La nuova architettura più a misura d'uomo
Dal confronto (pacifico) tra un architetto ed un ingegnere la nuova tendenza che bada meno alla spettacolarità e più ai bisogni delle persone (ambiente compreso) e meno alla fama dell'architetto
“È finita l’era dell’architettura dello stupefacente. Niente più cose eccezionali, niente più grandi strutture urbane, come fossero oggetti di design. Oggi non costruisci un’opera autobiografica ma un’opera per le persone che la abitano. C’è al centro l’uomo che vive l’opera e non l’autore dell’opera - sono le parole che l’architetto Marco Casamonti ha usato durante il 10° Pambianco Design Summit per indicare la strada da seguire – “In Italia abbiamo costruito ovunque, abbiamo devastato le coste, riempito di capannoni il Veneto. Dobbiamo riusare in modo consapevole. Costruire meno e riusare ciò che è stato già fatto”.
Il saper fare italiano nel design ha un valore inestimabile, grazie agli architetti italiani che sono tornati a fare un lavoro di servizio. Bandito ogni esercizio di stile, al centro l’uomo e la transizione ecologica da affrontare in maniera innovativa grazie all’innovazione tecnologica, unita al digitale.
Tutti i grandi nomi del movimento italiano si sono dati appuntamento a Piazza Affari, compreso l’architetto Marco Casamonti, founder di Archea Associati (10 milioni di fatturato nel 2023), uno degli studi di progettazione più importanti in Italia con sede in Europa, Cina, Emirati Arabi, Brasile e Albania che sta progettando parte della The Line, la città a emissioni zero in Arabia Saudita, un gioiello urbanistico nel cuore del deserto. Importante anche il contributo dell’ingegnere Gianmichele Melis, Europe Property Leader di Arup (12,3 milioni di fatturato nel 2023), fondata nel Regno Unito 70 anni fa da Ove Arup, umanista, ingegnere e filosofo. Un gruppo di progettazione e ingegneria internazionale con 18.000 professionisti in 140 paesi, vincitori del concorso internazionale di progettazione per la riqualificazione dello stadio Artemio Franchi di Firenze. Gran parte delle opere di Renzo Piano sono ingegnerizzate da loro e sempre a loro è stata affidata l’Arena Santa Giulia di Milano che ospiterà il fiore all’occhiello delle prossime Olimpiadi Milano Cortina 2026: le gare di hockey.
Un architetto e un ingegnere a confronto.
Marco Casamonti, Founder Archea Associati
Faccio l’architetto in giro per il mondo, “usiamo” in altre parole l’eccellenza italiana. Per anni ho visitato le nostre aziende, i nostri artigiani: l’ho fatto per imparare da loro. Oggi quegli insegnamenti li mettiamo al servizio dei progetti, anche perchè noi non vendiamo prodotti ma idee. Il nostro essere italiani è un valore aggiunto e sappiamo di avere un grande vantaggio, perché ogni volta che dici di essere un architetto italiano, pensano “questo è bravo, sa cosa è lo stile, sa cosa è l’architettura”. Sono nato a Firenze e immediatamente pensano ai grandi maestri del Rinascimento senza avere meriti acquisti, se non il fatto di portare con me il know-how italiano, il nostro saper fare.
Quali sono le tendenze nel mondo della progettazione?
Sta cambiando l’idea di cosa sia il lusso e cosa debba fare l’architettura per arrivarci. Fino al 2005 regnava l’architettura dello stupefacente, dovevi fare cose eccezionali, ogni architetto faceva grandi strutture urbane, come fossero oggetti di design. Oggi tutto questo è cambiato. Non devi pensare più a costruire un’opera autobiografica ma un’opera per le persone che la abitano. C’è al centro l’uomo che vive l’opera e non l’autore dell’opera. Siamo tornati a fare il nostro lavoro in una maniera giusta. Infondo l’architetto fa un lavoro di servizio, è un interprete. Adolf Loos, pioniere dell'architettura moderna diceva che l’architetto è un muratore che parla latino. Ed è così, non parla l’esperanto, parla una lingua colta ma non parla tutte le lingue, è la sua lingua. La tendenza nel mondo della progettazione oggi pone al centro l’uomo, la persona, i temi ambientali della sostenibilità. Quest’ultimo aspetto riguarda tutti noi, stiamo vivendo un periodo di transizione ecologica ma non per scherzo, dobbiamo pensare a costruire meno, a costruire dove abbiamo già costruito e lavorare attraverso le idee per rinaturalizzare i suoli che abbiamo distrutto. Gli architetti devono fare un lavoro di autoriflessione e pensare a come è cambiato il loro modo di vedere il mondo. In Italia abbiamo costruito ovunque, abbiamo devastato le coste, riempito di capannoni il Veneto. Dobbiamo riusare in modo consapevole quello che abbiamo fatto, questo è un altro importante tema dell’oggi.
Riutilizzare il già costruito.
Guarda cosa accade a Milano: c’è uno stadio bellissimo, che è San Siro. Prima lo volevano demolire, nonostante fosse il tempio del calcio, adesso la Sovrintendenza lo ha bloccato e le due squadre di calcio vogliono ognuna il suo stadio. Quanti ettari di suolo consuma un nuovo stadio? Non ho nulla contro chi vuole costruire uno stadio, ma prima di farlo dovremmo domandarci se può essere utilizzato quello vecchio riqualificandolo.
Anche a Firenze, sono in ballo con un nuovo stadio.
C’è stata una grande polemica tra la proprietà e l’amministrazione comunale. Siamo arrivati in finale al concorso internazionale fatto per aggiudicarsi il progetto. Ha vinto il team di Arup, perché ha fatto un progetto più intelligente.
Noi abbiamo fatto il loro centro sportivo, che mette al centro l’uomo. Non è solo un campo sportivo dove vai ad allenarti, ci sono generi e generazioni, dai bambini, alla prima squadra, come fosse un campus universitario, ecologico, nel verde, dove la gente si allena. Lo sport è un grande strumento di comunicazione in grado di trasmettere nuovi valori. Occorre portare chi progetta verso questa responsabilità, in modi diversi parliamo la stessa lingua e lanciamo lo stesso messaggio culturale che riguarda tutti.
Poi ci sono le complessità amministrative e burocratiche.
Negli anni ‘90 lo stadio di Firenze fu sistemato per i Mondiali di calcio, fu tolta la pista di atletica e la Sovrintendenza decise che le curve non si potevano demolire. Oggi quelli di Arup sono costretti a fare delle curve dentro le curve per avvicinare le persone al campo. Un fenomeno tutto italiano. Come vede a volte abbiamo delle complessità amministrative e burocratiche che impediscono di fare progetti lineari. L’opera in questione è difficile per tanti motivi. Gliene dico uno? A Firenze non ci sono i soldi per finire lo stadio e così la copertura si farà a metà. Tra due anni, avremo lo stadio nuovo, metà coperto e metà scoperto. Siamo l’Italia.
C’è chi progetta e chi produce.
Produrre è difficile, noi facciamo un mestiere più facile, produciamo idee. Ogni mattina mi viene un’idea, difficile da mettere in pratica se di fronte non ho artigiani, aziende e operai capaci di dare corpo a quell’idea. Quando vado in cantiere e vedo che stanno costruendo una cosa che ho disegnato sono lì a ricordarmi quanto sono bravi e straordinari. Come quando vai ad un concerto e il frontman smette di cantare, rivolge il microfono verso il pubblico che intona la canzone perfettamente. È lo stesso tipo di emozione che un architetto prova.
In Italia, nel settore dell’arredo del mobile, siamo i migliori ma abbiamo un po’ disimparato a costruire, non siamo più bravi come 40 anni fa quando si costruiva ovunque. Ci sono altri paesi nel mondo dove si costruisce tanto e meglio.
Un progetto che le sta a cuore.
Ho due progetti che mi stanno a cuore, la cantina di Antinori, uno dei primi grandi edifici del vino che anni fa si è posto il problema di doversi e volersi integrare con la natura e poi c’è The line. Non siamo solo noi ma tantissimi architetti a lavorare per la realizzazione di un’utopia: una città lineare, lunga 170 km, alta 500 metri, larga 250 metri. Questa idea proposta dagli americani al re dell’Arabia Saudita è un’idea tutta italiana, nata nel 1967 da un gruppo di ragazzi di Pistoia, che si chiamavano Superstudio. Nel 1972 furono invitati per una loro idea utopica al MoMa di New York per una mostra: The New Domestic Landscape. Ecco, gli americani hanno preso la loro idea, l’hanno copiata e ci hanno fatto i soldi. Detto questo, ogni studio di architettura fa un pezzo di questa città, a noi spettano 300 metri, alti 500, dove ci sono 3 milioni di metri quadri. Qualcosa di folle e divertente, un grande lavoro di ricerca, dove potremo imparare tanto.
Com’è andato il primo incontro?
Quando sono andato a Londra, queste cose si fanno là, ci hanno chiesto una città a gravità zero. Di solito gli edifici partono da terra e vanno su. Parliamo di una città fatta di piloni di cemento armato, 30 metri per 30 metri, disposti ogni 80 metri e di linee della metropolitana che la attraversano. Niente strade, zero automobili. Abbiamo deciso di appendere i grattaceli al contrario, siamo nella zona della marina; quindi, vedrete edifici che cadono come grappoli d’uva, riflessi nell’acqua nella visione reale. C’è una inversione tra reale e virtuale. Stiamo imparando a capire come lavorare in condizioni estreme: sei in mezzo al deserto, in una città completamente strana, loro cercano l’ombra, noi cerchiamo il sole. Se a ovest tramonta il sole lì metto il soggiorno, a est nasce il sole e ci metto la camera da letto. Loro cercano l’ombra per difendersi. È un grande canyon che devi progettare, sapendo di doverti confrontare con i più grandi studi di ingegneria al mondo.
Un aneddoto.
Mi dissero: “Vogliamo fare la prima città senza strade ne automobili”. Li guardai, sorrisi e gli dissi che avrebbero potuto fare la seconda, perché la prima era stata già fatta in Italia: Venezia. Non hanno inventato nulla e torno a dire che siamo in un paese straordinario, siamo solo un po’ incasinati perché non siamo mai d’accordo su nulla ma singolarmente queste esperienze sono eccezionali. Stiamo teorizzando, pensando e sul piano culturale costruendo il mondo di domani. I grandi maestri del Rinascimento erano dei visionari incredibili, viviamo ancora oggi di quella cultura e ci camperemo ancora per qualche centinaio di anni.
Con Arup avete lavorato a braccetto.
In varie occasioni, certo. Sono il più grande studio di ingegneria al mondo, sono migliaia di persone, guidate da una Fondazione. Pensate alla sola Opera di Sydney. Avete in mente il vetro visarm che si incolla con la pellicola? Lo hanno inventato loro. Lo ha inventato Peter Rise, quando doveva inserire i vetri in quel progetto disegnato da Jørn Utzon. Vetri di 20 metri che si potevano rompere e loro cosa fanno? Ti inventano il vetro laminato, che si accoppia, per la prima volta al mondo. Fu qualcosa di straordinario.
Fanno questo loro. Tu vai lì con un problema e loro lo risolvono, che poi è la stessa cosa che su livelli diversi fanno i nostri artigiani. Sono il perno dei problem solving. Pensate che la gran parte delle opere di Renzo Piano sono ingegnerizzate da Arup, il che vuol dire che difronte a un problema riescono a fornire più soluzioni. È un supporto straordinario.
La parola progetto viene dal latino PRO JECTUS, è l’azione del proiettare in avanti qualcosa che non c’è. Poi ci vogliono le competenze. Non è l’architetto che inventa le cose, oggi più che mai il rapporto con l’ingegneria è fondamentale. Lavoriamo con sistemi integrati, si chiama Building Information Modeling, dentro ci sono impianti, strutture, interni. Un solo file di lavoro per tutti, ecco, questa integrazione e visione della progettazione integrale è fondamentale per fare le grandi opere.
Giammichele Melis, Europe Property Leader Arup
Siamo un mondo che sta attraversando delle sfide senza precedenti, fortemente influenzato dai macro-trend dell’economia globale. Il mondo del Real Estate (mercato immobiliare) è in buona parte in crisi. I volumi di transizione sono in diminuzione in tutto il mondo, Italia compresa, però riallacciandomi alle parole dell’architetto sono concorde con lui nel dire che la transizione ecologica è un trend di cui il mondo del costruito non può prescindere. L’innovazione tecnologica, unita al digitale ci dà gli strumenti necessari per affrontare in maniera innovativa e incisiva questa trasformazione ambientale.
In relazione al consumo del suolo, credo che sia un imperativo per noi recuperare e riutilizzare le strutture esistenti, senza necessariamente costruire del nuovo. Dovremmo abbandonare per quanto possibile la demolizione e puntare sulla ricostruzione. Entra in gioco anche la questione Carbon Footprint, l’impronta carbonica, le emissioni di CO2. Dobbiamo preservare il contenuto di CO2 già speso nella realizzazione di un edificio.
Come avete fatto a vincere il progetto dello Stadio della Fiorentina?
Probabilmente perché abbiamo scelto di salvaguardare il contesto locale. Il bando richiedeva la non demolizione di un edificio vincolato e la riconfigurazione delle tribune per ottimizzare la visione e la fruizione dell’evento. Volevano una nuova copertura e la nostra idea si basava su dei principi chiari. Riconfigurare il catino, le sedute dello stadio all’interno di quelle esistenti che hanno una nuova funzione, in modo da creare nuovi spazi e una copertura più bassa possibile per salvaguardare quella che è la visione del paesaggio locale. Come tutti gli stadi moderni era richiesto che le tribune fossero il più vicino possibile al terreno di gioco. Abbiamo aperto il cantiere tre mesi fa.
Sfide del futuro.
Alcuni progetti internazionali sono diventati icone del nostro supporto ingegneristico, penso ai vari progetti del Centre Pompidou che abbiamo seguito. Una delle principali sfide che abbiamo in Italia oggi è il progetto di rigenerazione urbana della nuova Arena Santa Giulia che ospiterà le Olimpiadi Milano Cortina 2026. In questo caso cerchiamo di combinare la nostra esperienza internazionale con la conoscenza locale. Un progetto corale in cui noi di Arup ci occuperemo della macchina, della configurazione, dell’edificio al suo interno. Sarà un impianto sportivo, ospiterà le gare di hockey, il fiore all’occhiello delle prossime Olimpiadi però sarà anche in grado di ospitare sport di altro tipo, come il tennis, il basket, la pallavolo ma la destinazione finale sarà un’altra: i concerti. Avrà una capacità di 16.000 posti. Il cantiere è iniziato a maggio 2023 e il completamento è previsto per dicembre 2025. La vera sfida sarà stare nei tempi e per farlo dovremo lavorare insieme all’impresa di costruzione e al cliente.
Date un supporto indispensabile all’impianto visivo dell’opera. Com’è lavorare con gli architetti?
Dalle collaborazioni con gli architetti nascono le migliori cose. Il loro estro, la loro inventiva, parlo di visionari come Casamonti, uniti alla nostra esperienza ingegneristica ci permette di realizzare queste grandi opere nel modo e di farlo nel modo più efficiente possibile. Mi piace parlare di Optioneering, facendo in modo che nel processo decisionale tutti i soggetti siano coinvolti, perchè non c’è mai una sola soluzione. L’idea di un progetto architettonico nasce a quattro mani, ma parte dal gesto degli architetti, dalla loro matita sul foglio. A noi piace cercare soluzioni ingegneristiche per quelle visioni. È questa interazione, che poi è il processo del design, che ti permette di arrivare in maniera interattiva alla convergenza delle cose e quindi alla migliore delle soluzioni.
Numeri, bilanci, statistiche, ricerche. Nell’export del Made in Italy, tra i dati emersi, spicca l’importanza del mercato Usa. Le esportazioni del nostro paese valgono, parliamo dei dati del 2023, 12 miliardi di euro, -4% rispetto all’anno precedente ma sono state bilanciate da una crescita del mercato interno. I paesi di riferimento continuano ad essere la Francia, con il 17%, gli Stati Uniti (+13%), la Germania (+9%) e il Regno Unito (+8 %). Crescono gli Emirati Arabi Uniti, del +8% nel 2023, e considerando i dati del primo quarter 2024 (+14%) non fatichiamo a credere che il trend sarà ancora in positivo.