La scelta di Barbara, il film sulla Germania Est tra sospetto e amore
Christian Petzold indaga una pagina recente della storia tedesca. Con pathos che gocciola lento
Parla poco Barbara, e sorride anche meno spesso. È scontrosa, si tiene alla larga da tutti, ma quando ha da difendere chi, similmente a lei, è stato ferito e offeso, alza uno sguardo felino e si butta anima e corpo con sorprendente ardore e senso della fratellanza. È un personaggio da imparare a conoscere pian piano, non senza difficoltà, e forse è un personaggio da imparare ad amare. Così è anche La scelta di Barbara (dal 14 marzo al cinema), il film del tedesco Christian Petzold di cui Barbara è protagonista.
Orso d'argento al Festival di Berlino 2012, ci porta nella Germania Est del 1980, ancora divisa dalla più democratica Germania Ovest dal Muro di Berlino. Qui Nina Hoss, sempre più conferma del cinema tedesco che già ha collaborato più volte con Petzold (per Yella, nel 2007, vinse l'Orso come migliore attrice alla Berlinale), è Barbara. È medico e ha presentato domanda di espatrio per poter raggiungere il suo amore dall'altra parte del Muro. Anche se nella Repubblica Democratica Tedesca formalmente l'espatrio non era vietato in maniera assoluta, chi inoltrava la domanda rischiava di essere inserito negli elenchi dei sospetti della polizia segreta, la Stasi. Reiterare più volte la domanda di espatrio poteva comportare anche il carcere.
Ecco così che Barbara viene punita con un trasferimento coatto da Berlino a un ospedale di campagna, controllata e soggetta a continue e improvvise perquisizioni. Nella nuova realtà impostale si muove guardinga, ogni occhio su di lei può essere quello di una spia. Forse per questo la sollecitudine di André (Ronald Zehrfeld), il medico responsabile del nuovo ospedale in cui lavora, all'inizio la respinge. La sua gentilezza la disturba, è sgradita e non richiesta. Pian piano però, e proprio mentre il suo progetto di fuga si fa sempre più concreto, abbasserà le difese. Fuggire avrà ancora senso?
Se l'intreccio narrativo in fondo non è così complesso, è però densa e interessante l'evoluzione emotiva di Barbara. Il volto della Hoss in realtà si apre a poche sfumature al di là della durezza della corazza che si è messa addosso. Ma quelle rare fuoriuscite di fragilità e tepore sono perle che addolciscono e che rendono meno pesante l'attesa verso l'epilogo. Il film di Petzold infatti scorre lento e sarà di certo una tortura per chi ama storie dal ritmo più generoso. La fotografia satura e contrastata anni '80, ricca di luci e di ombre, sulla scenografia scarna di un'epoca senza eccessi decorativi e su un paesaggio ventoso così seducentemente trascurato, rende però più lieta la visione a chi è attento ai dettagli e apprezza il graduale maturare.
Gradualmente, infatti, Petzold illumina e scioglie piccoli grandi dubbi che ha posto nello spettatore. Senza fretta la sua storia criptica si apre. Con pennellate di tensione da thriller, con profondità da storia politica, con occhiate dense di significato da film d'amore. Il senso di angoscia finisce per unirsi in abbraccio alla speranza, sentimento che non si respirava in Le vite degli altri, altro film tedesco che aveva raccontato la stessa pagina di Storia recente della Germania.
Tutti i silenzi, tutti gli sguardi diffidenti, tutte le scaltrezze e le bugie, ricreano il clima di estrema vigilanza che si poteva vivere nella RDT e lo rendono palpabile anche a chi quella realtà la sente così lontana e poco comprensibile. Ci sono poi anche barlumi di distensione, afflati di umanità, lo spiraglio dell'amore. A distanza di tempo mi accorgo che le ombre, come le esili luci, ancora hanno ripercussione dentro di me. La scelta di Barbara è un film da lasciar sedimentare dentro.