Rabin, the last day: Amos Gitai e l'omicidio che ha cambiato il destino di Israele
A Venezia un film complesso e teso che esorta la società israeliana a un esame di coscienza
Senza la morte di Yitzhak Rabin oggi ci sarebbe la pace in Medio Oriente o comunque una situazione più stabile? "Sì", è la risposta convinta di Shimon Peres nel film Rabin, the last day di Amos Gitai. A 20 anni dall'omicidio del primo ministro che aveva siglato gli accordi di Oslo con Yasser Arafat, un tassello verso il lungo percorso per porre fine al conflitto israelo-palestinse, il regista israeliano spinge la società israeliana a farsi un esame di coscienza con un lungometraggio interessante e complesso, in concorso alla Mostra del cinema di Venezia.
Gitai alterna filmati di repertorio alla rappresentazione dei fatti tramite attori (tra gli altri Ischac Hiskiya, Pini Mitelman, Michael Warshaviak, Einat Weizman), muovendosi tra passato e presente con equilibrio e tensione. Rivediamo le immagini dell'ultimo comizio di Rabin a Tel Aviv in piazza dei Re di Israele (successivamente chiamata piazza Rabin), il suo farsi strada verso l'auto blindata, sentiamo i tre colpi d'arma da fuoco che l'hanno ferito mortalmente, il 4 novembre 1995. Tramite una messa in scena interamente basata su documenti, guardiamo rabbini percorsi d'odio istigare all'uccisione di Rabin, sedicenti psicologhe definirlo "schizoide e deficiente", l'assassino Ygal Amir, colono ebreo estremista, mai pentito e assolutamente soddisfatto di aver eliminato quello che per gli estremisti era un traditore di Israele e dei coloni. Tramite l'indagine della Commissione d'inchiesta successiva alla tragedia ripercorriamo le falle nella sicurezza, i racconti dei manifestanti presenti in piazza, il levarsi di un'isteria violenta e cieca.
"Con quelle tre pallottole il destino di Israele è cambiato totalmente. Questo è quello a cui è giunta la Commissione Shamgar (presieduta da Meir Shamgar, ndr) e io sono totalmente d'accordo con lui", dice Gitai. "Quando il presente sembra così buio dobbiamo guardarci alle spalle, a quando 20 anni fa c'è stato un breve spiraglio di speranza".
Tramite le parole di Peres, all'epoca ministro degli Esteri, in Rabin, the last day conosciamo un Rabin che non indietraggiava mai, neanche di fronte agli insulti e alle minacce. "Rabin aveva una sorta di aura, non per la sua arroganza ma per la sua semplicità": Gitai è pieno di ammirazione. "Secondo me Israele è anche la terra dei palestinesi e bisogna trovare una forma di convivenza. Non si deve essere ingenui: in Medio Oriente non tutti hanno buone intenzioni, ma Rabin era sincero. Parlava in modo diretto, a volte duro, ma era sincero. C'è una sua dichiarazione in cui dice che esistono anche gli altri e bisogna agire non in maniera unilaterale ma come se si fosse in un rapporto intimo". E ancora: "Durante i suoi funerali per una volta si sono aperti i confini e sono venuti anche leader arabi, a Gerusalemme, e non per formalità di rito".
Ai politici israeliani di oggi, Benjamin Netanyahu in prima fila, il regista manda questo messaggio: "Israele è un progetto politico, non religioso, nato quando gli ebrei. dopo tante sofferenze e persecuzioni, hanno voluto un pezzetto di terra per loro. Raccomanderei ai politici di attenersi solo al progetto politico, cercando di stabilizzare con il riconoscimento degli altri, non ignorandoli".
In Rabin, the last day risuona anche il ricordo della vedova Leah Rabin: "Non avrebbe mai indossato un giubbetto antiproiettile. Era fiducioso. Non aveva immaginato che la cosa più selvaggia sarebbe accaduta".