Ecco perché Birdman ha vinto l'Oscar
In cinque punti le possibili motivazioni del successo di Alejandro González Iñàrritu
Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza) di Alejandro González Iñàrritu nella notte del 22 febbraio ha vinto l'Oscar come migliore film (oltre a quello per la regia, la sceneggiatura originale, la fotografia). Questo premio mette d'accordo molti ma non tutti. Io sono tra chi avrebbe voluto il trionfo di Boyhood, inequivocabile, senza se e senza ma. La commedia nera sull'ex supereroe alato era però il mio candidato "di scorta". Della serie: "Se proprio non deve vincere Boyhood che vinca Birdman".
Mettendo da parte la lieve amarezza, riflettendo ormai a freddo, cerco di spiegarmi perché l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, composta da cineasti per lo più americani, abbia scelto Birdman.
1) Un brillante cast
Non solo Michael Keaton, che interpreta l'attore in cerca di riscatto Riggan e il suo alter ego narcisista, il supereroe alato Birdman (Uomo Uccello). Il cast messo insieme da Iñàrritu è di alto livello. E infatti oltre a Keaton sono stati nominati per un Oscar anche Edward Norton, irruente e carismatico, ed Emma Stone, tormentata e avvenente. Ma anche Naomi Watts nella sua sensibilità fragile e isterica è un importante tassello del mosaico, come pure il cinico maneggione Zach Galifianakis e l'insoddisfatta Andrea Riseborough.
2) Il virtuosismo dell'unico piano sequenza
Iñàrritu si è posto l'obiettivo di riuscire a montare un unico piano sequenza per una commedia. E ci è riuscito. Le scene sono ininterrotte, gli attori si avvicendano, stanza dopo stanza. La ripresa dà così sferzante dinamismo alla narrazione. Per i detrattori di Birdman si tratta di un illusionismo per celare una storia vuota, un vero e proprio atto masturbatorio. In tal caso allora, il regista messicano è davvero un ottimo prestigiatore. È stato capace di "simulare" brillantemente una graffiante battaglia tra l'immagine che abbiamo di noi stessi e quello che veramente siamo.
3) L'egocentrismo dell'Academy
Birdman è un film che si fa beffe di Hollywood, che disprezza i film di oggi e le saghe sui supereroei, che riflette sarcasticamente sul mestiere dell'attore. "Perché non ho nessun rispetto per me stessa?", si chiede il personaggio della Watts. "Sei un'attrice, tesoro", risponde quello della Riseborough. La fredda critica teatrale del New York Times interpretata da Lindsay Duncan biasima addirittura la cerimonia degli Oscar, additata come un momento in cui ci si scambia premi tra amici.
In fondo però verso Riggan, attore semi-fallito, ex divo da blockbuster, c'è un'intima simpatia. C'è la compassione di chi maneggia quotidianamente il successo e la sua fugacità. Nelle inquietudini di Riggan possono identificarsi probabilmente tutti i giurati - cineasti - dell'Academy. Birdman è un lavoro autoreferenziale, premiato da un'Academy autoreferenziale.
4) Riflessioni sull'arte
Riggan cerca di elevarsi tramite il teatro e tramite Carver. Lo spavaldo e imprevedibile attore interpretato da Norton però lo provoca e, riferendosi alla pistola finta usata nella scena finale, lo pungola a usare più autenticità: "Non mi sento per niente minacciato". Si tratta di una vera e propria implorazione affinché Riggan innalzi se stesso e la sua pièce verso qualcosa di più grande. La sua tesi è: se l'arte non ti fa sentire qualcosa di reale, qualcosa di scomodo, non è stimolante. Riggan lo prenderà letteralmente in parola...
Mentre ci muoviamo tra i dubbi e l'angoscia di Riggan, intanto riflettiamo sull'arte e sulla sua natura.
5) I rivali di Birdman
A ben guardare, solo tre potevano essere i rivali temibili di Birdman come miglior film. Uno: American Sniper. Non è il film più riuscito di Clint Eastwood ma è un lavoro solido. A giocare a suo sfavore probabilmente l'eventuale messaggio politico che poteva uscire ed essere travisato da una simile scelta (ovvero: l'Academy promuove un film su un killer di musulmani).
Due: Whiplash. Piccolo grande film, è molto piaciuto all'Academy che gli ha assegnato tre Oscar su cinque nomination. Sarebbe però stato troppo innalzarlo anche a migliore tra i nove candidati.
Tre: Boyhood, il vincitore mancato, osannato dalla stampa come uno dei film migliori del XXI secolo. Boyhood, realizzato lungo 12 anni, è una prova di coraggio di Richard Linklater e un inno al realismo: gli attori invecchiano senza bisogno di CGI ed effetti visivi. Boyhood è un fiume che scorre, nella sua meravigliosa e semplice quotidianità. Birdman, invece, è una prodezza dell'immaginazione umana, maestria artistica, brillantezza della sceneggiatura. A qualcuno piace la naturalezza che parla al cuore, ad altri l'ingegnosità che parla alla testa.