Alessandro Gassman
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Non sono più il figlio di Gassman

È ambasciatore dell’Onu. Fa il regista impegnato. È polemico con la politica (e seguitissimo su Twitter). E ora incita anche i romani

"Spegni le luci", è l’ultima frase che gli ha detto suo padre poco prima di spegnere le sue di luci, quelle della vita. "Il giorno dopo è morto. Lui era fissato con le luci. Anch’io passo le ore a spegnerle".

Se sei figlio di un gigante, come lo è Alessandro Gassmann, hai due opzioni per stare bene: o ti fai trasparente, o cerchi la tua dimensione senza gare con i fantasmi famigliari. E magari finisci per essere un grande, un vero grande, ma in un altro modo. Chi è rimasto al clichè di Alessandro Gassmann bello da calendario, "figlio di", attore mai eccelso e uomo trasparente (la prima opzione) ha infatti da rivedere tutto.

Nell’ordine, l’ex giovane Gassmann è esploso come attore (il primo botto con Caos calmo), ha firmato diverse regie di docufilm superpremiati e di un grandioso Riccardo III teatrale, da lui anche interpretato; ha diretto due Stabili; ha trainato con la sua presenza il successo di Una grande famiglia su RaiUno; ha in lavorazione due regie e due film da interprete; è diventato ambasciatore dell’Onu, incarico che lo sta portando nelle "periferie del mondo"; ed è considerato un "influencer" nel gergo di Twitter, uno che viene seguito da oltre 120 mila follower.

Twitta su tutto, dai migranti alla riforma elettorale, dall’assenteismo parlamentare alla mafia. Ironico, asciutto, raggelante: 140 caratteri gli bastano per muovere il pensiero altrui. In una parola: è "impegnato". Perché, dice, "un po’ alla volta mi si sono accese delle lucine".

Ancora luci, da spegnere o da scoprire di avere. Dal padre ha ereditato, fra l’altro, un mazzo di regole, che a mo’ di carte da gioco cala una alla volta, senza enfasi, davanti a un caffè, facendosi vincere da qualche sigaretta, che, dice, non vorrebbe fumare: "Niente scorciatoie: non sono valide. Le regole vanno rispettate, sempre. Mai sprecare le cose. Spegni le luci. E mi raccomando, se sei in presenza di una testa di c…zo, segui attentamente quello che dice, fallo parlare fino in fondo. Non interromperlo. Per questo ascolto Matteo Salvini". A Leo, il figlio sedicenne, Alessandro ha chiesto di leggere un quotidiano al giorno, perché vuole che sia informato e non beva la prima menzogna passata per verità. E poi lo interroga. "Gli amici lo guardano come fosse un pazzo perché legge i giornali. Ha un gran senso del dovere, come me. Per il resto siamo completamente diversi e anche di questo sono contento. Se sono "esploso", come dice lei, il merito è molto di mio figlio.

Perché?

Fino a poco tempo fa davo meno importanza a certe cose e non rendevo pubblico il mio pensiero. Invece, lo sguardo sulla realtà attraverso l’immagine di mio figlio è molto interessante.

Si sono accese le fatidiche lucine… Quando la prima?

Leggendo i testi di Thomas Bernhard, che raccontano la solitudine dei diversi.

È così che si sente? Una volta si è definito "un bastardo".

Meglio la parola "meticcio", è più dolce. Mia madre è francese, ho un quarto di sangue ebreo e un quarto tedesco. Non mi ritengo cittadino di un solo posto. Sono interessato alle anomalie, nella convinzione che diventeranno la normalità.

Tre anni fa ha aggiunto una enne al suo cognome. E non per vezzo.

Durante le persecuzioni naziste, mia nonna cambiò il cognome: lo italianizzò per evitare ritorsioni sui figli, da Ambroon ad Ambrosi. Mio padre, per semplificazione, usò una sola enne nel suo, io l’ho rimessa, simbolicamente, perché mi farebbe piacere che in futuro nessuno dovesse cambiare il proprio cognome per avere gli stessi diritti degli altri.

Vede che parla da "impegnato". E del resto per i suoi 50 anni si è "regalato" due settimane nei campi profughi.

Quando l’Unhrc, l’organizzazione Onu che si occupa del rispetto dei diritti umani nel mondo, mi ha chiesto di diventare ambasciatore ho posto una condizione: accetto solo se mi date la possibilità di essere fattivo, non voglio essere il personaggio pubblico che va in mezzo ai disperati e si fa immortalare. Sono stato in Giordania e in Libano, nel più grande campo profughi del mondo, dieci chilometri dal confine siriano. E, checché ne dica Salvini, i siriani non vedono l’ora di tornare a casa, non sono un popolo di migranti.  

Lì ha girato un docufilm, non è così?

A tenere su il morale di questa gente sono rimasti gli artisti: pittori, scultori, poeti… Vede, l’arte è ciò che ci rende simili. Loro là, sono uguali a noi.

Alcuni giorni fa ha "postato" una foto di migranti italiani a inizio secolo: #noi come loro…

Questo è un Paese che ha la memoria corta. A parte, i volontari e le molte persone generose, c’è un 15 per cento di italiani che aderisce al messaggio di paura di Salvini o di Casa Pound. Intendiamoci, il buonismo è dannoso quanto il razzismo. A me piacciono quelli che cercano soluzioni.

Mentre la politica, non lo fa: non ha detto questo a Giorgia Meloni, in un diverbio diventato di culto in rete?

Mi è simpatica, anche se non condivido quasi nulla del suo pensiero. Però non posso sentirmi dire: "Lei non si può permettere di dare giudizi".

Tanto che le ha risposto: "Voi politici siete pagati da noi e quindi siete giudicati da noi che vi paghiamo. È chiaro questo? È chiaro?".

Ho fatto il mio dovere di normale cittadino.

Proprio normale lei non è: oltre 120 mila follower, il cognome con due enne, foto postate, polemiche e più di 80 tweet inviati a Matteo Renzi. Per cosa?

Non mi piaceva l’idea del capolista bloccato nella nuova legge elettorale. Ma non mi ha mai risposto.

In dieci parole, l’opinione sul premier?

Ha coraggio, ci mette la faccia, ma ha troppa fretta.

Cioè?

Non si può far passare una legge elettorale con la fiducia. Preferirei che andasse a 80 chilometri all’ora invece che a 100, e che si confrontasse di più.

Ma insomma, lei da che parte sta?

Sarei socialista, pensi come sono messo bene!! Io parteggio sempre per i più deboli, sono votato alla sconfitta. Purtroppo non c’è più una destra-destra, e una sinistra-sinistra: la mia generazione è stata fortunata, c’era la divisione netta.

Si dice che sia stato un fascistello.

Avevo 14 anni, andavo in una scuola di estrema destra. Ero un cretino. Avevo già a che fare con il mio cognome: dovevo sfogare l’aggressività da qualche parte. Ma non sono mai stato violento. E comunque l’anno dopo mi hanno cambiato liceo, uno rossissimo, e mi sono ritrovato a gridare in piazza: "Basta, basta, è ora di cambiare. Il Pc deve governare". Andava così, a quei tempi.

E ora come la vede?

Mi concentro sulle persone. Spero che la politica lo faccia. E che ci sia più informazione e partecipazione. Bisogna sapere chi votare e soprattutto chi non votare.

Serissimo. E dire che chi la conosce bene sa che è uno facile agli scherzi.

Vero. Da ragazzi avevamo un amico narcolettico: gli riempimmo la tenda di pallonicini. Quando si svegliò, non riusciva a muoversi. Se sono all’estero, dove non mi riconoscono, fingo di essere un mafioso ma in maniera repellente; mi aggiusto la pistola che non ho… E con mio figlio ripeto lo scherzo che papà faceva con me: a tavola, in un ristorante straniero, fingeva di essere il vecchio con la "marchetta". Insopportabile.

Non teme lo spettro della depressione che piegò suo padre?

Per ora non ho avvisaglie, anche se ho conosciuto una cugina della depressione: l’ansia, con attacchi di panico. Sto facendo analisi da anni. E comunque la vecchiaia, a parte il decadimento fisico troppo accelerato, aiuta in saggezza.

Vecchiaia a 50 anni?

L’errore di mio padre è stato quello di dedicarsi quasi esclusivamente al lavoro. Io mi faccio molti regali: viaggi, pause…

E alla boa dei 50 cosa si è concesso?

Oltre alle settimane in Africa, un check-up con i fiocchi. Ho fatto tutte le analisi. Anche quelle più fastidiose.

E i risultati?

Pare che rimarrò su piazza ancora per un po’.

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Stefania Berbenni