Rockets: viaggio alla riscoperta dello space rock
(Yamile Barcelo)
Musica

Rockets: viaggio alla riscoperta dello space rock

Un nuovo album, The Final Frontier, che guarda al sound delle origini del gruppo. Quando Plasteroid fece irruzione nelle classifiche italiane. Era il 1979...

Hanno precorso i tempi i Rockets, una band spesso sottovalutata dalla critica, ma che negli anni Settanta e Ottanta ha messo le basi per il sound del "French Touch", facendo dialogare l'attitudine space rock e il progressive con la disco music e l'elettronica e creando un'immagine ben definita grazie ai volti argentati e ai costumi spaziali. A chiudere il cerchio un'imponente coreografia live, assolutamente unica nel suo genere, con laser, fumi, effetti speciali e un'astronave sul palco.

Per questa ragione vi consigliamo un riascolto di album seminali come il primo leggendario "disco verde", On the Road Again, Plasteroid o Galaxy. Riscoprire questi dischi cult del gruppo francese significa anche comprendere l'origine di fenomeni come i Daft Punk. Della band degli inizi è rimasto il tastierista Fabrice Quagliotti accompagnato da Rosaire Riccobono (basso), Gianluca Martino (chitarra), Eugenio Mori (batteria) e Fabri Kiarelli (voce). Dopo un riuscito album di cover, Time Machine (in cui brillavano soprattutto i remake di Walk on the wild side di Lou Reed e Riders on the storm dei Doors), arriva ora un disco di inediti, The Final Frontier, che si riconnette alle origini del gruppo e allo spirito space rock degli inizi con qualche incursione nel glam in stile Bowie dei primi Settanta. Tra i pezzi più potenti, Ride the sky e Punk from Mars. Echi pinkfloydiani, invece, in Ballad pour la terre.

In Cosmic Castaway ricompare con un brillante assolo il chitarrista degli anni d'oro, Alain Maratrat. «Per un suo problema personale non suonava da quasi due anni, ma quando gli ho chiesto di incidere le parti di chitarra lo ha fatto con grande piacere. Ed è stato straordinario e raffinato come è nel suo stile. L'intero album è dedicato a lui» dice a Panorama.it Fabrice Quagliotti.

«The Final Frontier richiama le atmosfera del primo disco e di Plasteroid. È un ritorno al rock che in buona parte dipende dall'inclinazione del nuovo cantante» racconta. «Questo album mi riporta indietro nel tempo, a quando sono entrato nel gruppo. Tra gennaio e febbraio torneremo anche dal vivo con undici concerti in Italia. Per questo ci siamo rivolti ad uno studio, Katia Creative, per realizzare dei costumi stupendi, coerenti con l'atmosfera space rock del disco. La scenografia sarà all'altezza del tour di Galaxy (1980; ndr) con un palco imponente» spiega.

«Il primo produttore dei Daft Punk era in ottimi rapporti con il nostro producer degli inizi e non ha mai fatto mistero dell'influenza che abbiamo avuto sui Daft Punk. Mi piace moltissimo tutto quello che hanno fatto, il loro straordinario lavoro sui loop...» racconta. «Il nostro disco verde, il primo, era concettualmente un album di ricerca senza un filo conduttore tra i pezzi. Io, allora, non ero nella band, poi le cose si sono evolute fino ad arrivare Plasteroid che invece aveva un'identità sonora ben definita e a fuoco».

Ma oggi chi segue i Rockets? «Ci sono i fan storici, ma anche ragazzi giovani che ci hanno scoperto attraverso i padri e gli zii oppure guardando i video dei concerti su Youtube. Ricordo come se fosse oggi uno show incredibile in Piazza del Plebiscito a Napoli davanti a centomila persone. Dovevo iniziare un brano strumentale, ma mi sono fermato per quindici secondi per fissare il pubblico, una marea umana di cui non si vedeva la fine. I brani strumentali sono una caratteristica di tutti gli album della band. Anche in The Final Frontier ce ne sono due. In particolare, HD1 ha un 'atmosfera molto prog» racconta.

«Se siamo ancora in giro a suonare è perché quarant'anni fa abbiamo fatto qualcosa di rivoluzionario, abbiamo creato un connubio unico tra musica, immagine e spettacolo dal vivo. Allora si poteva osare, si poteva inventare, in questo tempo sarebbe impossibile perché è tutto già visto. Ancora oggi, in Italia, non esiste una persona che abbia cinquant'anni o più che non si ricordi dei Rockets. Per comprendere meglio la nostra storia e quello che abbiamo fatto, consiglio un docufilm uscito da poco su Prime Video Si intitola Fenomeno Rockets».



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Gianni Poglio