Sine grano salis: parola di Riccardo Verde
(Riccardo Verde)
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Sine grano salis: parola di Riccardo Verde

La Rubrica - Gente di Mare 2.0

Se basta un poco di zucchero e la pillola va giù, basta un poco di sale e l’acqua non la bevi più. Rima a parte, alzi la mano chi, dopo aver bevuto un bel sorso di acqua salata, ha esclamato: “Che goduria, questo sì che è un mix dissetante!”. L’esortazione, ovviamente retorica, spalanca le porte a una serie infinita di considerazioni sul ruolo fondamentale che la disponibilità di acqua dolce, potabile e pura ha da sempre a ogni latitudine del globo. Anche senza affrontare il tema della penuria degli approvvigionamenti idrici o dell’inquinamento delle falde, non è questa la sede, e restando invece nell’alveo della “gente di mare”, di chi naviga per diletto, passione agonistica o lavoro, è indubbia la portata (termine volutamente evocativo) dei risvolti introdotti in ambito nautico dall’installazione a bordo dei dissalatori marini. Macchine che, dalla loro nascita a oggi – epoca in cui si stima siano presenti sul 15/20% delle imbarcazioni da diporto -, hanno sensibilmente migliorato la sicurezza, il comfort, ma anche l’approccio competitivo – si pensi al risparmio di peso sulle scorte di acqua delle imbarcazioni da regata – di chi va per mare. Non è un caso se il fondatore e amministratore unico di Schenker Watermakers, azienda campana leader nella produzione di dissalatori a recupero di energia, prima che fornitore del settore sia stato, e continui ad essere, anche un assiduo utente nautico. «Vado in barca a vela da sempre, una passione che mi ha accompagnato per tutta la vita sin da ragazzo, quando mi dedicavo molto pure alle regate», racconta Riccardo Verde. «Di recente ho acquistato un Finn, una deriva piuttosto impegnativa che ho voluto proprio perché avevo voglia del sapore del mare in bocca, dell’onda che ti arriva in faccia, momenti di gioia pura. Non ho molto tempo per usarla, ma quando riesco è sempre una piacevolissima regressione. Continuo ad andare in barca anche con quelle degli amici, ne avevo una da crociera che oggi non ho più, ma con le barche, si sa, è un divenire: non escludo che tra qualche anno possa averne un’altra tutta mia. Non c’è niente di più bello di poter unire la passione al lavoro. Un vero privilegio».

A proposito di lavoro, come nasce l’idea di fondare, nell’ormai lontano 1998, Schenker Watermakers? «Dalla classica crisi di identità professionale che arriva a quarant’anni. Ingegnere, con alle spalle già diverse esperienze presso multinazionali importanti, non ero tuttavia soddisfatto di quella vita. Decisi allora di unire la mia esperienza da marinaio a quelle tecniche e manageriali acquisite nelle attività svolte sino a quel momento. Stavano intanto nascendo nuove tecnologie sull’acqua dolce applicabili alla nautica da diporto. Una concatenazione di casi, un momento fortunato, una vocina che mi suggerì un atto di coraggio: rassegnare le dimissioni e fondare questa azienda. Che all’inizio era la tipica realtà nata in uno scantinato, quella che oggi si chiamerebbe, invece, start-up innovativa». Quale era l’intendimento di allora? «La scelta precisa era quella di sviluppare una tecnologia che fosse innovativa rispetto allo stato dell’arte del momento: ero consapevole che se avessi fatto un prodotto simile a quelli già disponibili sul mercato mi sarei inevitabilmente accodato, allungando enormemente i tempi di successo della mia iniziativa. Per cui l’idea era di proporre sin da subito un prodotto che avesse un valore aggiunto, margini migliorativi dal punto di vista tecnologico. Seguii così la strada, per certi versi non facile, di sviluppare una tecnologica alternativa a quella tradizionale, particolarmente orientata al contenimento dell’energia, tema sempre molto sensibile in barca. Dopo un paio d’anni di ricerca arrivammo al prototipo funzionante del primo dissalatore con sistema di recupero di energia, coperto dal brevetto Energy Recovery System, con cui ha avuto ufficialmente inizio la storia commerciale della Schenker. Il sistema garantiva un consumo elettrico dell’80% inferiore rispetto a quello richiesto dai dissalatori tradizionali». Un abbattimento significativo se si considera che il consumo medio di un dissalatore Schenker è di appena 4 Watt per ogni litro di acqua dolce prodotta. Per ottenere, ad esempio, 60 litri/ora di acqua dolce sono sufficienti 240 Watt di energia elettrica. La normale ricarica del motore è quindi ampiamente sufficiente a reintegrare l’energia consumata, senza dover ricorrere all’ausilio del gruppo elettrogeno. «Che può addirittura non essere presente, dal momento che il consumo elettrico richiesto consente di alimentare il dissalatore direttamente dalle batterie di servizio, con un fortissimo vantaggio ambientale. Qualora a bordo fossero previsti modelli di portata medio-grande, che richiedono un’alimentazione a corrente alternata, il recupero di energia consentirebbe comunque l’installazione di gruppi elettrogeni più piccoli, con un conseguente livello di emissioni di CO2 molto più basso». Un impatto positivo sull’ambiente che si aggiunge ai vantaggi ecologici indiretti. La presenza del dissalatore, unita a un sistema efficiente di post trattamento dell’acqua prodotta, che la renda perfettamente potabile, consente infatti di non dover imbarcare bottiglie di plastica, il cui smaltimento è sempre critico, specie su una barca che macina miglia. «Non solo. La possibilità di poter produrre acqua strada facendo permette di partire per un trasferimento con un livello minimo di riserva, trascinando così molto meno peso in navigazione. Facciamo un esempio: una barca di 40/45 piedi, che ha una capacità dei serbatoi acqua di 500/600 litri, può partire con una riserva di appena 100 litri, risparmiando, quindi, mezza tonnellata sul dislocamento, con un impatto, in questo caso diretto, sulle emissioni». E sulle performance in generale. Penso, in particolare, alle unità tiratissime impegnate nelle competizioni in cui ogni grammo in più a bordo può influenzare, negativamente, il risultato. A questo proposito, immagino che i suoi trascorsi agonistici abbiano rappresentato un bagaglio di esperienza importante.

«Essere un velista e, quindi, un “consumatore nautico”, mi ha permesso di conoscere le criticità che si possono verificare in barca, ma anche di capire meglio cosa il cliente si aspetta. Estremamente interessante è stata, ad esempio, l’esperienza maturata con Giovanni Soldinicon cui abbiamo messo a punto un prodotto specifico, che doveva puntare molto su affidabilità e leggerezza, appunto. Su Maserati, trimarano oceanico di ultima generazione dove tutto, attrezzature comprese, è estremamente tirato in ottica performance, c’era un altro aspetto molto importante da considerare: essendo un mezzo planante, che peraltro si solleva molto riducendo sensibilmente la superficie bagnata, occorreva pensare a come aspirare in maniera efficiente l’acqua a mare. Ci siamo riusciti con una serie di artifici capaci di coniugare al meglio tecnologia, alte prestazioni e sicurezza. Oggi la nostra macchina, che pesa solo 18 kg essendo costruita interamente in fibra di carbonio, gira per il mondo sul Maserati Multi 70 di Soldinicon, debbo dire, sua grande soddisfazione e fornendo acqua dolce sia per gli usi sanitari sia per gli usi potabili a un equipaggio perennemente a caccia di imprese sportive straordinarie ed estreme».


A proposito di sfide: con Zen, che solo a pronunciarlo trasmette serenità e assenza di turbamenti, si può dire che Schenker abbia fatto 13? «Diciamo che con Zen, nato nel 2018, abbiamo avuto un’espansione bruciante. È una linea che ha riscosso un successo straordinario in quasi tutti i Paesi in cui operiamo, consentendoci di triplicare il fatturato negli ultimi cinque anni. Un risultato non indifferente che testimonia la capacità di realizzare prodotti oggettivamente diversi dagli altri. E questo è per noi un motivo di grande orgoglio da sempre».


ZEN, IL DISSALATORE MARINO COMPATTO PIÙ EFFICIENTE DAL PUNTO DI VISTA ENERGETICO

Da cosa nasce questo altro pianeta? «Dalla considerazione, per certi versi scontata, ma che non era mai stata affrontata da nessuno, che le barche moderne, spettacolari quanto vuoi dal punto di vista dell’abitabilità e dello sfruttamento delle aree vivibili, hanno in realtà pochissimi spazi per le attrezzature. Ogni angolo viene oggi utilizzato per un letto, un armadio, un divano. È un’abitudine che rende sempre più difficile montare un’attrezzatura aggiuntiva. Cosa paradossalmente più facile su unità un po’ più datate, quando i dissalatori magari non erano contemplati, ma si lasciavano spazi disponibili per le dotazioni. Da questa osservazione è nata quindi l’idea di progettare un prodotto che avesse le stesse caratteristiche dei modelli precedenti, ovvero dello Smarte del Modular, ma che consentisse di risparmiare fortemente sull’ingombro, integrando all’interno dei blocchi costituenti l’amplificatore tutta la raccorderia e le membrane, dando vita a una forma ultra piatta e pulita. Per cui lo Zen, che ha una profondità di 10 centimetri, è sostanzialmente bidimensionale. Il fatto di essere così sottile e adatto a essere montato sia in verticale sia in orizzontale, ha aperto una possibilità infinita di installazioni, anche a bordo di imbarcazioni con pochissimi vani tecnici, che sino a quel momento, per il banale motivo della mancanza di spazio, dovevano rinunciare al dissalatore». Schenker, il cui mercato è per il 70% estero e rappresentato per il 90% da cantieri, grandi dealer, distributori e per il restante 10 da privati, ha investito continuamente in ricerca e sviluppo. Una strategia che ha portato a varare non solo dispositivi semplici, silenziosi, compatti ed efficienti, ma anche a detenere quattro brevetti (quello di Zen è l’ultimo ottenuto) e ad esportare in 34 Paesi, con una rete internazionale di assistenza qualificata, una media annua di 1.200 dissalatori, che sono espressione dell’ingegneria italiana che il mondo apprezza. Intanto, l’area della R&D continua a esaminare l’evoluzione delle membrane a osmosi inversa, cuore dei sistemi di dissalazione e materia molto seguita a livello globale. «L’attenzione è oggi concentrata soprattutto sullo studio di membrane sempre più performanti. Negli Stati Uniti si stanno dedicando ad analisi molto avanzate sull’utilizzo del grafene, che consente di ottenere spessori trascurabili, addirittura nell’ordine dell’atomo. Parliamo, quindi, di tecnologie inarrivabili con i sistemi tradizionali, ma che darebbero vita a membrane altamente efficienti. C’è poi il tema, particolarmente caro a Schenker avendo su questo costruito la sua storia, del recupero dell’energia attraverso dispositivi idraulici. Anche su questo fronte, si stanno sviluppando soluzioni diverse a livello globale. Noi per primi stiamo lavorando a sistemi aggiornati e migliorativi che nei prossimi anni credo daranno vita a novità interessanti». Non c’è che dire: oltre che di “vero signore”, come d’altronde la storia partenopea è testimone con più di un nome illustre, quello dell’ing. Verde è il classico esempio di persona, e imprenditore, con (mi voglia perdonare per la morale schietta) tanto “sale in zucca”. Un modo di dire che, affondando le sue origini in epoca romana, suggeriamo (ne vale la pena) di approfondire in autonomia.


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Olimpia De Casa