La musica rap ha ancora qualcosa da raccontare?
Il genere nato dalla cultura hip hop sta vivendo un cambiamento radicale, l'ennesima evoluzione di una storia che va conosciuta
La musica cambia e si evolve alla pari dei costumi e dei tempi. Prima tra tutte il rap, genere della black music che fin dalla fine degli anni '70 ha cambiato le regole della musica. Il rap è nato dalla contaminazione, un fenomeno che negli anni è cambiato e si è evoluto intrecciandosi con altri generi e rivoluzionando le regole del gioco.
Dai primissimi block party fino al conscious hip hop e al jazz rap passando per il Gangsta rap, la golden age del genere era sfociata in un successo senza precedenti che portava i nomi dei Run-DMC e dei Public Enemy fino al primo gruppo di rapper bianchi, i Beastie Boys. A partire dalla fine degli anni '80 la febbre delle rime invade così tutto il pianeta e ogni nazione inizia a sviluppare la sua scena che prende forte ispirazione dai classici americani.
Una musica di rivolta e protesta, capace di veicolare messaggi politici senza schierarsi e di far muovere il pubblico grazie al suo ritmo che rimbalza. Il ruolo dell'MC, il maestro di cerimonia banalmente più conosciuto come rapper, diventa così sempre più elaborato e si allontana sempre di più dal ruolo originale di conduttore e intrattenitore in rima.
Arriviamo ai giorni nostri, con una scena che vive delle novità in arrivo da Usa e Francia. Ultima in ordine di tempo la trap, il sottogenere del rap che ammicca ad elettronica e dubstep. I nuovi artisti del genere, anche in Italia, ribaltano ogni regola, a partire dalle registrazioni: il testo SEMBRA avere un ruolo più marginale e anche i live, che negli anni passati erano vere e proprie prove di forza tecniche, diventano più simili ad un dj set dove il rapper canta sopra la sua stessa canzone.
Un enorme karaoke che punta all'intrattenimento e sull'immagine ma che sembra aver declassato tecnica e testo. Tutto vero? Solo in parte. Il nuovo rap ha messo al primo posto immagine e strumentali e ad oggi un beatmaker e un videomaker hanno quasi la stessa visibilità di chi tiene il microfono. Nei brani di nuova generazione si fatica però a comprendere i testi, spesso quasi sussurrati per lasciare la priorità al tappeto musicale che detta il tempo. Come se non bastasse l'auto-tune ha ulteriormente appiattito le caratteristiche nella voce e i virtuosismi lessicali.
Per questo motivo il rap non ha più niente da dire? Tutt'altro. Questa nuova (apparente) superficialità e i testi incomprensibli al primo ascolto stanno infatti portando i giovanissimi a cercare sempre di più i testi delle canzoni su internet, studiandoli a prescindere dalla musica. Il rap è cambiato, così come tutta la musica che vive una contaminazione elettronica inarrestabile. In Usa, Francia e in gran parte del mondo, le novità portate dal southern rap sono state accolte come un naturale proseguimento di una contaminazione alla base della cultura hip hop, madre della musica rap.
In Italia invece, nonostante il genere rap sia spesso raccontato con stereotipi e superficialità, esistono centinaia di artisti che ad oggi continuano a portare avanti sfumature diverse del rap e con diverse priorità lessicali. Artisti come Fabri Fibra, Marracash, Ensi, Gemitaiz, Mezzosangue e molti altri hanno continuato a regalare al proprio pubblico perle di storytelling, testi che un giorno verranno studiati e apprezzati alla pari dei grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana.
La vera sfida del rap sarà educare il suo pubblico a svestire la monotonia delle parole prefabbricate, dei concetti indotti da un'industria troppo vecchia per una novità del genere. C'è chi dopo dieci anni ha imparato il significato delle parole flow, freestyle, contest e dissing. Gli stessi che ora preferiscono catalogare l'ondata trap come spazzatura piuttosto che capirne l'origine e il valore.
Il mondo del rap resta un enorme take-away di idee da scegliere a discrezione dei propri gusti, delle tematiche, delle sonorità. Per ogni carattere esiste un artista rap ideale che di certo non troverete nelle radio italiane, spesso troppo drogate di numeri e promozioni per azzardare consigli musicali sinceri. Ad oggi il rap è vivo, ma non ha più senso chiamarlo unicamente rap, una parola che in Italia stimola troppo spesso parodie incomprensibili e noiose. La verità è che il rap, nelle sue tantissime forme, ha ancora moltissimo da raccontare. La domanda è un'altra: il pubblico del rap ha ancora voglia di ascoltare o solo di sentire?