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Quando la medicina fa male

Quando la medicina fa male

Un eccesso di farmaci, assunti senza valutarne l’utilità (da parte di specialisti), può provocare gravi conseguenze soprattutto in chi è in là con l’età. Il cervello è tra gli organi più a rischio.


Anche gli amici più cari, se «utilizzati» nel modo sbagliato, possono rivelarsi dannosi. Fuor di metafora, quelle pillole che ci aiutano a dormire meglio, l’aspirina che sembra tanto innocua da essere venduta al banco della farmacia, quelle statine che salvano dall’ictus, o la pastiglia per la prostata, ecco, proprio loro possono a volte nuocerci così tanto da creare più guai che benefici. Ovviamente, questo accade se ce ne serviamo ignorando linee guida e indicazioni dei medici, se non addirittura bypassandole e rivolgendoci al «passaparola»: tanto più pericoloso quanto più si va avanti con l’età. Succede anche, però, se i medici non si aggiornano o prescrivono con leggerezza.

Secondo i dati presentati qualche settimana fa a New York dall’American Geriatrics Society ed effettuati su una «coorte» di circa 13 milioni di pazienti, i sedativi prescritti per l’insonnia agli anziani (che hanno magari solo una lieve demenza iniziale) possono avere gravi effetti negativi sulle funzioni cognitive, e quindi paradossalmente peggiorare le condizioni dei pazienti: «Benzodiazepine, neurolettici, antidepressivi e Z-drugs ipnoinducenti hanno l’effetto transitorio iniziale di aiutare gli anziani a dormire e riposare meglio di notte» spiega Paolo Calabresi, ordinario di Neurologia all’Università Cattolica e direttore dell’Uoc di Neurologia dell’Irccs Policlinico Gemelli. «Solo che poi ci si ritrova a pagarne il prezzo durante il giorno: i pazienti sono in preda alla sonnolenza, si muovono meno, hanno meno interessi e socialità. Gli anziani rischiano così di passare da uno stadio di deterioramento cognitivo iniziale a una condizione ancora più invalidante. Inoltre, numerosi studi testimoniano come chi assume questi farmaci sia più predisposto a cadute – perché alcuni possono causare svenimenti improvvisi – e conseguente aumentato rischio di fratture».

I pericoli però, non arrivano solo dalle molecole, quindi dalla tipologia del farmaco, ma anche dalla quantità di medicine che dobbiamo assumere invecchiando: quantità spesso difficile da gestire: «I pazienti arrivano dai neurologi con un lungo elenco di farmaci che assumono tutti i giorni» continua Calabresi. «Hanno la pillola per il diabete, quella per l’ipertensione, le statine per il colesterolo, i farmaci per l’ipertrofia prostatica e un gran numero di integratori per motivi non meglio specificati: a questi si aggiungono i medicinali contro l’insonnia, la cui prescrizione è spesso sollecitata da familiari o «caregiver» che desiderano che gli anziani dormano il più possibile per renderli di più semplice gestione. Questo è un problema, perché oltre ai pericoli dei quali abbiamo detto sulla capacità cognitiva, il fatto di assumere così tanti medicinali mette il paziente anche a rischio di poca “adesione” alle terapie. Si confondono nel prenderle, oppure ritengono che siano troppe e magari sospendono proprio quelle più importanti, oppure ancora ne dimenticano alcune, con rischi importanti».

C’è poi il caso emblematico dell’aspirina a basso dosaggio (Cardioaspirina o Aspirinetta, per citare solo due dei farmaci più celebri) che molti assumono quotidianamente: spesso vengono consigliati dal medico curante solo in base all’età, o la prendono soltanto perché «lo fanno tutti», nella convinzione che metta al riparo dagli ictus e dagli infarti e comunque non possa nuocere più di tanto: in fondo è solo aspirina! È invece un’abitudine che può costare cara: «È importante far comprendere alle persone» avverte Davide Capodanno, ordinario di Cardiologia all’Università di Catania e responsabile dell’Unità di Cardiologia del Policlinico della città etnea, che nel 2021 è stato uno degli autori delle Linee guida della Società europea di cardiologia per la prevenzione cardio-vascolare, «che l’aspirina a basso dosaggio va assunta quasi esclusivamente in prevenzione secondaria: cioè in presenza di malattia aterosclerotica conclamata o se si è già stati vittime di un infarto o un ictus e per evitare un secondo evento. I sani, quelli che non hanno mai avuto questi problemi non devono prenderla, perché i rischi superano i benefici, a meno che coesistano patologie come il diabete e condizioni di alto rischio cardiovascolare. L’aspirina, infatti, ha un’importante funzione anti aggregante: evita che le piastrine si aggreghino tra loro e formino trombi e coaguli. Ma proprio perché rende il sangue più liquido, il farmaco espone al rischio di sanguinamenti, anche importanti».

A quel punto, per prevenire un infarto o un ictus, che probabilmente non verranno mai perché non ci sono fattori di rischio, si va incontro a sanguinamenti intracranici o gastrici che possono invece mettere a repentaglio non solo la salute, ma la vita stessa. Però l’abitudine è dura a morire, anche per «colpa» degli stessi medici: «Nonostante l’assoluta chiarezza delle linee guida europee, ormai molto esplicite» prosegue Capodanno «noi cardiologi vediamo ancora troppi pazienti che assumono aspirina quando non dovrebbero. Occorre che i medici di famiglia educhino il paziente che spesso chiede l’aspirina perché la prende il parente o il vicino di casa, e non sovrautilizzino questi farmaci, rimandando in caso allo specialista».

C’è poi il paradosso delle statine, che spesso diventano «nemiche» perché assunte in quantità insufficiente o perché scriteriatamente sospese dai pazienti, convinti di prenderne in quantità eccessiva: «Il dosaggio delle statine» afferma Alberto Benetti, direttore di Medicina interna-Alta complessità dell’Ospedale Niguarda di Milano, «è molto complicato. Nelle nuove linee guida, l’obiettivo da raggiungere nel controllo del colesterolo “cattivo” è ambizioso: tanto più il paziente è a rischio di eventi ischemici, tanto più il colesterolo Ldl deve essere basso. Quindi spesso le persone hanno la percezione di un eccesso di farmaco, perché vedono il colesterolo pari a valori “normali”, ignorando il fatto che se sono ad alto rischio, perché magari hanno già avuto un infarto e hanno il diabete, devono farlo scendere molto di più». A quel punto, la sola statina è insufficiente e si utilizzano quindi associazioni di farmaci per rientrare nel target desiderato, con l’obiettivo di una medicina sempre più personalizzata: «Le statine, inoltre» continua Benetti «soffrono delle false credenze dei pazienti che le considerano pericolose: in effetti danno solo lievi dolori muscolari e mialgie, e in casi molto molto rari alterazioni degli indici epatici e muscolari o della funzione renale. Solo che vanno prese per tutta la vita, e questo intimorisce le persone».

Impossibile chiudere senza un breve passaggio anche laggiù, all’altezza della prostata. Ecco, i farmaci per l’ipertrofia prostatica benigna, che si assumono per ovviare ai problemi che qualsiasi uomo «ultra» conosce bene, anche loro non sono proprio da prendere a cuor leggero: se si esagera con gli efficacissimi alfa-litici si va incontro a rischi di ipotensione, vertigini e astenia. Occhio quindi, ad alzarsi di notte per correre in bagno: la caduta è, letteralmente, dietro l’angolo.n

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