Se l’accesso alle cure d’emergenza del Servizio nazionale diventa un’odissea, tra code infinite e «parcheggi» in barella, ecco diffondersi nelle grandi città italiane l’assistenza a pagamento per i codici «verdi e bianchi», i casi non così urgenti che però non vanno trascurati. Tra vantaggi e possibili rischi, è già scoppiata la polemica.
Malati parcheggiati nelle barelle per settimane, medici costretti a turni massacranti per coprire le urgenze, problemi di sicurezza. I Pronto soccorso sono diventati gironi danteschi. Una situazione che non è cambiata nemmeno nel post-pandemia. Hanno fatto il giro dei media i casi dell’uomo di 77 anni bloccato per 43 giorni su un letto di un ospedale romano in attesa di essere visitato, e della 59enne morta a Scafati, nel Salernitano, in seguito a un malore improvviso accusato nei pressi dell’ingresso del Ps, chiuso per lavori. Due episodi di tale gravità che hanno coinvolto perfino il Parlamento, e la commissione Affari sociali e Salute della Camera ha aperto un’indagine conoscitiva per fare chiarezza perché, afferma il presidente Ugo Cappellacci, il livello è «intollerabile». Non fanno più notizia le fughe di medici all’estero o verso le strutture private, i pensionamenti anticipati appena se ne offre la possibilità, mentre le università sfornano sempre meno laureati e i concorsi di specializzazione rimangono deserti. Ogni anno, come indica l’Anaao Assomed, ci sono quattro-cinquemila uscite dal lavoro per raggiunti limiti di età e duemila prepensionamenti. In una condizione di grave carenza, perché servirebbero almeno 15 mila medici in più.
E lì dove il sistema pubblico non riesce più a dare risposte, si fanno largo i privati. Dopo i «gettonisti», i camici bianchi forniti da cooperative per coprire i turni scoperti nelle corsie, un altro fenomeno sta mettendo radici nella Sanità. Ovunque, nelle grandi città, spuntano iniziative che offrono assistenza e cura h24 ma a pagamento. L’emergenza-urgenza fino a qualche tempo fa non era affare del privato, più interessato a massimizzare i profitti in attività diagnostiche routinarie. Ora però l’incapacità del pubblico di far fronte alla domanda ha aperto nuovi spazi. Più che Pronto soccorso, preferiscono definirsi «ambulatorio-pronto soccorso» o «ambulatorio ad accesso diretto», sottolineando così che rappresentano un passaggio intermedio tra il medico di base e l’ospedale. Intervengono sui casi definiti in codice bianco e verde, cioè a bassa problematicità, che non rappresentano un’emergenza.
In Lombardia, dove la privatizzazione della Sanità è perseguita da tempo, realtà di questo tipo sono già presenti. A Bergamo, al Policlinico San Marco di Zingonia con 149 euro non si fa la fila. La struttura, attivata dal Gruppo San Donato, prevede, come si legge nel sito, una assistenza «in caso di necessità di prestazioni sanitarie che non hanno carattere di emergenza (medicazioni di tagli o ferite, riscontro medico dopo un trauma di lieve-media entità, distorsione, rottura di un dente, cistite…)». Il paziente può recarsi presso l’ambulatorio per ricevere l’assistenza dei seguenti specialisti: ortopedico; chirurgo polispecialistico; odontoiatra; urologo». Questa soluzione è presente anche in altri ospedali del Gruppo San Donato, quali i milanesi Galeazzi-Sant’Ambrogio e il Policlinico San Donato, e il bresciano S. Anna. Centri dove viene precisato che «i costi relativi a eventuali esami diagnostici di 1° e 2° livello e strumentali stabiliti dallo specialista a seguito della visita non sono compresi». Quindi con 149 euro si può evitare la fila. In Lombardia ci sono altre iniziative simili. Gli ospedali del San Donato sono strutture sanitarie accreditate, cioè centri privati convenzionati con il Servizio sanitario nazionale nei quali il paziente paga un ticket per le prestazioni mediche mentre il costo della prestazione fornita viene poi rimborsato dal Ssn. L’ambulatorio ad accesso diretto è invece totalmente privato.
Ci sono poi strutture che non fanno parte di ospedali convenzionati. Da anni è operativo a Milano il Codice Verde, un servizio di pronto soccorso privato nato 12 anni fa, solo per patologie minori. L’obiettivo è «offrire un’alternativa a tutti coloro che altrimenti dovrebbero attendere ore nelle sale d’attesa del pronto soccorso». Gestiscono circa 600 pazienti l’anno che pagano 150 euro per la prestazione. Un’idea analoga a quella del BresciaMed, sorta a Brescia lo scorso maggio, sempre per interventi rapidi. In Piemonte, la discussione è aperta. L’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi, è favorevole, ma appena ha detto che «a Torino sarebbero utili due o tre Pronto soccorso privati per decongestionare quelli pubblici», sono scoppiate le polemiche. «A Torino non servono nuovi Ps. Servirebbe avere più posti letto per acuti e post-acuti, per poter ricoverare ed evitare attese per giorni in barella. Servirebbe ridurre gli accessi impropri. Servirebbe valorizzare il personale» ha risposto l’Anaao Assomed Piemonte. A Roma il Gruppo Villa Claudia ha avviato un servizio di assistenza h24 e 7 giorni su 7 per le emergenze mediche, chirurgiche o traumatologiche. Il malato, dopo un triage telefonico, viene indirizzato verso la struttura più adeguata. Se i sintomi non sono gravi è mandato a Villa Salaria Hospital, altrimenti si aprono le porte del Pronto soccorso.
Sempre nella Capitale, ecco il Romamed Service, guarda medica privata a domicilio. Si legge nel sito: «Quando il medico di famiglia non può accorrere o sei impossibilitato a recarti in ospedale, puoi contattare la nostra Centrale Operativa per richiedere l’intervento di un medico generico o di uno specialista. Il fenomeno è guardato con sospetto dalle associazioni mediche. Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina d’emergenza (Simeu), prospetta un’ipotesi inquietante: «Che succede se un paziente si rivolge a un centro privato per un semplice mal di stomaco, per esempio, ma poi si scopre che è un principio d’infarto? Chiamano un’ambulanza per mandarlo al Pronto soccorso dove deve ricominciare la trafila? Se parliamo di grandi gruppi sanitari privati, ha un senso avere un pronto soccorso privato-convenzionato perché c’è un polo ospedaliero dietro che dà ogni tipo di risposta. E non c’è nulla da dire. Ma pensare di sostituire il pubblico con il privato, per le emergenze, io ci andrei cauto».
Per non parlare poi del lato economico. I costi di accesso a queste strutture «non rappresentano il totale finale, perché eventuali esami radiologici o prelievi li paghi» avverte De Iaco. «Quindi il conto alla fine sarà salato. Un’appendicite complessa, faccio un esempio, nel privato può anche costare 18-20 mila euro. Ecco, sono cifre che non tutti possono permettersi e anche le assicurazioni non è detto le coprano». Allora si torna in ospedale, e la maratona da incubo continua.