6 Nazioni: Bonacina, quello con più caps di Castrogiovanni
Da anni Ivano gira il mondo per vedere gli azzurri del rugby. Nella sacca anche un'infinità di ricordi, a partire da quell'Irlanda-Italia del 1997
Ivano Bonacina, di mestiere camionista, è abituato a macinare chilometri. Anche nel rugby: arrivato tardi alla palla ovale, ha recuperato in fretta prima giocando e poi allenando, ma anche tifando. Ivano ha infatti più caps di Sergio Parisse (104) e Martin Castrogiovanni, che nel match del Sei Nazioni a Dublino contro l'Irlanda toccherà quota 105. "Ho visto 109 partite dal vivo della Nazionale", racconta. "La prima nel 1978, a Rovigo contro gli All Blacks".
La più bella? "A Grenoble, nel 1997, prima storica vittoria con la Francia". La più deludente? "A St. Etienne nel 2007 con la Scozia, quando abbiamo smarrito di un soffio i quarti del Mondiale". La più indimenticabile? "Irlanda-Italia, gennaio 1997: espugnare Lansdowne Road è un'esperienza che vale una vita". E che leva qualsiasi possibile rimpianto: "Un giorno mia moglie Pierangela - anche lei messa bene a presenze, quasi 80 - mi ha detto provocatoriamente 'Sai che se non avessi speso tutti quei soldi a inseguire l'ovale, ora avremmo una casa al mare?'. Cosa dovevo rispondere? Che aveva ragione. Ma io sono più felice così".
Amico di molti, conoscente di tutti, Ivano è il prototipo del tifoso di rugby: buon bevitore, risposta pronta, scaltro, e una dote innata per imbucarsi: "L'importante è partire, l'ultimo dei problemi il biglietto. Perché in fondo si trovano, te li regalano. Al massimo si comprano". Solo al massimo, beninteso. E via con altri ricordi...
L'acqua di Lourdes e l'alcol di Palma
A Lourdes nel 1997 si gioca Italia-Argentina di Coppa Latina. "Ma il 22 ottobre è un martedì, così mi trovo alle 5 del mattino a Lambrate con Roberto Fulgoni e Manuel Ferrari". Il primo, tecnico milanese ora coinvolto nell'Accademia che si allena al Leone XIII, il secondo guru argentino della mischia e attuale tecnico dei primi otto delle Zebre. "Nel primo pomeriggio siamo all'albergo degli azzurri. Recuperiamo i biglietti in dote ai giocatori e decidiamo di visitare il Santuario". Dopo la benedizione di Bernadette, il terzetto si dirige allo stadio per assistere a un avvincente 18-18 contro i Pumas. "A un certo punto in una ruck (mischia spontanea, ndr) il colosso di prima linea Franco 'Chino' Properzi perde un'unghia. Di netto. La partita è sospesa e si richiede l'ingresso di Mario Palma, storico fisioterapista della Nazionale". All'epoca Palma è praticamente cieco, tanto da dover essere guidato da altri verso Properzi. Senza capirci granché, una volta sul posto, parte con dell'alcol puro sulla carne viva: "Senza scherzare, l'urlo del nostro pilone ha ammutolito i 12 mila dell'Antoine-Beguere". Dopodiché altra partita. Alle 20, stesso campo, Francia-Romania: "Assistiamo al solo primo tempo, poi subito in macchina: alle 5 del mattino siamo di nuovo a Lambrate. Il giorno dopo si lavora". 2500 km in 24 ore.
Carichi, ma per davvero!
Il meglio di sé (o il peggio?) la truppa di Ivano lo offre a Treviso nel 1993. In campo Francia A contro Italia. Sarà la prima vittoria su una rappresentativa transalpina nella storia del rugby italiano. "Si sentiva una certa energia, sapevamo di poter far bene. Così partiamo carichi, in tutti i sensi: una damigiana di rosso, 20 kg di pane, una porchetta, rigorosamente intera, 4 mortadelle e 50 uova sode. In tribuna incontriamo Fabio Gomez e Mauro Tommasi, in forza all'allora Milan Rugby, in serie A. All'inizio fanno i timidi, poi - trasportati dalla partita - bevono anche loro. Anzi, un po' tutti. La tribuna, sulle ali della vittoria (16-9 il finale) si scalda e in 80 minuti facciamo fuori la damigiana di rosso". Per la cronaca, di litri 54.
Quell'Irlanda-Italia del'97
Insieme al successo di Grenoble contro la Francia, la vittoria che più ha aiutato l'Italia a entrare nel Sei Nazioni è stato il 37-29 rifilato ai verdi d'Irlanda nel vecchio Lansdowne Road il 4 gennaio del 1997. Al seguito, ça va sans dire, c'erano anche Ivano e i suoi amici. "Il volo a buon prezzo arrivò da un da amico, dirigente Aer Lingus. Per la partita andammo sul sicuro: biglietti dei giocatori, in hotel alle 12". A seguire Temple Bar, dove si beve l'ultima birra prima di dirigersi verso lo stadio, rigorosamente a piedi. I 6 km dal centro al Landowne Road (oggi ristrutturato e, ahinoi, rinominato Aviva Stadium) sono un rito ancestrale. Ai pochi tifosi azzurri sono offerte pinte su pinte, nessuno scommette un pound sulla nazionale italiana.
"In realtà", ricorda Ivano, "si sentiva qualcosa nell'aria, come a Treviso con la Francia A, come a Grenoble pochi mesi dopo". Piove, tira vento, Lansdowne è una bolgia ma, con il passare dei minuti e le mete italiane, si acquieta, fino a farsi silenzioso sulla meta di Vaccari che al 61' che porta gli azzurri sul 30-29. "I posti riservati ai giocatori della Nazionale - almeno a quei tempi - erano sempre infelici: nello spicchio della curva, dietro i pali in basso... Quel giorno i nostri vicini erano scozzesi e tifavano Italia. Poche pinte e fummo già amici, la vittoria fece il resto e festeggiamo insieme fino al mattino, senza più vedere un irlandese, perché per loro fu una Caporetto". E gli azzurri? "Li abbiamo visti anche loro solo la mattina, sul volo di ritorno". Partita a carte stile Pertini-Mondiale '82? "Ma va! Il terzo tempo a Dublino è durissimo. Si dormiva tutti". Sognando appunto il Sei Nazioni.