Maneskin: il grande rito del rock and roll conquista Roma
La band romana ha entusiasmato i 60.000 spettatori dello Stadio Olimpico nella prima delle due date sold out nella loro città. Damiano ha citato Totti e ha stuzzicato i suoi detrattori prima di Beggin'
Dalle piccole esibizioni improvvisate a via del Corso nel 2017 per autofinanziarsi il loro primo singolo ai quattro sold out consecutivi allo Stadio Olimpico e a San Siro nel 2023, passando attraverso le vittorie al Festival di Sanremo e dell'Eurovision 2021 grazie alla loro adrenalinica Zitti e Buoni, i record di stream e gli affollati concerti nei più importanti festival mondiali. È questa, in estrema sintesi, la favola moderna dei Måneskin, la band romana formata dal cantante Damiano David, dalla bassista Victoria De Angelis, dal chitarrista Thomas Raggi e dal batterista Ethan Torchio, che hanno bruciato le tappe grazie soprattutto all'impatto delle loro performance live. Mentre le piattaforme streaming sono sempre più dominate da brani urban, trap e latin pop plastificati e senz'anima, i Måneskin hanno fatto tornare "cool" e in classifica il buon vecchio rock (seppure con una sapiente spruzzata di rap e con un'immediatezza tipicamente pop), basato soprattutto su riff di chitarra, ritmica implacabile, la giusta dose di arroganza del frontman, tanta energia e soprattutto, tanto, tanto sudore sul palco. Sudore che non è mancato di certo ieri nella prima, torrida data sold out allo Stadio Olimpico di Roma (si replica anche oggi, prima dei due show del 24 e del 25 a San Siro), dove i Måneskin hanno suonato con l'energia di una band di esordienti e la tranquillità di un gruppo di veterani del rock. Mentre sui social si scontrano da mesi due fazioni sulla definizione di rock o meno per la musica della band romana, il palco mostra un gruppo che, pur formato da ragazzi poco più che ventenni, hanno già assorbito tutti i topoi delle band rock: l'attitudine sbruffona, l'energia, la sensualità, il rapporto carnale con il pubblico e quel senso del godersi al massimo il qui e ora, senza preoccuparsi troppo del domani perché, come cantavano gli Who in My Generation, "spero di morire prima di diventare vecchio"
Lo show prende il via alle 21.15 sulle note diI wanna sleep, con la band che inizia a suonare prima ancora di entrare sul palco, illuminato da un impressionante gioco di luci, quasi un'astronave in stile Star Wars che plana poco sopra le loro teste. L'adrenalinica canzone si trasforma, senza soluzione di continuità, nel singolone Gossip, che nella versione da studio è impreziosito dall'inconfondibile chitarra di Tom Morello. Damiano, sudatissimo e carico, fomenta la folla prima di introdurre Zitti e Buoni, la canzone che ha cambiato la loro vita e la loro carriera: «Roma, voglio vedere tutte su quelle ca**o di mani!».
La canzone crea scosse telluriche di entusiasmo che attraversano tutti i settori dello stadio, anche la solitamente compassata Tribuna Monte Mario. «Per citare un grande uomo (la lettera di addio al calcio di Francesco Totti n.d.r.), permettetemi di avere paura. Per noi arrivare su un palco del genere è sempre stato un sogno, ma ogni traguardo è stato anche un punto di partenza e il nostro punto di partenza è stato così», afferma Damiano prima di cantare il funk-rock di Chosen, il brano che la band romana ha presentato prima alle audizioni e poi sul palco di «X Factor» nel 2017.
I Måneskin non sono mai fermi sul palco e sono bravi a sfruttare tutta l'ampiezza della passerella che li porta in mezzo al pubblico, con Thomas e Victoria che si cercano con lo sguardo e interagiscono continuamente, mentre alle loro spalle Ethan Torchio picchia senza pietà, con metronomica potenza, le pelli della batteria. Un boato di approvazione accoglie il singolo Supermodel (che racconta la vita decadente di una top model, amante del lusso, del jet set e della cocaina), introdotto da un riff nirvaniano, con il refrain “Hey don’t think about it, hey just let it go, ‘cause her boyfriend is the rock’n’roll” che è cantato in coro dai 60.000 dell'Olimpico. I ritmi rallentano per qualche minuto nella power ballad Le parole lontane, resa più suggestiva da migliaia di luci dei cellulari dello Stadio Olimpico. «Per me suonare qui, in questo stadio che frequento da tifoso, è sempre stata un'ossessione, un chiodo fisso. Potrei ringraziare tante persone, ma, per una volta, voglio ringraziare solo noi quattro: grazie Victoria, grazie Thomas, grazie Ethan. La canzone che sto per dedicarvi ci ha fatto capire che questa cosa si poteva fare», afferma Damiano, prima di intonare a cappella Iron Sky di Paolo Nutini, salutata da un fragoroso applauso dei fan. Dopo Baby Said e Bla bla bla, due brani energici ma poco originali, è la volta di uno dei momenti più attesi del concerto, quello di Beggin', il loro brano più ascoltato sulle piattaforme streaming: «Adesso è il momento di una canzone speciale, che ci ha portato tanta fortuna, soprattutto all'estero, però per una volta voglio fare il polemico. In molti hanno detto che "è solo una cover". Sì, è vero, è una cover, ma intanto noi l'abbiamo fatta».
Va detto che Beggin', soprattutto dal vivo, è quasi una nuova canzone rispetto a quella originale e "soulful" dei Four Seasons, grazie anche agli inediti inserti rap e al suo ritmo serrato. I ritmi si mantengono altri nel torrenziale rap-rock a-la Rage Against the Machine di In nome del padre e in For your love (che ha in comune solo il titolo con la celebre ballad di Stevie Wonder), prima di arrivare a Coraline, uno dei momenti più emozionanti del concerto: una canzone ispirata a una storia vera, entrata nel cuore dei fan, che la cantano con grande trasporto emotivo e con le luci dei cellulari a illuminare la notte dello Stadio Olimpico. I Maneskin si spostano sul palco B, a pochi metri dal pubblico, dove fanno fuoco e fiamme (con giochi pirotecnici degni di un concerto dei Kiss) in Gasoline e Timezone. Il maggior picco di adrenalina della serata è sicuramente la lasciva I wanna be your slave, che scatena la danza dei 60.000 dello Stadio Olimpico, con Damiano in trance agonistica che salta e incita il pubblico per tutto il tempo, mentre Thomas Raggi mette in mostra le sue doti chitarristiche in un lungo assolo e Victoria conferma, con il suo basso tridimensionale, di essere la vera regista del sound della band. Dopo tanta elettricità, è il momento del raccoglimento del set acustico, con solo David e Thomas alla chitarra che scendono in mezzo al pubblico (tenuto faticosamente a freno dalla sicurezza) nel brano-tormentone Torna a casa e nell'inno generazionale della Generazione Z Vent’anni.
La band torna poi sul palco principale, con un assolo di basso e di batteria che introduce la cavalcata finale de La Fine, in cui Victoria suona facendo crowd surfing tra le prime file del prato, Mark Chapman, Mammamia e Kool Kids, con una cinquantina di fan che vengono fatte salire sul palco per ballare. Il bis è formato dalla malinconica The loneliest e, di nuovo, da I wanna be your slave, che entusiasta nuovamente il pubblico dell'Olimpico. Il fatto che una canzone sia proposta per due volte in scaletta spiega qual è, per ora, il tallone d'Achille dei Måneskin: l'ampiezza del repertorio. Se è vero che la giovane band romana ha pubblicato finora solo tre album (Il ballo della vita nel 2018, Teatro d’ira - Vol. I nel 2021 e Rush! a gennaio del 2023), è anche vero che i brani originali che sono entrati nel cuore delle persone si contano sulle dita di una mano o poco più: gli inni Zitti e buoni, I wanna be your slave e Mammamia e le ballad Torna a casa, Vent’anni e Coraline. Anche Supermodel, Gasoline e Gossip sono brani d'impatto, soprattutto dal vivo, ma l'impressione è che i Måneskin, anche attraverso l'aiuto di nuovi autori, abbiano bisogno di canzoni che suonino meno derivative e che abbiano un maggior respiro e una maggiore dinamica, con testi che, come nel caso di Coraline, siano in grado di raccontare storie in grado di toccare il cuore delle persone, anche a distanza di anni. In questo modo, anche i loro concerti, dove i Maneskin sono oggettivamente forti, potrebbero guadagnare qualcosa in termini di emozioni e di ricordi. Comunque, per citare un noto brano reso immortale dalla versione dei Rolling Stones, il tempo è dalla loro parte.