Expats, la serie rivelazione su Amazon Prime
Vietata a Hong Kong, lo show è il nuovo lavoro dell’attrice hollywoodiana che veste i panni di una donna distrutta dal corso della vit
Expats non è una serie originale, ma l’adattamento di un libro che, in Italia, ancora non è stato pubblicato. Cosa che costituisce un gran peccato e, insieme, un sollievo.
The Expatriates, come lo ha intitolato Janice Y.K. Lee nel 1998, è una storia di fatica, dove la fatica non è materiale ma umana. Ed è faticoso leggerlo, sporgersi sul baratro per prendere atto di quanto profondo e scuro e irreversibile possa essere l’abisso. A tratti, verrebbe voglia di chiuderlo e non sapere più nulla di Margaret, immaginare per lei un finale lieto e tirare dritto, senza che l’orrore di un bambino scomparso possa penetrare le nostre vite, le nostre menti, attecchire e germinare in congetture ancor più orrende. The Expatriates è uno scendere a patti con le brutture che la vita può imporre. Ma, da un punto di vista letterario, è altro: un romanzo ben scritto, avvincente e non pretenzioso, capace senza retorica di raccontare il calvario non di una, ma di tre donne. Margaret, che nella serie Amazon Prime Video, al debutto giovedì 25 gennaio, è interpretata da Nicole Kidman; Mercy, nata negli Stati Uniti da immigrati coreani; Hilary, ricca ed infertile ereditiera, moglie di un marito fedifrago. Sono tre voci, tre protagoniste, unite da un destino condivido e triste.
Era estate, una gita in barca sul mare di Hong Kong, quando Margaret ha conosciuto Mercy. Era giovane, una studentessa laureatasi alla Columbia e trasferitasi ad Hong Kong per cercare di coronare il proprio sogno di indipendenza. Margaret, madre di tre e moglie di un dirigente che l’America ha spostato in Asia, ne ha avuto compassione. Una compassione buona, mista all’empatia. Ha sentito il bisogno, quasi il dovere di aiutarla. Così, l’ha assunta come baby-sitter. Mercy piaceva ai bambini. Non era perfetta, sembrava assente a volte. Ma Margaret l’ha tenuta con sé e, quando Clarke, il marito, ha organizzato una vacanza in Corea, l’ha portata a Seoul. Avrebbe dovuto badare ai piccoli, aiutare. Invece, nel caos di una piazza sovraffollata, ha perso di vista il minore dei tre: dolce, tenero G., con la pancia ancora sporgente e le ciccette buffe dei bimbi. G. si è volatilizzato e la vita, così come Margaret l’aveva conosciuta e immaginata, è finita.
The Expatriates, Expats nella serie Amazon, racconta il dopo G. Il calvario eterno di Margaret, incapace di esistere senza suo figlio. Il tormento di Mercy, un senso di colpa che niente può attenuare, la depressione e poi l’incontro con David, (ex) marito di Hilary. La felicità e l’infelicità, uno sprofondare verso il basso, continuo, inarrestabile e, sullo sfondo, Hong Kong, patria degli «espatriati». Lo show, come il romanzo da cui è tratto, è ambientato fuori dai confini degli Stati Uniti, in una città – Hong Kong – in cui la forbice fra ricchi e poveri è ampia e istituzionalizzata. I manager americani, spediti lì dalle proprie multinazionali, vivono come pascià: le case di lusso, i club esclusivi, i servitori e cuochi locali, pagati una miseria. Si muovono all’interno di un micromondo incapace di sopravvivere allo scadere dei contratti. Sono privilegiati senza più radici, alienati e alienanti.
Ed è la loro fragilità, insieme al dolore delle donne protagoniste, che il romanzo (più della serie) ha saputo dipingere perfettamente.