Home » Arriva il medico volante

Arriva il medico volante

Arriva il medico volante

La medicina di urgenza oggi salva la vita con droni calati dall’alto, robot e tute jetpack che permettono di decollare.


Tempestività, analisi ambientale, valutazione del rischio, assistenza, messa in sicurezza. Sono le caratteristiche di un Primo soccorso appropriato ed efficiente, in grado davvero di salvare una vita. In tante situazioni di emergenza però anche quella vita dei soccorritori può essere in pericolo dalle condizioni estreme in cui avviene il salvataggio: in luoghi isolati, ad alta quota, con terreno impervio, o magari con macerie, fuoco, gas, ghiaccio e, addirittura, radiazioni.

Fortunatamente oggi una strumentazione all’avanguardia rende possibili interventi fino a qualche anno fa impensabili. Così, a Ischia, dopo la frana di Casamicciola, i soccorsi della Protezione civile hanno usato droni in grado di captare il segnale dei telefonini di potenziali vittime e dispersi. Ancora: lo scorso maggio, sul monte Helvellyn, il terzo più alto del Lake District, in Gran Bretagna, un paramedico è sceso dall’alto e ha salvato uno scalatore precipitato da un’altura grazie a un jetpack: un dispositivo agganciato a schiena o braccia, che, grazie a una propulsione a reazione, permette a chi lo indossa brevi voli. Con questa «tuta» a cinque reattori a turbina della Gravity Industies, in dotazione all’ente Great North Air Ambulance Service, l’operatore è arrivato sul luogo in 180 secondi invece dei circa 90 minuti necessari di una tradizionale squadra via terra. È atterrato leggero accanto al paziente, stabilizzandolo prima che fosse troppo tardi.

Nel soccorso volante sono poi fondamentali i droni, per le emergenze in quota e in mare aperto. A differenza degli elicotteri non dipendono dalle condizioni atmosferiche e arrivano prima dell’uomo portando con sé equipaggiamenti di vitale importanza. Come il drone con defibrillatore di Everdrone che, in Svezia, ha salvato un 71enne colpito da infarto mentre stava spalando la neve. L’uomo, riverso sul vialetto, è stato notato da un medico di un vicino ospedale, che ha chiamato i soccorsi e iniziato la rianimazione cardiopolmonare. Dopo tre minuti, dal cielo è arrivato il drone equipaggiato di defibrillatore: il paziente è tornato cosciente ed è stato portato al pronto soccorso.

Questi nuovi droni medici trasportano anche farmaci salvavita, salvagenti, coperte termiche. La Guardia aerea svizzera ne ha in dotazione uno chiamato RGA-UAV-TiA, che si alza in volo in assenza di visibilità per maltempo o per fumo denso. Ha telecamere termiche che individuano le vittime e ricevitori che localizzano le persone scomparse tramite segnali telefonici. Anche l’elicottero con pilota della Aiut Alpin Dolomites dispone di un sistema simile, il Lifeseeker di Centum R&T, progettato per la ricerca di dispersi attraverso il segnale del cellulare anche senza copertura di rete. Permette di raggiungere la vittima sia con chiamate vocali sia con sms e invia automaticamente la sua longitudine, latitudine e altezza. In Italia non è ancora operativo, perché non c’è un sistema integrato che fa da tramite tra i dati captati dal cellulare e il servizio di soccorso. Ne dispongono invece Austria, Belgio, Irlanda, Olanda, Regno Unito, Emirati Arabi e Stati Uniti.

La salvezza hi-tech non arriva solo dall’alto. Parlano italiano due robot dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT) progettati per coadiuvare i soccorsi in caso di terremoti, incendi, interventi in luoghi inaccessibili, come cunicoli, o pericolosi per i soccorritori stessi, dove ci siano perdite di gas, fuoco, materiale radioattivo. «Si tratta del quadrupede Hyqreal, in grado di camminare sulle macerie, e il Centauro, ispirato alla figura mitologica, che opera anche in presenza di radioattività» spiega Claudio Semini, responsabile della linea di ricerca Dynamic Legend System. «Hyqreal, realizzato da IIT e dall’azienda Moob con il supporto dell’Inail e della’Unione europea, pesa 140 chili, è lungo un metro e 30, porta fino a 40 chili e traina fino a tre tonnellate».

Questo «cane» supertecnologico è parte di un progetto in collaborazione con i Vigili del fuoco di Genova. «È un robot “teleoperativo”, comandato da remoto. Viene inviato in una zona pericolosa e assume informazioni tramite un “visor”, come accade con la realtà virtuale. Il robot ha un braccio per aprire porte, chiudere valvole, infilare telecamere flessibili endoscopiche per capire cosa ci sia al di là di un ostacolo». In caso di incendio quindi, il pompiere non entrerà più in una casa di cui ignori la stabilità, dove ci siano gas tossici o esplosivi. Lascerà fare al quadrupede, che analizza aria e temperatura e riprende la zona circostante. Se l’incendio è piccolo, è in grado di spegnerlo con l’estintore portatile di cui è dotato.

Inoltre, con quattro zampe, può entrare in ambienti dove altri veicoli o cingolati non riescono. «Pensate a una zona colpita da un sisma. Può camminare sopra le macerie, vedere se sono stabili, infilare tra le rovine le telecamere flessibili alla ricerca di superstiti». Centauro invece è antropomorfo, ha testa e braccia e sulle gambe dispone di ruote. «Può portare pesi, entrare in edifici danneggiati per vedere se ci sono crepe o se il tetto si è spostato». L’unica cosa che non può ancora fare è valutare la situazione in ogni suo aspetto. «Intuizione, sensibilità ed esperienza sono per ora appannaggio dell’essere umano. Solo un paramedico o un vigile del fuoco può constatare la coscienza o meno delle vittime e decidere chi iniziare a portare fuori da un luogo pericoloso. L’uomo ha tempi di reazione molto più veloci».

È dello stesso parere Carlo Vettorato, grande esperto di soccorso visto che dal 1972 ha operato sugli elicotteri insieme alle guide alpine e che ha terminato la sua carriera come responsabile del 118 della Valle d’Aosta. «Quando ho cominciato, sulle ambulanze non c’era nulla. Erano come camioncini, ci caricavi il paziente e via. Nei primi elicotteri c’era appena lo spazio per la barella. Tutto è migliorato con la tecnologia, ma per ora l’uomo è insostituibile. Il drone può anche trasportare un defibrillatore su un luogo impervio, ma poi deve esserci qualcuno che lo sa usare. Il paziente non si defibrilla da solo». Insomma, il processo della «valutazione», fondamentale nei soccorsi, al momento non si può insegnare a una macchina. «Parlo anche di termoscanner e rilevatori di vittime da valanga. L’operatore sa captare il segnale, triangolare le posizioni, elaborare i dati, capire se la temperatura rilevata è quella del disperso e non, magari, di un camoscio».

Vettorato stesso, anni fa, è stato estratto da una valanga che lo aveva completamente seppellito. Sa, quindi, di che cosa parla. «Dopo 15 minuti sotto la valanga nel 90 per cento dei casi si muore per asfissia. Ci vuole un uomo esperto che sappia individuarti e soccorrerti. Uno cui dire “grazie” dal profondo del cuore».

© Riproduzione Riservata