Lucio Corsi: un album tra sogno e realtà per farci dimenticare la trap
Nove belle canzoni tra ritratti stravaganti, personaggi inventati ed echi della migliore tradizione cantautorale
Qualcosa di diverso, uno stile personale lontanissimo dai singoli prefabbricati di questo tempo che sembrano un unico medley interpretato da tante voci, diverse ma accomunate dall'abuso di autotune.
Trentuno anni, tanta gavetta alle spalle , Corsi si presenta dopo Sanremo e prima dell'Eurovision con un album che lo fotografa per quello che è. Nove canzoni con impresso il suo timbro unico e originale, anche se non è difficile percepire tra i brani l'eco di nomi altisonanti come Ivan Graziani (su tutti), Lucio Dalla, Edoardo Bennato o Rino Gaetano.
Detto questo, nessuna canzone di Volevo essere un duro è puramente derivativa, Corsi, dal punto di vista creativo, è in momento di luce e crea musica figlia di chi vive in città ma viene da un altro mondo decisamente più bucolico. Un disco come questo serve a ricordare che anche nel presente c'è qualcuno che non si accontenta di produrre pop vacuo quanto inconsistente oppure musica vuota di sottofondo tra suggestioni trap e noiosissime ritmiche urban. E allora ben vengano le immagini di famiglia di Tu sei il mattino, diretta ed efficace come i grandi pezzi pop. Ancora meglio Sigarette, antitesi del politically correct e della retorica salutista obbligatoria.
Attinge direttamente dal repertorio di Dylan il blues "parlato" di Francis Delacroix un viaggio intriso di immagini reali quanto surreali. Un colpo di genio. Non è semplice rileggere il rock and roll delle origini, ma Lucio ci riesce bene in Let there be Rocko dedicata al bullo della scuola. E poi, ancora, il glam folk con richiami a Rino Gaetano che rende Questa vita uno dei pezzi forti del disco. Chiude in bellezza una ballad di grande intensità come Nel cuore della notte.
In definitiva, Volevo essere un duro è un bel disco, a tratti bellissimo, ma soprattutto è la vittoria di un artista che è diventato mainstream senza farsi concavo e convesso in ossequio agli stereotipi di un mercato che confonde sempre più spesso la fama (fugace) con la bellezza (della musica).