Sono le aziende farmaceutiche a sovvenziare, fin troppo generosamente, il settore della Sanità e la la ricerca di nuove terapie. E questa mancanza di indipendenza ha forti conseguenze sulla salute (oltre che sull’etica) come denuncia – da sempre – Silvio Garattini.
Ufficialmente si chiamano «trasferimenti di valore»: sono i versamenti che l’industria farmaceutica effettua ogni anno – sotto forma di donazioni, sponsorizzazioni a convegni, viaggi e consulenze scientifiche – in favore di medici, istituzioni, associazioni di categoria, ospedali, università, società di congressi, fondazioni e chiunque ruoti intorno al mondo della salute. È una forma di pubblicità, legale ma eticamente discutibile, in vigore da decenni e in netto aumento nell’ultimo triennio, soprattutto tra le aziende produttrici di vaccini anti-Covid. Pfizer nel 2019 erogava 6 milioni 353.707 euro, nel 2021 ha speso in sovvenzioni 10 milioni 319.009 euro. Astrazeneca nel 2018 versava 12 milioni 50.625 euro, passati nel 2021 a 16 milioni 556.547 euro. L’azienda tedesca Msd (Merck), produttrice del farmaco anti Covid Molnupiravir, nel 2018 ha concesso fondi per 9 milioni 883.673 euro, aumentati nel 2021 a 20 milioni 672.938 euro. La Gsk (Glaxo), nel 2018 offriva 21 milioni 914.244 euro, che nel 2021 sono arrivati a 29 milioni e 470.898. Del resto, se gli investimenti statali nella ricerca diminuiscono, è fatale che l’industria prenda il sopravvento. Il professor Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano, si batte da decenni per il rafforzamento della dotazione del Fondo sanitario nazionale alla ricerca ed è molto critico su questa prassi. «Il problema pone tre livelli» spiega. «Il primo è a livello di legislazione; quella europea, molto influenzata dalle lobby farmaceutiche, ha stabilito che per approvare un farmaco si debbano adempiere tre requisiti – qualità, efficacia e sicurezza – che però non dicono se la nuova molecola è migliore di quelli già in commercio. Basterebbe cambiare la legge e aggiungere il requisito del “valore terapeutico aggiunto”: i medicinali meno utili sarebbero sostituiti e non più rimborsati dal Servizio sanitario nazionale».
E il secondo livello?
Tutta l’informazione che arriva al medico viene da chi produce i farmaci e punta ad aumentarne le vendite. Di conseguenza, i medici finiscono per privilegiare l’informazione proveniente dall’industria. Manca completamente un’informazione indipendente. È strano che i medici accettino questa forma un po’ degradante di pubblicità.
Qual è invece il terzo livello?
Oggi la ricerca sui nuovi farmaci viene fatta soltanto dall’industria, non dagli enti indipendenti. È grave che le università, l’accademia e i ministeri accettino l’idea di eseguire studi clinici controllati, rimborsati in modo molto rilevante dall’industria farmaceutica che ha come unico obiettivo il reclutare pazienti.
Qual è la conseguenza dello stretto legame tra medici e industria?
Non c’è alcuna libertà: i comitati etici, di fatto, approvano tutto ciò che arriva dall’industria. E non ci sono neanche studi clinici controllati indipendenti, o sono pochissimi. Questa situazione ha aspetti etici molto rilevanti perché tutto ciò non è certo nell’interesse di chi dovrebbe essere al centro del mondo della salute, il malato.
Il primo livello sarebbe forse di più facile attuazione?
Non credo: il mercato dei farmaci soltanto in Italia vale più di 30 miliardi l’anno. Le risorse dell’industria sono enormi e l’attività di lobbying a tutti e tre i livelli è molto elevata.
Su che cosa si potrebbe lavorare?
Sull’informazione indipendente. È facilissimo: basta farla. Una volta ci pensava Aifa, l’Agenzia nazionale del farmaco. Adesso non lo fa più.
Di chi è la responsabilità?
Innanzitutto del ministero della Salute e di Aifa stessa. Gli Ordini dei medici sono altrettanto responsabili e anche i politici potrebbero cambiare le leggi a livello europeo, se volessero. I medici dovrebbero avere maggiore sensibilità etica nel non accettare donazioni o pagamenti per intervenire ai congressi.
È un problema soltanto italiano?
No, è internazionale ma ha proporzioni diverse: in Inghilterra, negli Stati Uniti, così come in Germania e Francia, c’è molta più ricerca indipendente. Noi spendiamo l’1,2 per cento in generale per tutta la ricerca, ma la media dell’Ue è quasi il doppio della nostra, il 2,3 per cento.
Perché?
La ricerca scientifica da noi è considerata una spesa anziché un investimento. Ma senza ricerca non c’è sviluppo economico, né maggior salute. E poi in Italia manca la prevenzione contro le malattie croniche e tumori, di cui la metà è evitabile.
A proposito di tumori, ci sarà il vaccino mRna anticancro?
È una prospettiva, ma non è la sola.
Per prevenzione intende la diagnostica precoce?
Parlo dello stile di vita. Continuiamo a guardare sempre più al mercato, cioè a come aumentare rimedi e farmaci, ma la prevenzione è in conflitto d’interessi con il mercato. Per prevenzione intendo le buone abitudini. Serve una rivoluzione culturale.
Qual è il confine tra educare i cittadini a un corretto stile di vita e invadere la loro sfera individuale?
Il confine è l’educazione. Certo, dobbiamo migliorare le terapie, ma prima di tutto evitiamo le malattie attraverso un corretto stile di vita.
Potrebbe essere utile istituire un ente pubblico che raccolga e redistribuisca i finanziamenti dell’industria farmaceutica, così che i medici non sappiano chi li ha finanziati?
Lo avevamo fatto. Parecchi anni fa, quando in Aifa c’era come direttore generale Nello Martini, avevamo sostenuto una legge che aveva stanziato il 5 per cento delle sovvenzioni dell’industria per un fondo comune utilizzato per fare ricerca indipendente.
Perché questo Fondo per la ricerca non funziona più?
Pian piano, diversi decreti hanno tolto soldi dal Fondo per destinarli ad altri scopi. Oggi non c’è quasi più niente.
Anche l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha ricevuto sovvenzioni dall’industria farmaceutica.
Probabilmente avranno avuto richieste per fare contratti. C’è anche il problema dei brevetti, su cui ho scritto un libro (Brevettare la salute, ndr): il ministero preme affinché l’Università acquisisca brevetti, ma il nostro lavoro dovrebbe essere messo a disposizione di tutti.
Se un’azienda farmaceutica sponsorizza una ricerca e i risultati non sono in favore del farmaco, l’azienda si riserva il diritto di tenerli nel cassetto.
Avviene spesso, anche se non dovrebbe succedere.
Negli ultimi tre anni la «pubblicità» dell’industria farmaceutica è aumentata. Tra i beneficiari figura la Federazione italiana medici pediatri (Fimp) che ha fatto pressioni per vaccinare i bambini contro il Covid. Quando il cittadino scopre queste dinamiche, non c’è il rischio che si fidi di meno delle autorità sanitarie?
Io sono convinto che – dopo aver fatto la sperimentazione, naturalmente – la vaccinazione dei bambini fosse giusta. Ma le associazioni dei pediatri avrebbero dovuto promuoverla senza ricevere fondi: così sarebbero state più credibili. n