondo del rock and roll (il titolo del disco per cui venne realizzato lo scatto era il leggendario The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders form Mars). Fu una visione del futuro, un colpo di genio, uno dei tanti del Duca Bianco, che l’8 gennaio di quest’anno avrebbe compiuto 75 anni.
Chissà come suonerebbe un suo disco oggi, si chiedono in molti… Impossibile dirlo, perché Bowie dalla fine degli anni Sessanta fino al giorno della sua morte ha anticipato tutte le tendenze musicali e d’immagine della musica contemporanea, anzi le ha inventate per poi abbandonarle una volta diventate moda: dal glam al punk, dal kraut rock all’elettronica, alle contaminazioni tra jazz e pop.
Bowie è stato «un one man brand formidabile», il primo artista della storia a quotare (ricavandone 55 milioni di dollari) le sue canzoni a Wall Street, intuendo con largo anticipo, nel 1997, che in una manciata d’anni la musica scaricata illegalmente da internet avrebbe annientato il mercato discografico.
Fin dai primi giorni successivi alla sua scomparsa si è parlato di centinaia di ore di filmati inediti in studio di registrazione e sul palco, un monumentale archivio segreto che la famiglia, per la prima volta, dopo anni di dinieghi, ha messo a disposizione del regista Brett Morgen, noto per il documentario Kurt Cobain: Montage of Heck. Morgen, con la collaborazione del produttore e amico di Bowie, Tony Visconti, e insieme al team che ha curato la qualità sonora del best seller Bohemian Rhapsody dedicato ai Queen, ha realizzato il docufilm definitivo su Bowie.
Al momento non è stata comunicata una data di uscita ufficiale, ma ci sono ottime possibilità che la pellicola venga presentata in anteprima mondiale a fine gennaio durante il Sundance Film Festival. Un’immersione senza precedenti nel mondo del Duca Bianco, la prima mossa sul grande scacchiere dell’industria musicale messa a punto dall’efficientissimo «estate» che si prende cura del marchio Bowie in tutte le sue declinazioni.
Quasi a sottolineare il new deal nella gestione di ciò che Bowie ha lasciato, è apparso a sorpresa online un video della moglie Iman girato nell’esclusiva e faraonica villa sulle colline di Catskill intorno a New York. Una straordinaria casa museo decorata con libri d’epoca, sculture e quadri, tra cui il primo autoritratto dipinto da Bowie nel 1980, una preziosa copia del libro A grave for a dolphin di Alberto Denti di Pirajno, fonte d’ispirazione per il testo del brano Heroes, e una scultura di Lynn Chadwick (Teddy Boy and Teddy Girl è il nome dell’opera) che l’ex top model regalò a David per il primo anniversario di matrimonio.
Un momento intimo cui è seguito qualche giorno fa l’annuncio di un accordo storico con la Warner Chappell Music che d’ora in poi sarà proprietaria esclusiva dell’intero catalogo delle canzoni di Bowie contenute in 27 album. Per diventare titolare di tutti i diritti d’autore e delle future utilizzazioni di ogni singolo pezzo presente nei dischi dell’artista, la big company ha versato agli eredi 250 milioni di dollari. «Io non so esattamente dove sto andando con la mia musica, ma vi assicuro che nessuno si annoierà» amava dire Bowie ogni volta che decideva di cambiare pelle, di rivoluzionare il suo sound, la sua immagine e la percezione che il mondo aveva di lui.
Bowie assorbiva l’arte come una spugna e la trasformava in dischi, film, videoclip o avveniristiche coreografie di palco. Un fiume di ispirazione che adesso, a ridosso del settantacinquesimo anniversario della sua nascita, viene celebrato in Heddon Street a Londra e in Wooster Street a Manhattan, a pochi passi dall’abitazione dove ha trascorso gli ultimi anni di vita. Per tutto gennaio rimarranno aperti due temporary shop, l’occasione per una full immersion totale nelle mille sfumature del linguaggio artistico di Bowie: suoni e immagini, accompagnati dalla tecnologia 360 Reality Audio, t-shirt esclusive, riproduzioni dei costumi di scena, cd e vinili da collezione, mostre fotografiche, incontri con i musicisti che hanno collaborato con Bowie (in Italia il pop up store resterà aperto fino al 19 gennaio presso la Discoteca Laziale di Roma).
Gennaio è anche il mese della pubblicazione di Toy, da 20 anni considerato «il lost album» del Duca Bianco, inciso nel Duemila e mai pubblicato per divergenze con la casa discografica. Un disco importante, registrato con gli stessi musicisti che lo avevano accompagnato nel trionfale concerto di Glastonbury, ma soprattutto un salto nel tempo, un tuffo nel passato, alla fine degli anni Sessanta quando Bowie era poco più che uno sconosciuto. Canzoni che solo i fan di stretta osservanza avevano ascoltato, e che Bowie aveva deciso di presentare in una nuova versione. E che adesso escono per chiudere il cerchio e mostrare a tutti, in quest’era di cantanti che ballano un paio di stagioni e di hit che scompaiono nel nulla dopo una manciata di settimane, com’era iniziata davvero la carriera di un ragazzo di Londra diventato icona d’arte per sempre.
«Ho avuto la magica opportunità di vivere nella Londra degli anni Sessanta» raccontava. «Ogni artista è figlio del suo tempo e io sono figlio di un momento storico straordinario. Perché nella Swinging London, anche nei momenti più bui, chi aveva talento e visione sapeva che prima o poi ce l’avrebbe fatta».
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