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Salute del cuore, colesterolo nel mirino

Salute del cuore, colesterolo nel mirino

Contro livelli elevati di Ldl nel sangue, pericolosi per l’uomo, è in sperimentazione la tecnica più avanzata (la Crispr) di «taglia e cuci» genetico. In attesa di capire meglio benefici e possibili rischi, esistono già – oltre alle classiche statine – farmaci innovativi e molto efficaci: un’iniezione ogni sei mesi che protegge da infarto e ictus.


Potrebbe essere la chiave di volta, il momento esatto in cui il colesterolo elevato smetterebbe di essere quell’annoso problema di quasi tutti coloro che attraversano le paludi insidiose della mezza età: potrebbe, se non fosse che la prima sperimentazione di una nuova tecnica di «editing» genetico sperimentata sull’uomo nel Regno Unito e in Nuova Zelanda ha portato con sé – oltre a un effettivo calo del colesterolo «cattivo» – anche qualche dubbio e la necessità di ulteriori approfondimenti. Stiamo parlando di un’evoluzione della tecnica del Crispr/Cas9, in parole semplici il «taglia e cuci» genetico tramite cui gli scienziati riescono ad apportare modifiche all’interno di un gene senza dover tagliare la doppia elica del Dna (metodica non priva di complicazioni, come alterazioni indesiderate). In tal modo si dovrebbe riuscire, con una singola iniezione, a disattivare definitivamente il gene PCSK9, presente nel fegato e responsabile degli alti livelli di colesterolo Ldl (quello «cattivo»); e quindi a fare sì che chi soffre di ipercolesterolemia possa non temere più per il proprio cuore.

La sperimentazione di fase 1 è stata fatta dall’azienda biotecnologica statunitense Verve Therapeutics di Boston: mentre è ancora presto per capire la reale efficacia a lungo termine del trattamento, i dati disponibili mostrano un’elevata riduzione del colesterolo nei pazienti trattati. Il problema? Fra i dieci partecipanti al trial (quindi un campione di per sé piccolo), affetti da ipercolesterolemia familiare eterozigote, condizione ereditaria che può condurre a infarti e ictus in età giovanile, uno è morto per attacco cardiaco cinque settimane dopo aver ricevuto il farmaco; e un altro ha avuto un infarto dopo un giorno. Gli enti preposti alla vigilanza della sperimentazione hanno stabilito che questi decessi non sono riconducibili al trattamento, ma allo stato avanzato della malattia preesistente: il caso ha acceso comunque i riflettori su una tecnica che porta con sé anche implicazioni etiche. Siamo davanti a una terapia genica potenzialmente molto promettente ma con incognite, per una patologia per la quale già esistono altri trattamenti sicuri e senza grossi effetti collaterali.

È l’importante rapporto tra rischio e beneficio. «Intanto spieghiamo che la tecnica di “base editing” del genoma permette di convertire una singola base del Dna in modo estremamene preciso» chiarisce Angelo Lombardo, Group Leader dell’Unità di regolazione epigenetica e editing mirato del genoma dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica. «Nello specifico dello studio, si inattiva il gene PCSK9 ricreando ciò che a volte è proprio la natura a fare. Esistono infatti individui che già alla nascita presentano questo gene disattivato: sono persone che hanno livelli bassi di colesterolo e scarso rischio di infarti o ictus». Ma, come ricorda l’esperto, siamo solo all’inizio di un percorso. «Ci sono molte incognite che coinvolgono sia la tollerabilità del trattamento, sia il modo di veicolare nel nostro corpo questi strumenti di editing – che nello studio di Verve ha previsto l’uso di particelle simili a quelle impiegate nel vaccino contro il Covid 19), sia gli effetti a lungo termine di modifiche geniche».

Ma la ricerca, così come tutta la storia della scienza e della medicina, mostrano che più si comprende il funzionamento di una metodica, più strumenti si hanno a disposizione per valutarla. La tecnica Crispr originale, che è valsa un Nobel per la chimica nel 2020 alle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, è già applicata con successo in campo clinico (per curare, per esempio, l’anemia falciforme). «Anche per questo» prosegue Lombardo «il trattamento, in futuro, potrebbe venire impiegato non solo per un’ipercolesterolemia ereditaria, con alterazione genetica del PCSK9, ma da tutti i pazienti con colesterolo alto. Tra qualche decennio, potrebbero andare dal medico, ricevere l’iniezione di particelle una tantum, e non utilizzare più statine o altri farmaci». L’ipercolesterolemia, al momento, viene tenuta sotto controllo con medicinali molto efficaci, alcuni «classici», altri innovativi. Oltre, ovviamente, a dieta e movimento: «Il primo passo da fare nel caso di Ldl alto è ridurre grassi animali saturi, aumentare il consumo di frutta e verdura e fare attività motoria almeno tre volte a settimana» afferma Alfredo Pontecorvi, direttore della Uoc di Medicina interna, endocrinologia e diabetologia della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli – IRCCS di Roma.

Quando però non basta, o il colesterolo Ldl è davvero troppo elevato – secondo le linee guida non va superato la soglia di 115 mg/dl per chi è a bassissimo rischio di eventi cardiovascolari, e sotto i 55 mg/dl per chi è ad alto rischio di infarto e ictus – occorre intervenire con farmaci specifici. «La prima opzione è l’ezetimibe, che inibisce l’assorbimento intestinale del colesterolo. Se questo primo step non porta i risultati sperati si passa alle statine, che bloccano la produzione endogena del colesterolo» spiega Pontecorvi. «Un’ottima opzione è anche associare i due farmaci, ezetimibe e statine, perché in tal modo si può usare una dose minore di statine, riducendone gli effetti collaterali come i dolori muscolari, che i pazienti segnalano spesso». Il terzo livello di cura è poi costituito dai nuovi anticorpi monoclonali, evolocumab e alirocumab, inibitori del gene PCSK9: molecole che migliorano la capacità del fegato di «spazzare via» il colesterolo cattivo ripulendo il sangue. Nel 2022 Aifa ha autorizzato, per l’ipercolesterolemia severa, l’utilizzo di inclisiran: «Si tratta di un farmaco innovativo a Rna – siRNA -, definito improriamente “vaccino anti colesterolo”, somministrato per via sottucutanea ogni sei mesi, quindi molto comodo per i pazienti» conclude Pontecorvi. «Interferisce con la sintesi della proteina PCSK9 consentendo una rapida ed efficiente degradazione del Ldl. In attesa di capire meglio i benefici che potremo avere dalle tecniche di editing genetico».

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