Still Life di Uberto Pasolini, al cinema una piccola perla sulla solitudine
Il film rivelazione della sezione Orizzonti della Mostra di Venezia tocca il cuore. Con sensibilità e discrezione
Still Life (dal 12 dicembre al cinema) è uno di quei piccoli film, inaspettati e caldi, capaci di volgerti in positiva una giornata senza troppe attese.
Presentato sotto la sezione Orizzonti dell'ultima Mostra del cinema di Venezia, è un'opera delicata e sensibile che si è guadagnata il premio per la miglior regia. Con gioia a dirigerla è un italiano, che vive e lavora oltremanica, Uberto Pasolini (tra l'altro discendente di Luchino Visconti), in passato produttore di Full Monty.
La sua storia nasce da una figura realmente esistente, di cui il regista ha letto su un articolo di giornale: l'impiegato comunale addetto a rintracciare il parente più stretto delle persone morte in solitudine. In una società contemporanea afflitta dalla frenesia e dall'ambizione, per ragioni diverse sono tanti quelli che hanno perso contatti con i famigliari, magari sostituendoli con una bottiglia di vino o con un gatto, o restando in compiuto isolamento.
A Londra, nel suo ufficio asettico e grigio, è John May a occuparsi di questo compito. Lo fa con cura estrema, lentamente e in modo riflessivo, come se ricostruisse i puzzle di un giallo, anzi, i pezzi di vite perdute. Lo interpreta l'inglese Eddie Marsan, tante volte visto in film celebri in ruoli minori (Biancaneve e il cacciatore, Sherlock Holmes, Il segreto di Vera Drake, Gangs of New York). Ora è protagonista assoluto, con quel suo viso un po' strano e un silenzio così profondo. Mette tanta e quasi commovente passione nel cercare i famigliari dei defunti o nell'intuire il tipo di cerimonia funebre che questi più avrebbero gradito. E dietro al feretro che va verso il cimitero lui non manca mai. In fondo John May è il primo dei soli ed è il primo a empatizzare coi suoi cari morti.
Quando per tagliare i costi municipali May viene licenziato, metterà tutti i suoi sforzi per risolvere il suo ultimo caso. Quest'omino pacato e metodico, i cui pasti quotidiani si riducono a una scatoletta di tonno, inizierà un viaggio che si rivelerà liberatorio, sulle tracce di Billy Stoke (David Shaw Parker), morto solo e alcolizzato ma dal passato pieno e ricco di soddisfazioni...
Il finale lascia all'inizio dei dubbi e sembra far vacillare l'equilibrio emotivo fino ad allora seguito con mano morbida e sicura. Ma le perplessità pian piano si dileguano e la chiusa di Pasolini è la pennellata giusta e meritata per il sobrio e gentile John May.
Applausi al regista: non ha fatto ricorso a un super cast, non usa effetti speciali e coralità di voci, ma con una piccola grande storia emoziona e fa vibrare corde così contemporanee. Visto il tema trattato, non dovete però pensare a un film triste. È un film che fa meditare sul nostro stile di vita e sulla solitudine. È un film che tocca il cuore.
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