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La peste suina dilaga ed è colpa dei cinghiali

La peste suina dilaga ed è colpa dei cinghiali

Il virus che colpisce i maiali dilaga in Piemonte sta raggiungendo l’Emilia, con rischi enormi per il comparto degli insaccati. Ma il morbo si diffonde a causa (anche) del moltiplicarsi dei cinghiali, spesso protetti dagli ambientalisti. È l’ora di intervenire.


Fu il regalo della Befana di due anni fa. Il 6 gennaio nei boschi di Ovada trovarono un cinghiale morto di peste suina. Scattò un primo contenuto allarme. Ora ci tocca di schierare l’esercito contro i cinghiali. Mezza Europa fa i conti con la peste suina che si chiama africana, ma di africano non ha nulla in Italia. Tardivo sta arrivando un piano nazionale di azione che dovrebbe essere approvato tra il 14 e il 15 settembre, e il 16 dal Governo dopo il via libera della conferenza Stato-Regioni.

Con l’epidemia convivono Germania, Slovacchia che ha varato un piano draconiano di abbattimenti, Moldavia, Lituania, tutto il nord-est del continente; il primo caso di questa nuova ondata fu segnalato tre anni fa in Belgio. In tre mesi i fiamminghi hanno eradicato il virus facendo ciò che andava fatto: abbattimenti a tappeto di cinghiali, confinamento degli allevamenti interessati, finanziamento agli allevatori che segnalavano e agivano contro i casi sospetti. In Italia un focolaio endemico c’è stato per almeno trent’anni in Sardegna: hanno smesso di produrre salumi autoctoni. Oggi pare abbiano vinto la battaglia, ma lo stigma sulle produzioni sarde rimane.

Ed è quello che teme la filiera dei salumi. L’allarme è altissimo perché dal Piemonte la peste si sta pian piano allargando in Pianura Padana, la «food-valley». I primi sei casi sono stati segnalati in provincia di Pavia dove si sono scoperti anche un allevatore e un veterinario che hanno fatto i furbi. Prima hanno abbattuto i maiali presunti infetti poi hanno segnalato casi anomali di mortalità. Adesso il Pavese – come spiega Angelo Rinaldi, medico veterinario di Pavia – è sotto strettissima sorveglianza ma «è fondamentale che gli allevatori segnalino subito i casi sospetti e adottino tutte le precauzioni possibili che sono isolamento degli animali sospetti e distruzione delle carcasse, e bisogna evitare che i cinghiali vengano a contatto con i suini. È indispensabile dare agli allevatori indennizzi pronti perché loro sopportano sia il danno della perdita dell’animale sia il costo dello smaltimento. La situazione» illustra ancora Rinaldi «è delicatissima perché ora l’infezione è arrivata al Po, se dilaga oltre il Ticino si aggredisce gran parte della produzione italiana».

Confessa Guglielmo Golinelli, fino all’anno scorso deputato della Lega e giovanissimo allevatore che a Mirandola ha una delle più cospicue e di maggior qualità aziende suinicole d’Italia: «Non ci dormo la notte, l’allarme tra noi allevatori emiliani è altissimo. Se la peste intacca Piacenza e Parma dove nascono i salumi da esportazione è la fine. E se succede saprò bene a chi dare la colpa». Siamo dunque all’S.o.s prosciutto? «Sì, e nascondere il marcio sotto il tappeto come si è fatto finora è il peggior danno» conferma Golinelli. «Io non ci sto a farmi bruciare l’azienda per i veti sotterranei dei verdi che non vogliono l’abbattimento dei cinghiali. Tra l’altro ci sono pochi maiali e ora il prezzo è salito ed è finalmente remunerativo».

Per capire se l’allarme è fondato o no vediamo i numeri. L’Assica, guidata da Pietro D’Angeli, è l’associazione che riunisce i produttori di salumi e di carni lavorate, e conferma che il 2022 è stato l’anno boom per il settore. Quasi 9 miliardi di fatturato con un aumento del 2,2 per cento rispetto al 2021, ma diminuzione di un paio di punti di produzione con una domanda interna più o meno stabile – appena sotto il milione di tonnellate – e il prosciutto cotto che si conferma il preferito (27,8 per cento) seguito da crudo (22,1), mortadella, wurstel (20,3) e dai salami 8,5 per cento. Con una novità: si accentua la domanda di carne fresca (più 3,6 per cento) che fa salire il consumo annuo di derivati dal maiale a 28,4 chili a testa. L’export ha portato un attivo sulla bilancia commerciale di settore di oltre 18 miliardi di euro con il prosciutto di Parma e di San Daniele a far da ambasciatori. Il Parma da solo vale 1,7 miliardi con una produzione di 8,5 milioni di cosce. In Italia si allevano 9 milioni di maiali in 27 mila aziende professionali, ma ad avere un suino in cortile sono almeno 115 mila. Circa il 70 per cento dei nostri allevamenti si trova lungo il Po.

L’allarme suonato a Pavia fa tremare i polsi. «Stiamo però adottando tutti i provvedimenti necessari per contenere l’epidemia» dice a Panorama Enzo Caputo, direttore dell’Istituto zooprofilattico di Umbria e Marche specializzato nella lotta alla peste suina, nominato Commissario straordinario, ma solo il 23 febbraio scorso. «Speriamo di uscirne nell’arco di due/tre anni. I focolai di Roma, della Calabria e della Campania sono stabili e sotto controllo, quello del Piemonte da dove è partita l’infezione è ben monitorato, lo sconfinamento a Pavia richiede azione rapida e massima attenzione. La prima strategia è l’eradicazione dei selvatici con un piano sistematico di abbattimenti. Lo abbiamo presentato alla conferenza Stato-Regioni che lo ha approvato e l’accordo dei tre ministri Francesco Lollobrigida, Guido Crosetto e Orazio Schillaci ci consente l’uso dell’esercito nell’abbattimento dei cinghiali. Per quanto riguarda il monitoraggio degli allevamenti per ora il personale sanitario e ispettivo è sufficiente e ci stanno anche arrivando i finanziamenti. Inoltre» prosegue Caputo «abbiamo predisposto già alcune ordinanze per impedire il commercio di carne di cinghiale, eradicare l’allevamento, la trasformazione e la vendita abusiva di carni di suidi. Per quanto riguarda la zona del Pavese stiamo seguendo sei allevamenti per 18 mila maiali, ma non bisogna fare allarmismi».

Radicalmente diverso il parere di Guglielmo Golinelli. «Hanno perso tempo. Il dottor Caputo è il miglior tecnico che abbiamo e lo zooprofilattico di Umbria e Marche è quello specializzato. Ma due anni fa invece di far intervenire loro in Piemonte hanno usato i tecnici locali che come compito hanno quello di occuparsi di sicurezza alimentare. Da deputato della Lega avevo interrogato gli allora ministri Stefano Patuanelli (Agricoltura) e Roberto Speranza (Salute) che non hanno fatto nulla. Avevo chiesto l’immediato intervento dell’esercito. C’è voluto l’arrivo di Francesco Lollobrigida e comunque è passato un altro anno prima di decidersi».

L’opinione di Golinelli, condivisa anche da Confagricoltura, almeno quella dell’Emilia-Romagna che da due anni martella ogni santo giorno l’assessore regionale Alessio Mammi (Pd) per attivare una lotta contro i cinghiali, richiesta finora inevasa, è che «il timore ambientalista e il condizionamento dei verdi abbia paralizzato sia Patuanelli sia Speranza». Andrebbero rilanciati abbattimenti di cinghiali con squadre di cacciatori esperti, capaci di sparare anche di notte, con armi silenziate. «Lo abbiamo fatto per le nutrie, ma in Lombardia sono stati condannati i cacciatori per appropriazione di selvaggina e i funzionari che li hanno autorizzati per abuso di potere. Per fortuna la Corte Costituzionale ha detto che smantellate la Polizia provinciale e la Forestale, ricorrere ai cacciatori formati è legittimo. In Emilia-Romagna se la campagna contro le nutrie fosse stata fatta bene gli argini non sarebbero stati ridotti a gruviera con le conseguenze che abbiamo visto di recente con l’alluvione».

Un’altra profilassi che chiedono agli allevatori è la sterilizzazione dei camion. In Spagna si sottopongono a trattamento termico dopo ogni trasporto di suini, anche perché la peste resta attiva per sei mesi sulla sostanza organica, e sui cinghiali non ci vanno per il sottile: gli allevatori hanno licenza di sparare. E da noi? Il milione mezzo di cinghiali che scorrazza libero anche in città è padrone della scena. E sta mettendo a repentaglio anche la cena.

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