Pecoraro, la marcia indietro su Agnelli e la 'ndrangheta: "Mai affiancati"
Il procuratore Figc e l'intercettazione fantasma: "Solo un'interpretazione". Eppure da un mese c'è una campagna mediatica sulla Juve
L'intercettazione fantasma citata lo scorso 7 marzo? "È un'interpretazione che è stata data" perché "da quella frase sembrava che fosse una certa confidenza (tra Agnelli e Dominello ndr) ma probabilmente quella frase era del pubblico ministero. Anzi, da una lettura migliore la attribuisco al pubblico ministero". Un mese dopo il polverone sollevato dalle parole del procuratore della Figc, Giuseppe Pecoraro, davanti all'Antimafia sul livello di consapevolezza dei rapporti tra Agnelli, la Juventus e boss mafiosi, ecco che il castello cade. Nessuna certezza, solo sensazioni.
E un'intercettazione che fantasma era e rimane, nel senso che non esiste. Andrea Agnelli non parla, semmai sono i dirigenti Calvo e D'Angelo, e soprattutto si tratta di interpretazione dal parte dei magistrati che hanno istruito il processo Alto Piemonte stabilendo già in sede di indagine l'inesistenza di un concorso tra club, presidente e malavita organizzata. Tanto che in quel processo la Juventus non c'è se non come testimone.
JUVE, ULTRAS E 'NDRANGHETA: COSA RISCHIANO IL CLUB E ANDREA AGNELLI
Il ritorno di Pecoraro davanti all'Antimafia doveva servire per fare chiarezza e l'ha fatta. Per bocca del firmatario del deferimento sportivo che ha fatto infuriare Agnelli non per la contestazione della violazione nella gestione della vendita dei biglietti - tema su cui la Juventus era pronta a patteggiare - quanto per l'accostamento ripetuto alla 'ndrangheta e alla criminalità organizzata.
"Rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti gruppi ultras anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata" ha scritto Pecoraro nel dispositivo (la parte nota) del deferimento. In commissione Antimafia ha fatto un passo indietro: "Non ho mai accostato il presidente Agnelli alla 'ndrangheta perchè acrei usurpato il ruolo della magistratura ordinaria". Solo che su quell'accostamento si è giocata la partita mediatica sulla Juventus e sul suo presidente, costretto a smentire di essere pronto alle dimissioni.
AGNELLI E I RAPPORTI CON LA 'NDRANGHETA: IL GIALLO DELL'INTERCETTAZIONE FANTASMA
L'incontro con Dominello e le intercettazioni che non ci sono
Pecoraro ha confermato la gravita del quadro dal punto di vista sportivo: "A noi interessa che i biglietti siano stati venduti da parte di soggetti malavitosi a fine di lucro" ha sottolineato, insistendo sul concetto che Agnelli era "consapevole" e comunque "non ha vigilato" sulla gestione degli stessi e sui rapporti con i gruppi ultras, vietati dall'articolo 12 del Codice di Giustizia sportiva.
AGNELLI E LA JUVENTUS: ECCO IL DEFERIMENTO E L'AUTODIFESA DEL PRESIDENTE
Però, a domanda precisa sull'esistenza o meno di intercettazioni dirette di Agnelli o comprovanti la consapevolezza del profilo criminale di Dominello e della sua appartenenza (ancora da dimostrare) alla 'ndrangheta, Pecoraro ha dovuto ammettere di "non averne lette" e l'unica portata è una chiacchierata tra lo stesso Agnelli e il suo avvocato che la magistratura torinese ha ritenuto assolutamente irrilevante.
LA DIFESA DELLA JUVE: "NON SAPEVAMO DELLA 'NDRANGHETA IN CURVA"
Anche l'incontro tra Agnelli e Dominello presso la sede Lamse è stato al centro di un chiarimento. Prima o dopo la data dell'arresto dei due fratelli del capo ultras? "Sono convinto che ci sia stato prima, intorno alla data di maggio o giugno 2012 indicata dalla difesa, perché di abbonamenti e biglietti si parla prima dell'inizio del campionato e non dopo" ha precisato Pecoraro. L'interpretazione che l'individuazione di quella data fosse stata scelta dai legali perché utile a dimostrare che Agnelli non aveva mai potuto avere sentore della storia criminale della famiglia Dominello è stata rigettata dalla commissione Antimafia in primo luogo.
Insomma, Pecoraro ha insistito nel dire di "non poter escludere" che Agnelli "fosse a conoscenza dell'estrazione criminale di Dominello". Ma a un mese dal polverone ha portato sensazioni ed interpretazioni. Non abbastanza per placare le polemiche. Anzi. Come da chiusura della presidente Bindi: "A noi basta e avanza sapere che le mafie in Italia arirvano persino alla Juve, questo è chiaro". Ora, come annunciato, toccherà ad altri presidente e alla stessa Figc. Perchè il fenomeno dei rapporti pericolosi con le curve non si ferma a Torino ma fa il giro dell'Italia intera.