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Lifestyle

Consigli per gestire il «lato B» in spiaggia, dal costume intero ai micro bikini

In riva al mare si vedono sempre più costumi striminziti all'essenziale, soprattutto sul «didietro» ed il conflitto tra libertà e rispetto del buon gusto è sempre più inafferrabile

Ché poi, a vederle, uno dice: tanto vale andare in giro nude. Solo che, in questo caso, toccherebbe esiliarle sulla sabbia naturista. Invece no, loro mirano a ferirti. O a stravolgerti (almeno i sensi), se sei un uomo. Quindi va a finire che in spiaggia sei costretta a farti strada in una foresta di natiche al vento mostrate non solo con disinvoltura, ma con un tale compiacimento che vien voglia di denunciarle per direttissima all’alto tribunale del body shaming. Sì, è l’effetto del micro-bikini che sta letteralmente spopolando tra gli ombrelloni, ma anche in piscina, al lago, in barca. Trattasi di un costume da bagno quasi inesistente perché perde sempre più centimetri di tessuto sia sul reggiseno, ridotto a due mini triangoli, che nella parte bassa, dove restano un piccolo terzo triangolo/fascia davanti e una specie di fettuccina sul di dietro. Sembra che le prime a esibirlo sui social siano state le solite sorelle Kardashian (in versione gold, of course), seguite dalle modelle Bella Hadid, Emily Ratajkowski e Kendall Jenner a cui hanno poi copiato il look le cantanti Dua Lipa e Hailey Bieber. Da lì il mini-kini è deflagrato al mare, negli stabilimenti balneari, ai primi timidi pool party in campagna prima addosso alle adolescenti, poi alle loro madri (già). Fino a creare scompiglio all’ora del pranzo (ma light) al bar di una qualunque riviera italiana. Dicono sia arrivato il momento di liberarsi da ogni costrizione osando beachwear sexy, audaci, minimali perché questo è il diktat della moda estate 2024 e tu non puoi proprio farci niente. Adeguatevi. Tra armocromia e body shape è davvero pericoloso emettere sentenze e immaginare di appellarsi al pubblico decoro. Perché il mondo starebbe andando al contrario: «Mia figlia, con mutanda regolamentare, mi sta seduta accanto tutto il giorno perché si vergogna di essere l’unica a non avere le terga all’aria e io non so più che pesci pigliare», scrive sconfortata su FB la madre di una quattordicenne. «Queste ti sventolano addosso il loro bendidio e poi tu, se le guardi, passi per il solito maschio woke sporcaccione», si lamenta un uomo qualche riga più giù. Poi ci sono le maniache dello stile che se ne vanno in giro con costumi interi anni 50, olimpionici, bianchi o neri super sgambati, due pezzi a vita altissima pure o in crochet. E tu ti chiedi: in spiaggia vince l’eleganza o la spregiudicatezza? Basta avere un fisico bestiale per vagare seminuda tra i lettini o dovrebbe, invece, prevalere sempre il buon gusto? Ma non avremmo dovuto obbedire alla regola della sensualità appena accennata sotto un pareo, lasciare intuire tutto anziché esporre ogni dettaglio di lato A e B? Perizoma e tanga, bikini in stile brasiliano, mini bra effetto see-through (anche prima di fare il bagno) e slip stringati: istruzioni per l’uso, una volta tanto. Negli anni Novanta, archiviata la moda franco-italiana del topless per sconfiggere i danni dei raggi Uva, sembrava bastasse spalmarsi in faccia una protezione solare 50 per concedersi qualunque outfit. L’obiettivo era raggiungere l’abbronzatura perfetta, ma politically correct. Poi negli anni Duemila c’è stato un rigurgito degli anni Settanta e sono tornati i famigerati costumi con i laccetti che stringevi/dosavi a seconda di quanto volessi renderli più sgambati/sensuali. C’era anche la versione metropolitana, con il perizoma esibito fuori dai jeans e le sex bomb con la quarta di reggiseno che ostentavano addirittura top micro per umiliarci. Ma almeno eravamo (ancora) giovani. Infine, dopo decenni di tira e molla (in ogni senso) oggi va lo “striminzito” ma il problema è che a sceglierlo non sono solo marmoree teenager spettacolari, ma anche trentenni così così con un lavoro (serio o quasi) e quarantenni afflitte dalla sindrome di chi non ne vuol sapere di crescere e affrontare i propri limiti. La situazione si aggrava, però, quando vedi ancora qualcuna che, a 50 anni suonati, si aggira tra le onde mettendo in mostra un micro due pezzi all’ultimo grido. Anche se la forza di gravità ha fatto inesorabilmente il suo sporco lavoro ed è in agguato subdolo l’ultimo canto. Son ragazze, si diceva una volta. Sì, ma adesso? Coprirsi, grazie.

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Ilaria Bellantoni

Avrebbe dovuto fare la maestra di sci, invece si è messa a scrivere. Duraniana e juventina, è famosa per fare domande imbarazzanti in ognuna delle quattro lingue che conosce. Laureata vanamente in scienze politiche, si occupa da sempre di costume e spettacolo e ha lavorato come caposervizio a Max, Myself, Glamour, GQ e Vogue Italia. Ha due figli (Berenice e Vittorio) e un golden retriever (Rio). Dopo aver pubblicato un libro, Lo chef è un Dio (Feltrinelli), è stata ghost writer di celebrità e politici e porta in giro il Festival della Parola Reloaded. Vive a Milano, ma sogna di trasferirsi in una villa a Ko Phangan. O in una baita a Courmayeur.

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