Matilda Lutz: «E non ditemi che sono bella...»
L'attrice si racconta alla vigilia dell'uscita di Briganti, serie Tv Netflix ambientata in Italia. «Insegno a mio figlio ad essere una bella persona non solo qualcosa da guardare ed ammirare per la sua estetica»
È di una bellezza che fa anche un po’ male, Matilda Lutz: la guardi e, senza alcuna fatica, ti meraviglia. La vedi e ti rendi conto che, qualche volta, eleganza, atletismo e pura magia esistono naturalmente e tu non puoi farci proprio niente: «Sono figlia di due modelli, sono nata così e non ho alcun merito. Sono cresciuta nell’ambiente della moda, ho visto case magnifiche ed esseri umani perfetti, ma non mi ha fatto troppo bene anzi. Mi ha costretto ad alzare sempre l’asticella e misurarmi con la pressione di dimostrare di essere brava e intelligente per forza», si giustifica subito lei. Quindi, a un certo punto, si è messa a fare l’attrice: prima in film horror (Ring 3, Zombi contro zombi, A classic horror story), qualche serie (Crossing Lines, Fuori classe), un action movie francese (Revenge). Infine, Muccino l’ha incrociata in un bar di Los Angeles mentre faceva la cameriera e le ha proposto Un’estate addosso. Da lì Matilda è partita col botto passando dalla musa di Botticelli in I Medici, all’eroina Marvel Red Sonja, la diavolessa con la spada. Ora è Michelina De Cesare, la Madonna epica di Briganti, serie tv tutta italiana che il 23 aprile va in streaming su Netflix e racconta la leggenda della donna che avrebbe dovuto/potuto liberare il Sud. Girata in Puglia tra Lecce, Melpignano, Altamura, Nardò, e Brindisi e diretta dai giovani di GRAMS*, il collettivo che ha firmato Baby, è diretta da Antonio Le Fosse e Nicola Sorcinelli e quel Steve Saint Leger di Vikings che aggiunge perfino un tocco di memorabile epopea alla piccola e oscura saga dei banditi. Il generale piemontese Fumel assomiglia a un SS nazista in questo western all’italiana in cui si racconta della guerra civile che nel 1862, in piena Unità d’Italia, attraversò il Sud e i suoi boschi abitati da briganti e donne rivoluzionarie. Matilda, tra loro, è una specie di divinità, una santa brigantessa capace di unire intorno a sé un popolo di ribelli, gitani ed eroi. Ma è l’unica… milanese. Solo che non si sente affatto.
Come ci è riuscita?
«Mi sono sempre sentita insicura sul set perché il cast era fatto di gente del Sud e io ero l’unica con l’accento settentrionale. Ma dovevo parlare calabrese. Quindi ho fatto pratica ascoltando un ragazzo di Avellino appassionato di vini su YouTube e poi ho preso lezioni da un coach. Tra l’altro Michelina, il mio personaggio, era campana ma era la regina della propaganda quindi doveva farsi capire dal popolo e avere una dizione pulita».
Per fortuna che lei è una precisina, allora.
«Eh sì, finisco per passare spesso per la prima della classe. Ma sono tornata in Italia perché ho subito creduto nel progetto e sono orgogliosa di aver partecipato a una serie realizzata da ragazzi giovani e di talento».
Anche se in questa serie ci sono più di un paio di imprecisioni storiche…
«È una serie romanzata, naturalmente. Un prodotto di puro entertainment liberamente ispirato a fatti realmente accaduti. Quindi usiamo armi che ai tempi neanche esistevano, tatuaggi contemporanei come effetti speciali, musica pop e un’immagine moderna. È una serie corale, quindi ogni banda ha costumi diversi: la banda Pace, dei fiumi, si veste di blu, i Guerra si spostano in carovana, hanno i dread e i costumi gitani, i Monaco usano trucchi neri e pelle marrone».
Come si è preparata a una serie in costume?
«La prova più difficile è stata imparare a cavalcare perché ero terrorizzata di salire a cavallo. Insomma, i cavalli mi hanno sempre affascinato ma sapere da subito che non avrei potuto controllare un animale di oltre 250 chili mi metteva in ansia. Poi, gradualmente, ci sono riuscita sfidando le mie paure. Del resto facevo solo gran camminate nei boschi, arrivi spettacolari davanti alla telecamera. Poi, mi hanno scelto per interpretare Red Sonja, l’eroina della Marvel che vive praticamente a cavallo e lì ho dovuto farmene una ragione».
Ha solo 32 anni e in 10 ha girato 21 film, ha avuto un figlio (Oliver, 5 anni) ed è stata perfino il volto di una campagna di Miu Miu e Armani. È una stakanovista.
«È capitato tutto per caso, in realtà stavo studiando psicologia alla Cattolica. Finché non ho incontrato a Milano un coach scozzese di recitazione e lì ho capito che avrei potuto lavorare nel cinema. Poi ho partecipato ai provini e sono piaciuta. Incredibilmente. Perché mi dicevano: “Non sei solo bella, sei anche brava”».
Sceglie sempre ruoli super atletici in cui corre, salta, combatte, spara. È un caso?
«Mio padre è il classico americano che fa sport in maniera compulsiva da sempre, quindi sono scresciuta facendo skate, hockey sul ghiaccio, boxe e surf. In più ho un fratello più grande e altri due più piccoli con cui ho sempre fatto a botte. Il che mi ha insegnato a resistere, anche. Poi quei ruoli sono venuti fuori un po’ da soli, ma sì sono una donna sportiva».
È felice, anche?
«Oggi sono serena e ringrazio per il sole che mi accompagna in ogni cosa che faccio. Sono convinta che sia necessario praticare la gratitudine ogni giorno».
Neanche una nube, nel suo cielo?
«Ho trasformato le difficoltà che ho incontrato in lezioni di vita perché mi hanno aiutato a diventare la donna che sono. Non ricordo grandi momenti di infelicità. Anche sei i miei si sono separati che avevo 6 anni e mio padre è tornato a vivere in America, io sono andata avanti».
C’è un momento in cui ha capito davvero che ce l’avrebbe fatta?
«È stato alla medie, quando la prof di francese ci ha fatto giocare al gioco della verità. Ordinandoci di scrivere su un bigliettino che cosa ci piacesse dei nostri compagni. Quando è arrivato il mio turno ho scoperto che tutti hanno scritto che io ero “solo” bella. Ecco, io quel momento l’ho vissuto con grande dolore. Da lì ho cominciato a desiderare solo una cosa: dimostrare che valevo di più, trovare la forza di realizzare ogni mio sogno. Sembra una sciocchezza, ma quel giorno per me ha cambiato verso al mio destino. E oggi io insegno a mio figlio che è più importante diventare una bella persona piuttosto che restare una bellone qualunque».
Briganti | Trailer ufficiale | Netflixwww.youtube.com