Tupac, storia di un ribelle: il libro
Avrebbe compiuto 50 anni il 16 giugno, uno dei rapper più influenti di sempre, morto 25 anni fa il 13 settembre del 1996. La sua storia è ora raccontata nel libro scritto dal giornalista Andrea Di Quarto. Qui sotto, un estratto della biografia...
Rapper, attore, poeta, ballerino, attivista, teppista, ribelle. La complessità di Tupac Amaru Shakur, il rapper assassinato a Las Vegas nel 1996 e considerato uno degli artisti più prolifici e influenti nella storia della cultura hip hop, è innegabile. Ha vissuto solo venticinque anni, ma ha realizzato più di quello che la maggior parte degli artisti possa mai sognare. In una carriera discografica tragicamente ridotta, ha venduto più di settantacinque milioni di dischi in tutto il mondo (con All Eyez on Me e il suo Greatest Hits che hanno superato entrambi i dieci milioni di copie), ha avuto sei nomination ai Grammy e tre agli MTV Video Music Awards, preso parte a film divenuti iconici per la "cultura della doppia acca", ha scatenato il bisogno di cambiamento nei ghetti d'America e del mondo quando altri artisti non ne erano in grado oppure avevano paura di farlo. Andrea di Quarto, autore di Tupac Storia di un ribelle (Tsunami)
Fanculo Milano, andiamo ad Amsterdam!
«Poco prima che terminassero le riprese di Gridlock'd – Istinti criminali, mentre eravamo seduti nel camper», ha raccontato l'ex guardia del corpo di Tupac, Frank Alexander, nel suo memoir, «lui mi disse: "Sai che la prossima settimana andremo in Italia?". "Davvero?". "Sì, è la settimana della moda e dobbiamo andare là. Non penso che in Italia si possa portare una pistola, per questo ci occorre un'altra guardia del corpo. Ci serve un altro grosso nigga". […] Trovammo Michael Moore, membro di una squadra di bodyguard. Tupac era soddisfatto, gli piaceva l'idea di presentarsi a Milano con due dei fratelli più grossi della California».
Il rapper primo in classifica negli Stati Uniti volò quindi alla volta dell'Italia, dove quell'estate il rap che impazzava era Tranqi Funky, primo singolo estratto da Così com'è, terzo album degli Articolo 31 e il più amato in assoluto del duo milanese. Sabato 29 giugno alle 8.30 del mattino, accompagnato dalla fidanzata Kidada Jones, dalla fedele guardia del corpo Frank Alexander e dall'altro bodyguard, Michael Moore, Pac sbarcò all'aeroporto di Malpensa. Alloggiò a Milano al lussuoso hotel Principe di Savoia, in Piazza della Repubblica, e, secondo Karla Radford: «Fu totalmente sorpreso e commosso nel vedere come gli italiani lo conoscessero e lo amassero. Quando arrivammo davanti all'albergo, c'erano un sacco di fan che lo aspettavano per salutarlo e lui era davvero impressionato».
Quella stessa sera era ospite del fashion show di Donatella Versace insieme a Kidada. Alexander racconta che «nel giro di due giorni Tupac doveva andare a dodici sfilate di moda con relative feste. La prima cosa che notò quando controllò il programma era che io e Michael non avevamo il permesso di accedere alla sfilata di Dolce & Gabbana. Lui e Kidada erano stati confermati ma, per ragioni di spazio, noi avremmo dovuto aspettare fuori. Tupac disse: "Si fottano!". Se noi non potevamo entrare, non sarebbe andato neppure lui, così questa fu l'unica sfilata alla quale non andammo: alle altre sfilate anche noi avevamo il permesso di entrare».
Tsunami Edizioni, la cover di Tupac Storia di un ribelle
La prima tappa milanese prevista dal programma fu un giro alla boutique di Versace di via Montenapoleone, ma Shakur era nervoso. Ricorda Alexander: «La prima cosa che Tupac voleva era l'erba. "Trovatemene un po'!", disse, "pensavo fosse già tutto organizzato". Così gli venne promesso che sarebbe stato fatto il possibile per rimediargliela. "Dannazione, mi serve un po' di erba", continuò. Eravamo nella camera di Karla e Tupac era irritato. "Diventerò pazzo se non troverò un po' di erba!", disse. "Non posso rimanere senza erba per una settimana. Se l'avessi saputo avrei portato la mia!". A questo punto cominciò a non ragionare più. "Cosa facciamo?", disse. Alla fine passò una settimana senza erba, ma parlava soltanto di Amsterdam: "Quanto è lontana, possiamo andare in macchina fin là?". Qualcuno gli aveva detto che in alcuni ristoranti si poteva ordinare erba, così quello che pensava Tupac in quei momenti erano cose del tipo: "'Fanculo l'Italia, andiamo ad Amsterdam"».
Anche l'incontro con Gianni Versace è stato magistralmente raccontato da Alexander. Seppur abituato a vivere a contatto con le star americane, il bodyguard rimase molto colpito dall'impatto con la dinastia della medusa: «Io non avevo idea di chi fosse Gianni Versace. La prima volta che lo abbiamo incontrato è stato al suo negozio e tutti i Versace ci stavano aspettando. Ci assegnarono un accompagnatore e ci stesero il tappeto rosso. Notai che sua sorella Donatella e sua figlia avevano più guardie del corpo di Tupac, così cominciai a parlare con una di loro. Mi disse che la famiglia Versace non poteva andare da nessuna parte senza le guardie del corpo, poiché la vita di Gianni era stata minacciata. Capii che la piccola [la figlia di Donatella] era l'obiettivo maggiore e la security dei Versace era pronta a qualsiasi evenienza. Gianni era una persona genuina e mi accorsi che era molto amato dalle persone che erano attorno a lui». Salutati i Versace, Pac si recò all'incontro successivo, quello con Valentino. Quindi lo attendeva l'intervista con il più importante giornale italiano, il Corriere della Sera.
Ad aspettarlo in albergo c'era Mario Luzzatto Fegiz, storico inviato e critico musicale del quotidiano milanese. «Versace e io eravamo molto amici, mi aveva approcciato dicendomi: "Io e lei facciamo lo stesso mestiere, le spiegherò come si coniugano la musica e la moda"», ricorda. «Era molto attento alla musica, seguiva tutto e su certe cose ne sapeva più di me. Mi disse che c'era un rappettaro che sfilava per lui, che nel suo Paese era molto famoso e mi convinse a incontrarlo. All'epoca il rap in Italia non era popolare e, poiché non conoscevo Tupac, mi documentai sul suo curriculum. Vedendo la sua fedina penale e tutti i problemi che aveva avuto, chiamai Gianni e scherzando gli dissi: "Hai messo al sicuro l'argenteria?". Invece, anche se nell'intervista non disse niente di particolare, quello che mi colpì fu proprio la sua educazione e la sua raffinatezza».
A testimonianza di quale fosse l'importanza del rap all'epoca per il più importante quotidiano nazionale, basti ricordare che l'intervista uscirà quasi un mese dopo, domenica 25 luglio, all'interno di una pagina di spettacoli che apriva con 'Jovanotti fa centro nell'ombelico dell'Europa', dettagliato reportage di Davide Frattini sul concerto elvetico del «rapper che ha scelto la kermesse d'Oltralpe», ovvero il Festival di Nyon, definito senza indugio «uno dei più importanti della Svizzera». Di spalla, lo stilista Kenzo spiegava come 'L'acid jazz ispira la mia moda'. Quindi, al centro della pagina, 'Tupac Shakur: il mio rap è una pallottola sui benpensanti': nella sua breve intervista, Luzzatto Fegiz notava come Pac, a dispetto della sua fedina penale, fosse «ben lontano dagli atteggiamenti spacconi e arroganti di altri rapper come MC Hammer, Public Enemy, o di punk come i Sex Pistols». In quell'occasione, Tupac spiegò come il suo interesse per la moda fosse nato proprio in galera, dove «fortunatamente arrivavano molte riviste come Vanity Fair, e ho potuto farmi una cultura. Così, appena ho avuto successo con il mio rap, non mi sono fatto scrupolo di spendere migliaia di dollari ogni volta che mi piaceva qualcosa da indossare». Il rapper ebbe modo anche di toccare argomenti seri. Spiegò come lui rappresentasse «il capro espiatorio ideale: sono nero, vengo dal ghetto, canto il rap, costituisco in ogni caso un pessimo modello per un sacco di giovani che seguono più le mie canzoni che le prediche dei loro genitori o degli insegnanti». Spiegò che il suo rap faceva tanta paura ai benpensanti «perché rappresenta la realtà brutta e violenta, senza mediazioni. D'altra parte, come fa a condannare la violenza dei ghetti una classe politica pronta a mandare i suoi eserciti ovunque ci sia un conflitto?».
Il Corriere della Sera fu l'unico quotidiano italiano a incontrare Tupac
Alle nove di sera del suo primo giorno italiano, Tupac Shakur arrivò alla sfilata di Donatella Versace. Come previsto dal programma, nel corso della serata eseguì 'California Love'. La nottata proseguì all'Hollywood, una nota discoteca meneghina sempre frequentata da personaggi famosi e da aspiranti tali. Anche quella notte era piena di giovani che si stavano scatenando e, quando riconobbero Tupac, tutti persero la testa. Lui salì alla postazione del DJ, ovvero un giovane DJ Ringo, oggi colonna portante dell'emittente rock Virgin Radio, e cominciò a cantare un'estemporanea versione di 'How Do U Want It'. In consolle scambiò anche qualche rima con il rapper milanese Piergiorgio Severi, conosciuto dagli appassionati italiani di hip hop col nome di Space 1, storico hype man di J-Ax.
Per ironia della sorte, incontrò lì una ragazza californiana che conosceva, ex moglie di un rocker. Era piccolina, alta circa un metro e sessanta, e indossava un abito trasparente molto sexy. Alloggiava anche lei al Principe di Savoia e fu proprio nella stanza della vecchia amica che Tupac trascorse la prima parte della notte, per poi rientrare nella propria dove l'aspettava Kidada. Fra una serie di grottesche avventure sessuali (raccontate fin troppo dettagliatamente da Frank Alexander nel suo libro), l'urgente ricerca di erba e contrattempi vari, quelli italiani furono quattro giorni movimentati.
Il 30 giugno Tupac fu ospite della sfilata di Gianfranco Ferré alle 11.30 del mattino. «Tutti gli stilisti volevano che Tupac indossasse i loro abiti, quindi dopo ogni sfilata dovevamo andare in una boutique a provare gli abiti per quella successiva. Era massacrante», ricorda Karla Radford. Quindi fu la volta della sfilata di Romeo Gigli, che volle tutto il gruppo in passerella. L'ex marine Frank Alexander non voleva saperne. Quello della moda non era decisamente il suo ambiente, ma Pac fu irremovibile: «Come la mettiamo, Frank? Non vuoi partecipare alla sfilata? Stronzate! Se partecipo io, lo devi fare anche tu». Frank tentò di opporre resistenza: «Dai Pac… Andiamo… Non posso farlo». E lui: «Ci siamo dentro tutti, è così e basta!».
Così fu. Le immagini di Tupac Shakur in passerella, vestito di un completo di velluto color oro e a braccetto di Kidada Jones, e i due enormi bodyguard che li seguono vestiti con l'identica, stroboscopica, eccentrica camicia a strisce oblique, sono ormai entrate nella leggenda, e si possono facilmente reperire su YouTube (anche se lì, erroneamente, la sfilata viene attribuita a Versace).
La tappa successiva fu quello che Frank Alexander definisce «il castello di Gianni Versace», dove c'era anche Naomi Campbell, che però non li degnò di molta considerazione. Nei giorni seguenti assistettero ad altre sfilate, fra cui quella di Byblos e di Valentino, alla quale Shakur assistette da dietro le quinte. Fino a ora non era mai stato invitato a qualcosa di simile, ma amava la combinazione di musica e moda. In tutte le sfilate c'era musica che pompava e tutti erano in festa. Lo colpì la professionalità dei modelli e delle modelle che si cambiavano senza timore di mostrare il proprio corpo nudo. Nessuno si preoccupava di sbirciare chi si stava cambiando, tutti pensavano a svolgere il proprio lavoro… tranne Tupac, naturalmente. «Tupac amava l'Italia», ha scritto Alexander. «Non potevamo non notare quanto fossero belle le donne in Italia. Non solo le super modelle, ma tutte le donne italiane. Tupac le amava e la cosa che più lo aveva colpito erano gli occhi delle donne italiane: amava gli occhi delle donne italiane. Lo capivo, sapevo esattamente di cosa stesse parlando. In America non puoi trovare occhi come quelli delle donne italiane».