Lucio Dalla, "L’uomo di Piazza Grande” raccontato da chi lo conosceva bene
Il nuovo libro del giornalista e discografico Paolo Maiorino ripercorre la sterminata produzione musicale del cantautore bolognese attraverso le testimonianze e i ricordi dei suoi numerosi compagni di viaggio
Il primo marzo del 2012, oltre dieci anni fa, è una data tristemente nota agli appassionati di musica perché ha segnato la morte improvvisa di Lucio Dalla, avvenuta a causa di un attacco cardiaco in un albergo di Montreux, la città del jazz, dove si era esibito la sera prima. Le sue canzoni profonde e intense, la sua voce straordinaria, la sua musica così ricercata che attingeva alle sue esperienze giovanili nel jazz (soprattutto nell'uso dello scat), il suo personaggio buffo e al tempo stesso delicato, con il cappello e la barba, lo rendevano un artista fuori dal tempo, che ha lasciato un vuoto incolmabile nel panorama della musica italiana. Un genio del quale pensiamo di sapere tutto e che, invece, riserva ancora molte sorprese, come conferma il libro L'uomo di Piazza Grande. I dischi di Lucio Dalla raccontati dagli amici (pubblicato da Aereostella), curato dal giornalista e discografico Paolo Maiorino, frutto di anni di ricerca e approfondimento.
Non una biografia classica, ma il racconto della sterminata produzione musicale di Lucio Dalla attraverso le testimonianze e i ricordi dei suoi tanti compagni di viaggio. Tantissime le testimonianze di artisti, musicisti, produttori, discografici, manager, fotografi, video maker. Ron (che firma anche la prefazione), Renzo Arbore, Pupi Avati, Gianni Morandi, Fiorella Mannoia, Samuele Bersani, Luca Carboni, gli Stadio al gran completo (Gaetano Curreri, Ricky Portera, Giovanni Pezzoli, Fabio Liberatori e Marco Nanni), Paola Pallottino, Gli Idoli, Mario Lavezzi, Iskra Menarini, Angela Baraldi, Tony Esposito, Jimmy Villotti, Gianfranco Reverberi, Guido e Maurizio De Angelis; i produttori Alessandro Colombini, Mauro Malavasi, Roberto Costa e tantissimi altri. «Ho avuto il piacere, e la fortuna, di conoscere Lucio Dalla e di lavorare con lui durante la mia carriera. Per anni, prima e dopo la sua morte, ho frequentato casa sua a Bologna, in via Massimo D’Azeglio, mi sono appassionato al suo estro, alla sua genialità, al suo amore per l’arte. Ma, come spesso accade, solo dopo la sua scomparsa mi sono interessato ed entusiasmato nel ricercare testimonianze che potessero delineare un quadro più definito dell’uomo quanto dell’artista» racconta l’autore, Paolo Maiorino- «Per come lo avevo conosciuto, Lucio era un visionario, costantemente proiettato al futuro e animato da un’insaziabile curiosità. Un carattere estroverso, ma anche solitario e poetico, comunque spesso sopra le righe. La sua irriverenza, quello sguardo da perenne bambino si è per sempre stampato nei miei ricordi». Per gentile concessione pubblichiamo due estratti de L'uomo di Piazza Grande. I dischi di Lucio Dalla raccontati dagli amici, con i ricordi di Gianni Morandi e Samuele Bersani, grandi amici del geniale cantautore bolognese.
Il ricordo di Gianni Morandi
«Aveva una mente funambolica, mescolava sempre il divertimento col lavoro, almeno un'ora al giorno la passava ai videogames o a giocare a biliardino. A un certo punto si doveva lavorare e di colpo diventava serio e professionale. Quando registrammo Vita, volli cantarla almeno una decina di volte perché mi sembrava che ogni volta mancasse qualcosa. Lucio la cantò una volta sola. Gli feci notare che non era perfetta, che aveva stonato una nota o non pronunciato bene una parola. Mi rispose che andava bene, che la gente si abitua alle piccole imperfezioni perché è il feeling quello che conta. Se vai a sentire le nostre due interpretazioni, io sembro perfettino e lui quasi sguaiato, all'apparenza distratto. Poi dal vivo non reggevi il confronto perché Lucio era una bestia, un animale da palcoscenico, io mi davo da fare come un pazzo ma lui mi faceva a pezzi comunque. lo davo fondo a tutte le mie risorse e mi impegnavo, lui serafico da dietro la tastiera mi guardava e mi diceva: ‘Dai, stasera al massimo puoi pareggiare!».
La testimonianza di Samuele Bersani
«Ecco, quando doveva inventare, dava veramente il meglio di sé avendo una fantasia infinita. Il rapporto che ho avuto con lui non l'ho avuto più con nessuno, era persino possibile sentirlo in piena notte per leggergli quello che avevo scritto…Eravamo in grande sintonia, ascoltavamo tanta musica insieme, guardavamo decine di film. Ed era quasi sempre lui a proporre chi ascoltare, Keith Jarrett, Prince, i Pearl Jam...C'è un aneddoto che non credo di aver mai raccontato. Era un momento di grande positività, Canzoni stava andando alla grande e io avevo appena scritto Giudizi Universali. Lucio mi aveva prestato il suo maggiolone cabriolet perché non avevo un'auto a Bologna. Capitò che ci trovammo a discutere al telefono mentre ero in treno e stavo tornando in città. Si era fissato sul fatto che avrei dovuto partecipare al Festival di Sanremo, mentre io non ne avevo assolutamente intenzione. Avemmo un diverbio piuttosto acceso e alla fine dovetti impormi contro la sua ostinazione. Terminata bruscamente la telefonata tornai a casa per scoprire che mi aveva fatto portar via il Maggiolone con il carro attrezzi… Lucio sapeva essere l'uomo più generoso del mondo, ma a volte era granitico nelle sue decisioni. Avevamo molto in comune, come il fatto di essere entrambi figli unici e una certa conseguente necessità di solitudine».