Nel Paese dove ogni anno fino a 10 mila persone ricorrono alla Maid, la pratica per «agevolare» il suicidio, c’è un dibattito aspro sui limiti che a questa si devono imporre. Perché tra l’altro non sia utilizzata, drammaticamente, per sopperire alle carenze nel welfare del governo.
La data era stabilita dalla legge: 17 marzo 2023. Dopo due anni di moratoria, la norma Bill C7 avrebbe permesso anche ai canadesi con una patologia mentale di accedere alla Maid, la Medical assistance in dying: la definizione che nel Paese nordamericano viene preferita a «eutanasia» perché prevede una procedura legale e il coinvolgimento di un professionista sanitario. Chi, per esempio, soffre di depressione grave, schizofrenia o disturbo bipolare, avrebbe potuto chiedere l’assistenza di un medico o da un infermiere per porre fine alla propria esistenza, con un farmaco da loro prescritto o somministrato. E lo stesso avrebbero potuto fare le persone con una disabilità o che soffrono di una malattia cronica.
E invece no. Almeno per il momento. «Abbiamo scelto di rinviare di un anno l’entrata in vigore della legge perché siamo consapevoli dei timori di alcuni esperti sulla necessità di maggiori protezioni per chi chiede la Maid connessa a un disturbo mentale. Avremo più tempo per formare il personale e predisporre le risorse necessarie» spiega David Lametti, figlio di genitori marchigiani, avvocato e docente universitario, dal 2019 ministro della Giustizia nel governo di Justin Trudeau.
La legge è arrivata a distanza di 30 anni dalla vicenda di Sue Rodriguez, malata di Sla, la Sclerosi bilaterale amniotrofica, che durante un’audizione nel 1992 aveva chiesto a deputati e senatori: «Se non posso dare il consenso alla mia stessa morte, di chi è questo corpo? A chi appartiene la mia vita?». Con un verdetto di 5 giudici su 4, la Corte suprema le aveva negato il ricorso alla Maid. Nel 2015, la svolta: Kay Carter, affetta da stenosi spinale, è stata autorizzata a ricorrere alla Maid perché la sua malattia determinava una «sofferenza intollerabile e irrimediabile». Nel 2016 il Parlamento ha trasformato questi principi in legge, aggiungendo la condizione che «la morte naturale sia ragionevolmente prevedibile».
Di fatto, un compromesso durato fino al 2019, quando i giudici, esprimendosi sul caso di Jean Truchon, un 51enne di Montreal con una disabilità che lo costringeva sulla sedia a rotelle e gli consentiva di muovere solo la mano sinistra, hanno stabilito che la «ragionevole prevedibilità» violava il principio di uguaglianza e che la «vulnerabilità del richiedente doveva essere valutata caso per caso». Solo nel 2021 oltre 10 mila canadesi hanno fatto ricorso alla Maid (ma oltre 30 mila dall’entrata in vigore della legge), il 30 per cento in più rispetto al 2020, rappresentando il 3 per cento dei decessi annuali. Non sorprende che chi la chiede abbia in media poco più di 76 anni e soffra, nel 66 per cento dei casi, di cancro. Nonostante l’87 per cento dei canadesi sia a favore di questa pratica definitiva e il 65 per cento la voglia anche per le malattie mentali, il dibattito in tutto il Paese continua. Aspro. Liberali (prevista nel loro programma elettorale) e conservatori (decisi ad abolirla per le malattie psichiche e a limitarne l’applicazione per quelle fisiche) continuano a darsi battaglia in Parlamento, mentre gruppi per la tutela delle persone con disabilità, associazioni dei medici e 50 organizzazioni religiose ebraiche, musulmane e cristiane restano contrari per le persone che non stanno morendo.
Ci sono obiezioni scientifiche, come quelle degli esperti del Centre for addiction and mental health e della Canadian association for suicide prevention, che non ritengono sia possibile prevedere l’«irrimediabilità» della malattia mentale, a differenza di quanto avviene per patologie come cancro avanzato, Sla o Alzheimer. Ci sono obiezioni etiche: durante il suo viaggio in Canada, Papa Francesco ha condannato la «cultura dello scarto, che considera “usa-e-getta” anziani e disabili e offre ai pazienti, al posto dell’affetto, la morte». La chiesa cattolica canadese si batte contro la Maid e cita un sondaggio Angus Reid secondo cui il 70 per cento dei canadesi sarebbe molto preoccupato per l’allargamento della sua applicabilità alla malattie mentali.
Timori analoghi sono contenuti in un rapporto Onu sui diritti delle persone con disabilità, mentre Tim Stainton, direttore del Canadian Institute for Inclusion and Citizenship, non ha esitato a definire la legge come «probabilmente la più grande minaccia esistenziale per le persone disabili dal programma nazista in Germania nel 1930». Alcuni dei casi concreti di applicazione della legge hanno sollevato dubbi sul suo funzionamento e scosso la coscienza collettiva. Alan Nichols, per esempio, 61 anni, con una storia di depressione e altri disturbi secondari, dopo un ricovero in ospedale ha chiesto e ottenuto in un mese la Maid, indicando come unico problema di salute la perdita dell’udito. La famiglia di Nichols ha denunciato il caso alla polizia e alle autorità sanitarie, sostenendo che l’uomo non stava prendendo i farmaci necessari, non usava l’impianto cocleare e che il personale ospedaliero lo ha aiutato impropriamente a richiedere l’eutanasia.
Anche il premier Justin Trudeau, leader del Partito liberale, ha espresso lo sdegno del Paese di fronte al caso della caporale in pensione Christine Gauthier, paraplegica, che si è sentita proporre la Maid da un impiegato del Veteran affairs come soluzione al problema dei ritardi nell’installazione di un montascale nella sua abitazione. Per Derryck Smith invece, psichiatra, docente all’Università di Vancouver, membro del board di Dying with dignity e da anni uno dei leader del movimento per la legalizzazione dell’eutanasia, «non si tratta di allargare le maglie della legge, ma ristabilire un diritto per le persone che soffrono senza speranza di guarigione per una malattia psichica, rimuovendo lo stigma che ancora la connota». Smith cita il caso di John Scully, giornalista di guerra che ha lottato per tutta la vita con una sindrome da stress post-traumatico e, alla veneranda età di 80 anni, ha chiesto la Maid dopo un calvario fatto di decine di consulti con psicologi e psichiatri, sei ricoveri presso il Centre for addiction and mental health di Toronto (ente di ricerca al top nel mondo), 19 elettroshock e due tentativi di suicidio.
Certo è che la sanità canadese, sotto pressione per la crisi degli oppiodi e per il fabbisogno di assistenza mentale post-Covid, rischia il collasso. La Mental health commission del Canada ha rilevato che meno di un adulto su tre riceve l’assistenza sanitaria mentale di cui ha bisogno, mentre uno su 10 deve attenderla per più di quattro mesi. Secondo il quotidiano Toronto Star, una famiglia su quattro ha difficoltà a trovare le risorse economiche per acquistare le medicine di cui necessita. Il pericolo concreto è che molti possano ricorrere alla Maid perché non hanno i mezzi per curarsi.
«Siamo in Canada» è la replica di Smith «e la Sanità è pubblica: ricchi e poveri hanno lo stesso accesso a un servizio che, nella maggior parte, considerano inadeguato. Problema diverso è quello di chi, per anni, convive con una malattia mentale intollerabile senza trovare un trattamento efficace. La sfida, semmai, è quella di consentire l’accesso alla Maid anche a chi è in una condizione di svantaggio economico e culturale». A chi sostiene che un programma potenziato di cure palliative sarebbe più efficace per garantire la dignità umana nel fine vita, Smith obietta che «l’80 per cento delle persone che hanno fatto ricorso alla Maid ha anche ricevuto cure palliative. Ma c’è chi preferisce decidere tempi e circostanze del fine vita senza semplicemente rallentarlo con gli oppiodi».
Come ha fatto Jennyfer Hatch, colpita dalla sindrome di Ehlers-Danlos, malattia rara che danneggia il tessuto connettivo. Un video di tre minuti, prodotto dalla casa di moda Simons e intitolato All beauty, ha celebrato la scelta di Jennyfer e le sue parole: «Quando immagino i miei ultimi giorni, sento la musica e vedo l’oceano». Un manifesto pro-eutanasia che è diventato un duro atto di accusa contro il sistema sanitario quando la rete CTV ha diffuso un’intervista postuma della donna in cui raccontava di essere rimasta, a dieci anni dalla diagnosi, senza medico di base e senza adeguate cure palliative. Nell’autorizzazione, le autorità sanitarie avevano concluso che «non ci sono altri trattamenti o interventi adatti ai bisogni della paziente o alle sue ristrettezze finanziarie». In questo modo realizzando il suo ultimo desiderio: «Se non potete prendervi cura della mia vita, prendetevi cura almeno della mia morte».
Il Canada, nel frattempo, si prepara a un altro anno di discussioni, mentre è legittimo chiedersi se prima di estendere la Maid alle persone con malattia mentale il governo federale non debba affrontare il problema di aggiungere dignità alla vita e non solo alla morte, con misure più sicure contro l’adozione impropria del supporto al fine vita, ma anche più risorse per farmaci per tutti, salute mentale e l pensioni di invalidità.