Il nuovo preparato terapeutico a base di semaglutide, reso famoso all’estero dalle diete dei vip (e con questo fine presto sarà autorizzato in Italia), si sta rivelando efficace in tante patologie, da quelle cardiache a quelle renali, persino in gravi degenerazioni neurologiche.
Potrebbe essere una rivoluzione: il farmaco più potente della storia. Parliamo dei nuovi preparati a base di semaglutide, originariamente creati per il diabete di tipo 2 e poi assunti soprattutto dai vip di tutto il mondo per perdere peso in maniera rapida e indolore: diversi studi usciti in queste ultime settimane ne stanno dimostrando l’efficacia «off-label», ossia in campi diversi da quelli originari. Per esempio sullo scompenso cardiaco, sulla malattia renale cronica, sulla mortalità da eventi cardiovascolari e sui processi infiammatori in generale, mentre si iniziano a indagare i probabili effetti benefici su patologie neurologiche anche molto gravi come Parkinson, Alzheimer e il Disturbo da deficit di attenzione (Adhd).
La panacea di tutti i mali? Di sicuro molecole multitasking, il cui funzionamento va oltre lo scopo per il quale sono state formulate e che stanno facendo la fortuna dei produttori: Novo Nordisk, casa farmaceutica danese che produce Ozempic (per uso orale) e Wegovy (iniezione) vale 394 miliardi di dollari, superando anche il colosso americano Johnson & Johnson (circa 384 miliardi di dollari). In Europa ha oltrepassato per capitalizzazione anche il super-gruppo della moda Lvmh di Bernard Arnault, ed è oggi la società del Vecchio continente con maggiore valore in Borsa; la sua potenza economica sta spingendo l’economia danese verso una crescita record, arrivando persino a influenzare gli equilibri monetari con l’Eurozona.
Del funzionamento di questi prodotti che hanno fatto perdere peso a Elon Musk, Oprah Winfrey, Boris Johnson, le sorelle Kardashian e altri personaggi alla ribalta delle cronache, sappiamo tante cose: oltre a tenere a bada i livelli di insulina nel sangue, rallentano lo svuotamento gastrico e «spengono» la fame grazie alla loro funzione di agonisti del recettore Glp1; in pratica mandano al cervello messaggi di sazietà anche se lo stomaco è pressoché vuoto, stimolando i cosiddetti «circuiti della ricompensa».
Assumendoli regolarmente, una compressa ogni mattina o una iniezione alla settimana, si può perdere fino al 15-20 per cento del peso corporeo nel giro di un anno, e in Nord America il loro uso è libero, basta pagare: il trattamento per un mese può costare fino a 1.300 dollari e il farmaco viene pubblicizzato anche sui grandi ledwall, le insegne luminose che troneggiano nei centri delle città. In Italia, al momento possono essere prescritti solo a chi è affetto da diabete di tipo 2 (e in questo caso vengono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale) o agli obesi, che però devono pagarli di tasca propria. Ora però sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine nuovi dati che potrebbero ampliarne la prescrivibilità: si tratta delle conclusioni dello studio Select, condotto su più di 17 mila pazienti obesi con malattia cardiovascolare, che ha dimostrato che l’iniezione di semaglutide riduce del 20 per cento il rischio di mortalità da infarto e ictus: «Questi risultati» spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente della Sic, Società italiana di cardiologia, «sono probabilmente destinati a cambiare i protocolli di cura, perché è la prima volta che un farmaco usato per ridurre il peso dimostra un beneficio cardiovascolare così importante. Inoltre, altri trial di sperimentazione hanno evidenziato che, assumendo semaglutide, anche i soggetti con scompenso cardiaco ottengono un miglioramento della qualità della vita e della capacità funzionale».
Effetti così macroscopici potrebbero renderli «di routine» proprio come accaduto in passato con le statine per il controllo del colesterolo, e sono dovuti al fatto che questi farmaci riescono a far diminuire gli indici di infiammazione di circa il 40 per cento, quindi andrebbero a influire positivamente su quelle patologie con un profilo di tipo infiammatorio, come obesità e scompenso cardiaco. Ma non è tutto. Un’altra indagine appena pubblicata sul New England Journal of Medecine indica che i pazienti diabetici con malattia renale cronica, quindi ad altissimo rischio di insufficienza e dialisi, che fanno l’iniezione di semaglutide (1 mg) hanno circa il 24 per cento di probabilità in meno di andare incontro a queste gravi complicazioni renali rispetto ai malati trattati con placebo: effettuato su circa 3.500 persone, il trial è stato interrotto in anticipo a causa della sua efficacia: «Si tratta di un dato assai interessante» sostiene Paolo Sbraccia, ordinario di Medicina interna dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, e componente del comitato direttivo della Società europea obesità. «Perché il paziente che progredisce verso l’insufficienza renale e la dialisi vede un enorme peggioramento della qualità di vita, e inoltre per gestire questi malati il sistema sanitario va incontro a costi altissimi. L’utilizzo della semaglutide in questo campo, così come in quello cardiologico, potrebbe essere un punto decisivo di svolta: occorrono però le autorizzazioni degli enti regolatori, le bollinature, le linee guida, i dosaggi e gli aggiornamenti dei protocolli di cura. L’iniezione da 2,4 mg per la cura dell’obesità arriverà in Italia probabilmente in luglio». Chissà se, a quel punto, anche molti personaggi italiani di cui si sussurra abbiano fatto ricorso ai nuovi rimedi anti-obesità per recuperare la linea di un tempo lo ammetteranno tranquillamente…
Con questo scatto riguardo alla autorizzazione, la scienza ha «superato a destra» la burocrazia e la politica, mettendo a disposizione farmaci efficacissimi senza che vi siano ancora le norme per renderli disponibili per usi che non siano quelli originari e rimborsabili. «Oltre agli effetti macroscopici su eventi cardiaci e problemi renali» continua Sbraccia, «lo studio Select ha mostrato effetti benefici su pressione arteriosa, trigliceridi, colesterolo e glicemia: chi all’inizio del trial era pre-diabetico tornava normoglicemico, mentre chi si trovava nel gruppo trattato a placebo diventava diabetico. Sono ora in corso studi volti a capire se si possano avere risultati anche nei pazienti con steatosi epatica, l’accumulo di grasso nel fegato, e credo che avremo sorprese positive».
E in quanto a effetti collaterali? Sono comuni una leggera nausea, a volte diarrea, costipazione o dolori addominali: tutti legati all’azione «classica» della semaglutide, che tende a inibire la motilità intestinale. Ci sono inoltre altri campi d’azione per i quali le indagini sul farmaco sono in fase iniziale: un piccolo saggio di sperimentazione sull’uomo condotto da scienziati dell’Università dell’Oklahoma e pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry ha dimostrato l’effetto inibitorio della semaglutide sul desiderio di consumare alcolici, proprio per via della sua capacità di stimolare i circuiti della ricompensa; questo potrebbe aiutare chi è gravemente dipendente dall’alcol o da altre sostanze. A breve dovrebbero iniziare trial clinici. Si comincia a ipotizzare un possibile effetto del farmaco anche sulla funzione cerebrale e sulla regolazione dei neurotrasmettitori, il che potrebbe renderlo idoneo per gestire i sintomi dell’Adhd, cioè del deficit da disturbo dell’attenzione.
Per quanto riguarda Parkinson e Alzheimer sono già in corso studi per verificare la capacita dei Glp-1 agonisti di arrestare le alterazioni neuronali, ma si attendono valutazioni cliniche di durata sufficiente e su un adeguato numero di pazienti: «Sembra che abbiano un effetto neuroprotettivo» conclude Sbraccia. «Quello che possiamo dire finora è che sono farmaci straordinari, hanno superato tutte le nostre aspettative». E all’orizzonte, c’è un nuovo principio attivo, il retatrutide, che può ridurre il peso corporeo di un quarto in meno di un anno. Presentato poche settimane addietro al Congresso europeo sull’obesità di Venezia sarebbe più efficace contro l’obesità sia di Ozempic che del «cugino» Mounjaro (prodotto dalla casa farmaceutica Eli Lilly): somministrato una volta la settimana, avrebbe un effetto «triple whammy», cioè con azione su tre recettori anziché su uno solo come fa la semaglutide. Il nome del farmaco? L’hanno battezzato Godzilla, giusto per rendere l’idea .