Panorama dal 1982 al 1991: chiamiamoli pure gli anni dell’edonismo Reaganiano
Speciale 60 anni di Panorama - terza puntata
Li hanno chiamati in modi diversi, anni del riflusso nel privato o del disimpegnodalla politica. Ma forse la definizione più azzeccata è quella che si fece largo in tv, fra battute demenziali e siparietti comici: Edonismo reaganiano. Un tormentone che Roberto D’Agostino, celebre «lookologo» di Quelli della notte, programma mitologico battezzato da Renzo Arbore, ha definito il piedino di porco per penetrare nella Weltanschauung degli anni Ottanta. Ronald Reagan c’entra poco, se non che in quel decennio rappresentò l’America come 40esimo presidente degli Stati Uniti. La definizione invece, ha molto a che fare con il Sessantotto e con ciò che venne dopo come conseguenza di quella rivolta giovanile, ovvero gli Anni di piombo.
Sì, l’Edonismo reaganiano fu un modo di lasciarsi alle spalle una stagione cupa, dominata dal terrorismo e dall’antagonismo politico. Dopo un decennio a tinte fosche, eccone uno scintillante, pieno di speranze e di sogni, più attento alla vita privata che a quella pubblica, meno interessato al Noi e al collettivo e più preoccupato dell’Io e del personale. Per capire il fenomeno, basta ripensare ai titoli dei libri che in quel periodo scalarono le classifiche, a cominciare da quell’Insostenibile leggerezza dell’essere che proprio D’Agostino portò in tv, trasformandolo in un successo senza precedenti. Ma insieme al capolavoro di Milan Kundera, quelli sono gli anni del Pensiero debole di Gianni Vattimo, un’opera che si contrapponeva al pensiero forte del marxismo, e de L’Impero dell’effimero di Gilles Lipovetsky, cioè della moda.
All’improvviso, dalla felicità pubblica, con l’adesione a un impegno collettivo, si ritornava alla felicità privata, concentrandosi su una sfera di soddisfazione personale, dalla quale partiti e ideologie erano esclusi. Sì, gli anni Ottanta sono stati un periodo di grande trasformazione e sviluppo. Iniziati con l’installazione di 112 missili da crociera nella base militare di Comiso, in Sicilia, simbolo inquietante di un possibile conflitto nucleare, e conclusisi con la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica. Un passaggio storico, politico e militare, destinato a cambiare il mondo. Ma prima che il 9 novembre del 1989 i berlinesi accorressero armati di piccone a demolire il monumento che testimoniava l’esistenza di due blocchi separati, i segnali che qualche cosa stava cambiando nella società furono molti e per comprenderli basta sfogliare la raccolta di quei 500 numeri di Panorama che accompagnarono il decennio. Se prima le copertine erano dedicate alla politica, alle lotte sindacali, alle proteste studentesche e alle stragi, poi si affacciarono le immagini di un mondo nuovo, proiettato verso il futuro e la voglia di vivere.
Chi avrebbe mai pensato che dopo anni a discutere di terrorismo, si potesse sbattere in prima pagina Gianni Versace con una modella a seno nudo? Incredibile, ma dopo la stagione dell’impegno, ecco quella del riflusso, con una donna spogliata che non suscitava le proteste delle femministe, ma il compiacimento della conquistata libertà del cosiddetto sesso debole. I titoli erano frivoli? Sì, si parlava di paradisi delle vacanze, con splendide ragazze sdraiate al sole, di erotismo, con un rapporto sulla nuova sessualità degli italiani, di canzoni e relazioni extraconiugali. La possibilità di un sorpasso del Pci sulla Dc? Al massimo meritava un piccolo strillo in copertina. E anche la crisi di governo non occupava di più.
Dopo un decennio a discutere dei misteri e dei conflitti d’Italia, gli italiani avevano deciso di voltare pagina e Panorama, da sempre attento agli umori dei lettori, rappresentava così il segno del cambiamento. Per usare ancora una felice intuizione di Roberto D’Agostino, dalla rivolta si era passati a Travolta. Dal corteo in piazza alla festa in discoteca.
Il motto è: dal genoma allo scaffale
A distanza di 40 anni, «Panorama» fa il punto su Bonifiche Ferraresi, oggi cuore pulsante di BF Spa, il più importante gruppo agroindustriale italiano, unico quotato in Borsa. In grado di controllare l’intera filiera: dal seme al prodotto in tavola.
di Guido Fontanelli
Con un articolo uscito il 16 maggio 1983, Panorama affrontò con un taglio originale il tema dell’agricoltura. Un argomento di solito poco sexy che il nostro giornale rese al contrario molto interessante: tracciò infatti una mappa della proprietà fondiaria sotto il titolo «I padroni della terra». E ne venne fuori un elenco sorprendente, capitanato dalla famiglia Ferruzzi e formato da decine di assicurazioni, società finanziarie e famiglie la cui attività agricola era sconosciuta ai più. Al secondo posto spiccava la Banca d’Italia, grazie alla maggioranza delle azioni delle Bonifiche Ferraresi detenute nel proprio portafoglio. E oggi, a quarant’anni da quell’inchiesta e dall’ormai lontano tramonto dei Ferruzzi, sono proprio le Bonifiche Ferraresi ad avere conquistato il primo posto tra i «padroni della terra» italiani.
La società ha una storia lunga e complicata: fu costituita nel 1871 per la bonifica di laghi, l’acquisto di paludi e terreni nelle vicinanze di Ferrara e in altre località del Regno d’Italia e per la costruzione e l’acquisto di canali, corsi d’acqua, lavori d’irrigazione, moli, scali, ferrovie, strade e fabbricati. La proprietà fondiaria della società crebbe sino a superare, nel 1929, i 25 mila ettari. Nel 1942 la Banca d’Italia divenne il maggiore azionista di Bonifiche Ferraresi, che nel 1947 fu quotata in borsa. Dopo una serie di passaggi di proprietà, oggi Bonifiche Ferraresi con i suoi oltre 11 mila ettari è la più grande azienda agricola nazionale e il cuore di un gruppo articolato che fa capo alla holding BF spa che rappresenta il primo e unico polo agroindustriale quotato in borsa, e che vede come principali azionisti Sergio Gianfranco Dompè, l’amministratore delegato Federico Vecchioni con il suo club deal Arum e la Fondazione della Cariplo. Il gruppo BF Spa comprende molte partecipazioni in imprese italiane del settore agricolo e alimentare, tra cui Cai Consorzi Agrari d’Italia, la Società Italiana Sementi, la BF Agro-Industriale, la Società Ghigi 1870, la Progetto Benessere Italia (commercializza e produce integratori alimentari a marchio Matt), BIA (leader del couscous 100% italiano) e IBF Servizi.
Utilizzando un’immagine legata al mondo agricolo, si potrebbe paragonare il gruppo BF ad un albero che affonda le radici nella terra, cresce trasformando i suoi nutrienti in frutti che offre attraverso i suoi rami. Il Gruppo BF si inserisce nei grandi cambiamenti che stanno investendo il mondo agricolo non solo nazionale ma anche internazionale. Il nuovo capitolo di BF cominciò quando, nel 2014, Vecchioni costruì una cordata di investitori italiani (finanziari e industriali) e la presenza dei consorzi agrari promossa da Coldiretti, che rilevò, sconfiggendo con coraggio e determinazione importanti investitori stranieri interessati alla terra italiana, il controllo da Banca d’Italia di Bonifiche Ferraresi, al tempo solo il ricordo per dimensioni di quell’azienda agricola di alcuni decenni prima (4.500 ettari tra l’Emilia-Romagna e la Toscana). Il progetto visionario aveva come obiettivo quello di costruire, da zero, il primo hub agroindustriale del Paese a trazione agricola, completamente integrato con un controllo dell’intera filiera dal genoma allo scaffale, fino alla tavola dei consumatori, capace di dare stabilità produttiva al Paese, diffondere un’agricoltura sostenibile e tecnologicamente avanzata da nord a sud, isole comprese (e in questo caso è proprio da dire), creare occupazione di qualità attraverso importanti investimenti nella formazione a tutti i livelli e che nel 2022 farà registrare un consolidato superiore al miliardo, ma che ha prospettive di crescita ancora superiori - «tutto questo 7 anni fa non era assolutamente scontato, oggi è realtà» ricorda Vecchioni.
«A livello internazionale» spiega poi «negli ultimi decenni si è sviluppato un interesse strategico da parte di molti Paesi per la terra e questo fenomeno ha avuto un’evoluzione inaspettata in particolare in Africa, dove alcuni Stati sovrani hanno fatto incetta di terreni agricoli. Queste politiche non hanno fatto altro che confermare quanto siano importanti le produzioni alimentari e il bene fondiario. Del resto la terra oggi disponibile nel pianeta è di un miliardo e mezzo di ettari, di cui circa 300 milioni di ettari sono irrigui ed è tutto quello che abbiamo per sfamarci».
Ma a riportare al centro dell’attenzione il terreno agricolo è anche l’importanza che i consumatori dei Paesi più avanzati attribuiscono alla qualità del prodotto e questo ha provocato una rivalutazione della produzione nazionale a scapito di quella acquistata dall’estero. Diventa così imprescindibile il capitale fondiario disponibile nel proprio Paese. In Italia rispetto alla fotografia scattata da Panorama 40 anni fa la situazione è cambiata profondamente. «Sono rimasti alcuni grandi poli di aggregazione» spiega Vecchioni, «e oggi il gruppo BF è il maggiore ed è quello che è cresciuto di più negli ultimi cinque anni per dimensione fisica. Ci sono poi alcune grandi famiglie come i Benetton, alcune compagnie di assicurazione come Generali e Unipol, alcuni investitori istituzionali e il patrimonio pubblico in mano alle Regioni o ad altri enti locali, senza dimenticare i grandi nomi del settore vitivinicolo come Marchesi Antinori. La novità degli ultimi anni è stato il crescente interesse degli investitori verso il capitale fondiario grazie alle masse di liquidità a disposizione». La guerra in Ucraina non ha fatto altro che confermare la correttezza delle scelte strategiche compiute dal gruppo BF, «fondato su una solida base fondiaria nazionale e un controllo della catena del valore a partire dalla disponibilità di terra dove produciamo per le nostre filiere, fino alla produzione alimentare e alla distribuzione con i nostri partner. Sotto lo slogan “dal genoma allo scaffale”, insomma, siamo perfettamente in linea con una politica di approvvigionamento alimentare che valorizzi al massimo la produzione nazionale».
Il gruppo BF produce nei tre poli in Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna frumento duro, mais, riso, soia, ortaggi, pomodori, olive, mele, pere, piante officinali. A questa attività agricola si aggiunge quella zootecnica, quella industriale e quelle della rete dei servizi per le imprese agricole rappresentate da CAI. «In una fase di estrema volatilità dei prezzi delle materie prime e di assoluta incertezza nessun progetto alimentare può essere al sicuro se non avviene con un controllo della filiera fin dall’approvvigionamento del prodotto agricolo che lo alimenta.
BF è presente sugli scaffali sia attraverso i prodotti sviluppate per le principali Private Label nazionali e internazionali e con un proprio brand Le Stagioni d’Italia sbarcato da pochi anni sugli scaffali dei supermercati. Il marchio Le Stagioni d’Italia sta ottenendo buoni risultati: «Siamo molto soddisfatti, la nostra specificità, la qualità e la tracciabilità dei nostri prodotti sono stati apprezzati dai consumatori: abbiamo fatto registrare un’ottima crescita con margini molto significativi in appena tre anni e mezzo».
In futuro il gruppo BF intende ampliare e consolidate la base produttiva fondiaria, potenziare i poli di eccellenza nelle sementi, investire ulteriormente nella filiera alimentare e nella loro autosufficienza energetica, nella chimica verde e poi rafforzare la produzione industriale attraverso acquisizioni nel food ad alto valore aggiunto. In altre parole, acquisto di nuovi terreni e di aziende alimentari di qualità con in parallelo il rafforzamento delle infrastrutture di servizio. «Abbiamo creato un giacimento agricolo ad alta tecnologia che è in grado di trasferire know how in Italia e all’estero, per la prima volta con un unico soggetto che ha dei requisiti industriali e tecnologici senza eguali in Europa, neppure nelle multinazionali. BF oggi rappresenta un polo nazionale ad alta tecnologia applicata e continueremo ad investire in innovazione applicata al comparto agricolo ed alimentare. Perché Terra ed Innovazione sono un binomio imprescindibile per il futuro di tutti in Italia e nel mondo».
A tal proposito, il gruppo vuole mantenere un forte radicamento nazionale, ma è in grado di gestire terreni all’estero, senza acquistarli, come già sta facendo in Algeria, Kazakistan, Ghana o in Congo. Insomma, un know-how tutto italiano a disposizione di altri Paesi, senza avere però intenzioni rapaci.
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