La grande fuga dalla tv generalista
Persi due milioni di spettatori: meno del 40% guarda la tv abituale in prima serata. Colpa del passaggio al nuovo digitale terrestre, del boom delle piattaforme come Netflix e Prime e soprattutto di contenuti (e volti) uguali da troppi anni. E la pubblicità si adegua
«Questo autunno la tv tradizionale ha visto un calo di circa 2 milioni di contatti in media al giorno, rispetto a due anni fa. C’è bisogno di dirle altro sul perché dobbiamo smettere di continuare a dire che il mondo è cambiato e poi non fare nulla per cambiare anche noi?». A parlare così non è una pericolosa rivoluzionaria del tubo catodico ma la nuova presidente Rai Marinella Soldi, una che la televisione la conosce bene visto il blasonato curriculum internazionale e la lunga esperienza in colossi della comunicazione come il gruppo Discovery. Traducendo in freddi numeri le parole della Soldi, il risultato è ancora più evidente (e a tratti spiazzante): nella fascia del prime time, quella tra le 20.30 e le 22.30, gli ascolti sono calati di 2,5 milioni rispetto a un anno fa, raggiungendo in media i 23,1 milioni di italiani, ovvero meno del 40% della popolazione totale. Un dato negativo che non si toccava da diciotto anni.
Una fuga lenta e progressiva dalla tv generalista, insomma, certificata da Studio Frasi, che ha analizzato ed elaborato i dati Auditel da cui emerge che l'ottobre 2021 merita la maglia nera negli ascolti degli ultimi undici anni. Era dall'ottobre 2010 che l'ascolto del giorno medio non scendeva sotto i 10 milioni e rispetto alla prima serata il calo è ancora più evidente: i 23,1 milioni di ascolto medio, meno del 40% della popolazione. Ma quali sono le cause di questo calo drastico? I motivi sono molteplici e li conoscono bene tutti gli editori, che in maniera trasversale sono costretti a fare i conti con il segno meno e una diminuzione di pubblico lungo tutta la giornata. Il primo ha a che fare con il modo di guardare la tv: si va sempre di più verso una fruizione meno lineare e senza un palinsesto prestabilito e questo riguarda il pubblico più giovane che progressivamente si è allontanato dalla tv generalista. Tanto che sono rarissimi i casi in cui le fasce di pubblico young guardano la tv sul divano con i genitori (tra le rare eccezioni c’è Il Collegio, format culto di Rai2 che però quest’anno deve affrontare una inaspettata crisi di ascolti). «Ma il servizio pubblico è tale se parla a tutti i cittadini, non solo ad un pubblico più che maturo, come oggi», ha osservato tranchant Marinella Soldi in un’intervista al Corriere della Sera.
Un altro fattore ha a che fare con il passaggio al nuovo digitale terrestre, con lo switch off cominciato il 20 ottobre scorso (si concluderà nel 2023): migliaia di televisori, soprattutto quelli che hanno più di una decina d’anni, non sono in grado di leggere il nuovo formato di trasmissione. Stando alle rilevazioni di Studio Frasi, a vedersela peggio sono le reti tematiche del servizio pubblico, penalizzate dal non essere più visibili sui vecchi televisori (con l'eccezione di RaiNews24): -16% sia nell'intera giornata che in prima serata. A questo si sommano l’aumento del 25% di persone che nell’ultimo anno hanno guardato la tv tradizionale su internet (sette milioni e mezzo di italiani) e la crescita esponenziale delle smart tv (si stima che in Italia ce ne siano oltre 10 milioni), che porta all’aumento degli ascolti per i cosiddetti over the top, le piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video e Disney+, o ancora Dazn che ha acquisito i diritti della Serie A. «Tra ottobre 2020 e ottobre 2021 l'ascolto per almeno un minuto da tv connesse è quasi raddoppiato, passando da 11,6 milioni a 21,8 milioni», spiega all’Ansa Francesco Siliato, responsabile dell'Osservatorio Tv dello Studio Frasi. Passare dal vecchio al nuovo televisore – avendo tutto a portata di mano con lo stesso telecomando - cambia le abitudini, spinge a scoprire nuovi canali e nuovi broadcaster, sia gratuiti che a pagamento. «Tuttavia la sensazione di fine pandemia spinge verso il mondo fuori casa: alla tv si è già dedicato anche troppo tempo tra lockdown e timore di uscire», aggiunge Siliato.
E proprio per questo i cambiamenti delle abitudini innescate dalla pandemia e soprattutto il boom di ascolti registrati durante il lockdown (complice anche il continuo flusso informativo) sono un elemento non trascurabile secondo Massimo Scaglioni, professore ordinario di Storia dei media presso la Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dell’Università Cattolica di Milano, nonché direttore del CeRTA (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi), che proprio con Panorama.it aveva analizzato l’“effetto Coronavirus” e il boom di ascolti registrato nel 2020. «Sicuramente a ottobre 2021, periodo di riferimento dell’analisi dello Studio Frasi, c’è una flessione importante, ma bisogna tenere conto che la rilevazione è stata comparata a ottobre del 2020, periodo eccezionale in cui la platea del prime time era arrivata a 25,5 milioni di spettatori. Allora la crescita della tv generalista è stata molto forte, perché effetto della pandemia: iniziavano ad esserci di nuovo delle restrizioni, le persone non uscivano di casa, le regioni si coloravano diversamente, iniziava la cosiddetta seconda ondata. Per questo il dato va contestualizzato nell’eccezionalità del momento iniziato con la pandemia a marzo 2020», ha spiegato a Today. A ottobre 2019 e 2018 la platea del prime time era di 24,5 milioni dunque significa che quest’anno c’è stata una flessione ma non così ampia se si guarda solo al dato dello scorso. Fuga sì, ma niente crollo epocale, almeno per ora. Nemmeno per quanto riguarda la pubblicità: i primi otto mesi dell’anno hanno segnato una crescita della raccolta del 28% rispetto all’agosto 2020, con tutti i broadcaster che hanno registrato incrementi a doppia cifra e gli investimenti pubblicitari sulla televisione che hanno sfiorato i 2 miliardi di euro.
Ma come si fa ad invertire la marcia e a rivitalizzare tv generalista, l’unica ancora capace di catalizzare davanti alla tv milioni di persone (lo dimostrano show evento come Sanremo, i grandi appuntamenti sportivi, e ancora prodotti come le serie tv, con Montalbano in grande spolvero anche in replica o novità come Imma Tataranni e Blanca, le uniche sopra i 5 milioni di spettatori in questi mesi)? Svecchiando, sparigliando i giochi, interpretando il cambiamento sociale in modo innovativo, slegandosi da logiche vecchie e corporative, rendendo più appetibili i nuovi contenuti. «Non si può investire nel nuovo e insieme lasciare intatto l’esistente: per questo dovremo compiere scelte, magari difficili, impopolari, ma non vedo alternativa», azzarda la Soldi. Ma per fare questo serve un cambio di marcia tutt'altro che facile da innescare: «La tv italiana è per tradizione più una tv di volti che di meccanismi e questo è un grosso limite: innova poco e pensa di salvarsi sempre attraverso la popolarità dei volti. Ovvio che il personaggio ha un peso, ma noi siamo troppo abituati a pensare ‘il nuovo programma di’ e non alla sua struttura. Perché poi se un personaggio di valore viene messo in un programma che non funziona, quel programma non funziona, punto. All’estero funziona diversamente e non è un caso che la ricchezza dei format stranieri sia tanta rispetto alla nostra», ha concluso Scaglioni in una recente intervista.
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