Nestore Morosini ricorda Gilles Villeneuve
Trentuno anni fa moriva l'amato pilota canadese, le sue gesta ricordate grazie alle memorie del giornalista che lo frequentò fuori e dentro il paddock
“Il medico uscì dalla camera del pronto soccorso, l'infermiera spense la grande lampada bianca. Si guardarono... scossero la testa... ‘Trasportiamolo in ospedale — disse il dottore — con l'elicottero... subito... un tentativo estremo... Ma è difficile che possa sopravvivere a lesioni come queste...’. L'elicottero, grande e verdastro, s'alzo turbinando, farfalla del destino di Gilles Villeneuve”.
Si chiude così il primo capitolo del libro intitolato “Gilles Villeneuve” e scritto da Nestore Morosini nel lontano 1982, lo stesso anno della scomparsa del campionissimo della Ferrari, morto per le conseguenze di un tragico incidente durante le qualifiche del Gran premio del Belgio. Sulla copertina del volume, anche la fotografia di uno striscione confezionato dai tifosi del pilota canadese: “Gilles, finita la tua storia, inizia la tua leggenda”.
31 anni dopo, niente è cambiato. L’affetto per il “piccolo grande uomo” della Rossa di Maranello è sempre fortissimo. Lo dimostrano i commenti che seguono la pubblicazione di libri e articoli che raccontano le sue gesta. Lo confermano le dichiarazioni degli uomini Ferrari di oggi.
“Era un uomo molto socievole, dolce di carattere – racconta a panorama.it il giornalista che ha avuto modo di frequentarlo fuori e dentro il paddock -. Gli piaceva molto parlare della sua grande passione, le automobili. Ma gli piacevano anche gli elicotteri e le barche. Insomma, seguiva tutto ciò che si muoveva con un motore. Ma questo non gli impediva di dedicare grande attenzione alla sua famiglia.
Portava suo figlio Jack in montagna a sciare, Melanie era scatenata, la faceva divertire con un motorino. La vittima per modo di dire di tutta la famiglia era la moglie Johanna, che però seguiva volentieri il marito con cui stava da tanto tempo assieme. Si erano fidanzati ai tempi della scuola e, da allora, non si erano mai più lasciati.
Capitava spesso di vedere i figli ai box?
Non durante le corse, certo. Si facevano vedere durante le prove, poi correvano via quando si cominciava a fare sul serio. Tutto normale, insomma.
Come si poneva Villenueve nei confronti della stampa?
Chiunque gli poteva fare qualsiasi tipo di domanda, non c'era nessuna preclusione per nessuno. Rispondeva sempre, non si arrabbiava mai. Dopo le corse, era sempre disponibile per scambiare qualche parola. Non se ne andava come altri colleghi con l'elicottero. Ripeto, era un uomo molto socievole e disponibile.
Era un campione vero e suo figlio ha preso da lui. Ho intervistato telefonicamente Jacques nel giorno della sua prima pole position. Bravissimo anche lui. Come suo padre, che parlava inglese, francese e italiano. A proposito, Gilles aveva un'altra grande passione, l'hockey su ghiaccio...
Dai motori ai pattini...
Una volta mi ha portato al Forum di Montreal per vedere una partita di precampionato. Aveva un grande amico che si chiamava Guy Lafleur, detto il demone biondo, un giocatore fortissimo che giocava senza casco. E lui mi diceva: 'Guarda quei capelli biondi come vengono mossi dal vento quando fa gol'. E io gli rispondevo: 'No, Gilles, io guardo la televisione, perché se guardo giù mi viene male'. Seguivamo la partita da un box a 20 metri d'altezza sul rettangolo da gioco, che paura...
Si può dire che Villeneuve sia stato un personaggio unico nella Formula 1?
Sicuramente, sì. Non fosse altro perché ancora oggi è ancora uno dei piloti più amati dagli appassionati italiani. Era ed è rimasto il più amato di tutti. Oggi ci sono ancora 30 club Ferrari intitolati a suo nome. Nonostante abbia vinto soltanto 6 corse e mai un titolo mondiale.
A tuo parere, qual è l'eredità che ha lasciato ai piloti di oggi?
Nessuna, secondo me non se lo ricordano. I piloti di oggi forse non sanno nemmeno chi sia stato, cosa abbia fatto. Oggi la Formula 1 non è più un concorso sportivo, è uno show business. Non c'è poesia, c'è molta meno umanità. Vuoi mettere i piloti di oggi con Clay Regazzoni, Ayrton Senna, Gilles Villeneuve. Altra storia, altri contesti, altri uomini. Era un mondo diverso, anche nell'automobile.
Perché il volante era un volante, il cambio era un cambio e si manovrava con la mano destra, la frizione era una frizione perché si pigiava con il piede sinistro, il freno con quello destro. C'erano le staccate e tutto il resto. La macchina assomigliava a un aeroplano, però era più vicina meccanicamente al mondo di oggi. Fossimo saliti noi su quelle macchine, ci saremmo ritrovati. Prova a farlo con i bolidi che vediamo adesso in F1, non ci capisci niente. E gli errori capitano perché i piloti si dimenticano come manovrare i bottoni...
Ecco, appunto, un pilota come Villeneuve avrebbe fatto bella figura nella F1 di oggi?
Certo che sì, sarebbe stato un campionissimo. Avrebbe vinto tutte le corse.
Analogie tra lui e un fuoriclasse come Alonso?
Gilles non era un pilota di classe. Più semplicemente, era un pilota. Chiaro, Alonso è fantastico, ma fallo guidare con le macchine di allora. Secondo me avrebbe qualche difficoltà.
Qual è il ricordo che porti con te di quel maledetto 8 maggio del 1982?
Ho sofferto molto, anche perché mi fu chiesto di scrivere una dozzina di articoli su di lui e avrei preferito farne a meno. Mi piace pensare alle nostre trasferte da Milano a Maranello. Guidava lui e io avevo una paura del diavolo. Si divertiva soltanto lui, per la verità. Andava come una spia. Mi diceva 'Stai zitto e divertiti'. Villeneuve come Senna. I grandi piloti erano uomini, non robot.