Secondo un incredibile podcast pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco, la carenza sarebbe imputabile all’allarmismo mediatico. Marcello Cattani (Farmindustria): «Gli altri investono, noi no. Rendere autonoma la filiera».
Oltre agli antinfiammatori, gli antiepilettici e gli antibiotici in carenza ormai cronica, adesso mancano all’appello anche antipertensivi, diuretici, neurolettici, antidepressivi. L’Aifa, nel suo ultimo report, registra quasi 3.200 farmaci carenti. Eppure, secondo l’agenzia italiana del farmaco, questo non è un problema, anzi. Ascoltando il podcast che ha prodotto e pubblicato proprio ieri, non ci si deve allarmare se mancano i farmaci, che in ogni caso mancherebbero per colpa dei giornalisti che scrivono di carenza, dato che creano «la carenza di rimbalzo», facendo mancare «davvero» i farmaci sugli scaffali. Insomma il farmacista che alla Verità racconta che questo mese ha ricevuto solo un flacone di Nurofen a fronte delle duecento unità ordinate deve decisamente essersi sbagliato, secondo l’Agenzia.
Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, invece, ha le idee indiscutibilmente più chiare: «Fare i farmaci è il nostro lavoro se non possiamo farlo è perché mancano i principi attivi», per il 75% delocalizzati in Cina e Asia. A mancare anche le materie prime: «Noi non siamo diversi dagli altri settori: carta, alluminio e plastica sono un problema per tutti in questo momento». Aifa continua a sostenere che il problema si risolve andando ad approvvigionarsi sul mercato estero, ma in Europa siamo tutti nella stessa barca che affonda. Lo spiega Steffen Thirstrup, chief medical officer dell’Agenzia europea del farmaco (Ema): «Posso confermare che la carenza di antibiotici è un problema che le agenzie europee stanno affrontando. Noi abbiamo un ruolo di coordinamento e senz’altro alcune delle carenze vengono affrontate a livello nazionale. In termini di antibiotici e in particolare di amoxicillina, incluso amoxicillina con acido clavulanico, sappiamo che la maggior parte degli Stati membri, in realtà 25 dei 27, stanno segnalando carenze locali». In Inghilterra i farmacisti hanno denunciato una grave carenza di antibiotici pediatrici resa ancora più drammatica se si considera l’epidemia di streptococco (il batterio che scatena la scarlattina) che ha causato già 8 morti. In Germania, ne ha scritto Bild: la farmacista Daniela Hänel di Zwickau, ha raccontato al giornale di essere stata costretta a «mandare via tre pazienti perché non c’era un farmaco alternativo». La lista dei medicinali irreperibili sta diventando sempre più lunga, sono 299 (i nostri, come detto, 3.200). In Italia la cronaca continua a raccontare sempre le stesse storie, ormai da mesi e sono sempre i farmaci pediatrici a mancar di più: tachipirina, Augmentin, Nurofen e anche la vitamina D in gocce indispensabile per i neonati soprattutto.
Per alcune delle cause che scatenano l’emergenza si può fare poco, ma ce ne sono altre poco analizzate fino ad adesso. Infatti a questi problemi si affianca il tema della competizione: «Dopo il Covid alcuni Paesi si sono resi conto che quello farmaceutico è un asset strategico sul quale investire», spiega Cattani, «la Francia ha capito quanto fosse vulnerabile e ha fatto un piano decennale a fine 2020 investendo 8 miliardi per diventare il Paese leader nella creazione degli hub di farmaceutico e biotecnologico in Europa». Nel momento in cui i nostri competitor investono in ricerca sviluppo e innovazione e noi no, (l’Italia spende l’1,5% del Pil in ricerca) è normale che vengano drenate le nostre risorse. Questo non aiuta la filiera e quindi neanche la produzione. Come ricorda lo stesso Cattani, gli Emirati Arabi Uniti hanno elaborato un piano per diventare nei prossimi 10 anni il primo hub farmaceutico e biotecnologico dell’Est. «Hanno una grande probabilità di successo, i soldi non mancano e le regole non sono restrittive come da noi», aggiunge il presidente di Farmindustria che prova a fornire anche delle soluzioni: «Bisogna rendersi autonomi su tutta la filiera. La differenza si può fare con policy che sostengano l’innovazione, la ricerca e che favoriscano il reshoring della produzione dei principi attivi qui in Italia. C’è bisogno di visione e strategia», conclude Cattani. Insomma noi abbiamo le teste, mancano gli investimenti perché non ci sono incentivi, non si investe qui in Italia, soprattutto per problemi burocratici ma anche di sostenibilità dei prodotti legata ai prezzi. Per produrre un farmaco in Italia e avere il prezzo di rimborso passano 14 mesi, mentre in Germania ne passano due. Tutti questi elementi naturalmente non aiutano la filiera e quindi la produzione.
Secondo l’ex sottosegretario alla Salute PierPaolo Sileri tutti questi temi non riguardavano il ministero, non erano di loro competenza. Se le persone non possono curarsi, se i medici sono costretti a cambiare le terapie e ad adattarle a quello che si trova, l’argomento non dovrebbe riguardare il ministero della Salute. Almeno secondo quanto diceva Sileri. Oggi con il nuovo governo il tema si ripresenta ancora una volta ed è difficile venirne a capo se Aifa invece di trovare soluzioni che non prevedano l’approvvigionamento all’estero (dove sono messi come noi) pensa di fare podcast per spiegare che i farmaci non si trovano perché i pazienti si fanno prendere dall’ansia per colpa dei giornalisti. Facile banalizzare così, più difficile pensare a soluzioni reali e durature perché per come sono messe le cose adesso, difficilmente andrà meglio nei prossimi mesi tra inflazione e situazione geopolitica. Abbiamo perso la guerra dei chip, abbiamo perso quella dell’energia, l’Europa adesso rischia di perdere per sempre anche quella della farmaceutica, mentre Paesi (come la Francia) si muovono da soli per arrivare primi. Noi, invece, sempre ultimi.