Robbie Williams e la scimmia popstar del biopic Better Man
(Ansa)
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Robbie Williams e la scimmia popstar del biopic Better Man

Bastano pochi minuti di visione per «dimenticarsi» che il protagonista del docufilm Better Man abbia le sembianze di un primate anziché della popstar Robbie Williams. Questi tratti rappresentano le sue insicurezze, le dipendenze da droga alcol, sesso e anche la morsa dello «showbiz». Un racconto da vedere al cinema, non solo per gli effetti speciali.

Delle strade di Sanremo prese d’assalto nel 1994 da migliaia di fan urlanti dei Take That non ricorda niente Robbie Williams. «Forse ero strafatto» ha ammesso di recente mettendo in scena quel mix di autoironia e schiettezza disarmante che lo caratterizza e lo rende differente, se non altro meno ipocrita, da gran parte dei suoi colleghi/e.

Per queste ragioni, il suo biopic, Better Man, ha qualcosa di rivoluzionario in questo genere di pellicole che funzionano benissimo al box office, ma che spesso sono soltanto la versione ripulita ed edulcorata di vite trascorse in equilibrio precario sulla follia. Nell’affidare la sua storia al regista Michael Gracey, Williams ha scelto di non omettere quasi nulla, di mostrare il ragazzo grassottello e bullizzato di Stoke On Trent che scala uno dopo l’altro tutti i gradini del successo autodistruggendosi sistematicamente: un passo in sù verso l’olimpo delle superstar e uno in giù verso gli inferi delle dipendenze. Tutte le dipendenze, non una: cibo, alcol, droga e sesso. Una vita di “discese ardite e risalite”, per dirla alla Mogol (dal testo del brano di Lucio Battisti, Io vorrei…non vorrei… ma se vuoi), illuminata da lampi incredibili nel segno del riscatto e dalla profonda inquietudine della depressione sempre in agguato.

Robbie, affranto dal divorzio dei genitori, che canta My Way con il padre, Peter, nel salotto di casa e la popstar, Williams, che qualche anno dopo piange mentre intona tra le lacrime l'evergreen di Frank Sinatra davanti alla Royal Albert Hall di Londra che gli tributa una standing ovation, sono due immagini potentissime che dicono più di molte parole. Il ragazzo sovrappeso dello Staffordshire che diventa popstar e che irrompe come una divo d’altri tempi nel tempio british della musica colta. Un’ascesa stellare che però non zittisce i demoni che lo circondano. E a nulla servono i potenti cocktail di vitamine che si fa iniettare prima dei concerti negli stadi: mentre centomila persone urlano il suo nome, lui, nei camerini soffre, ha paura, sogna di tornare bambino e di essere accanto alla nonna sul divano di casa.

Quella di Williams è una narrazione ad alto impatto emozionale, dal punto di vista cinematografico ma anche musicale. Alcune delle sue hit sono storia del pop, classici senza tempo: da Angel a Feel, passando per Come undone, No regrets, She’s the one, Let me entertain you. Tutte presenti nel film, che ha una sceneggiatura talmente brillante ed evocativa da far dimenticare dopo una manciata di minuti che quello che si vede sul grande schermo non è un essere umano con le sembianze di Robbie, ma una scimmia creata dalla Weta FX, la big company di effetti speciali responsabile di Gollum nel Signore degli Anelli e dello scimpanzé immaginario,Cesare, nel Pianeta delle scimmie. Il corpo è quello dell'attore inglese Jonno Davies che durante le riprese ha utilizzato un costume motion capture per registrare i movimenti, gli occhi dello scimpanzé sono invece quelli veri di Williams. Un’altra meraviglia tecnologica in un biopic che svela la star dal punto di vista umano. La star che diventa scimmia, simbolo di un successo troppo grande, che la trasforma in animale ammaestrato da palcoscenico nelle mani dello show biz. E poi la scimmia intesa come il groviglio di dipendenze che trasforma la ricchezza e la popolarità in un campo minato. Non casualmente si intitola Me And My Monkey, il capolavoro della storia musicale di Williams, una canzone-film, intrisa di immagini surreali che raccontano la lotta disperata per uscire dal baratro della cocaina.

«Mi chiedono se questo film sia liberatorio… Potrebbe esserlo, ma se non sarà un successo, allora non lo sarà più di tanto. E quindi mi serviranno altri anni di psicoterapia. No, non ho fatto Better Man perché qualcuno possa riconoscersi nelle mie fragilità. Se succede mi fa piacere, ma quel che mi ha spinto è stata esclusivamente la mia carriera» ha dichiarato di recente con quella franchezza narcisistica che è diventata il suo brand. Ad accompagnare le immagini, una delle sue canzoni più riuscite degli ultimi tempi, Forbidden Road, che nelle strofe ricorda s lui e a tutti come ogni persona sia allo stesso tempo il quadro e il pittore della propria vita. Un gran bel brano, uscito prima del film, che era stato inserito nella shortlist degli Oscar per la categoria Miglior Canzone Originale. Poi, il colpo di scena: Forbidden Road esce dalla shortlist perché troppo simile in alcuni passaggi ad un’altra canzone, I Got A Name, del cantautore americano Jim Croce, presente nella colonna sonora del film del 1973, The Last American Hero. Come hanno fatto ad accorgersene? Semplice, uno dei responsabili della sezione musicale dell’Academy, Charles Fox, è tra gli autori di I Got A Name…

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Gianni Poglio