Babi e Step alla conquista di Netflix
Torna sulla piattaforma il classico interpretato da Riccardo Scamarcio e Katy Louise Sanders. Ed è già nella top del più visti nel nostro paese. Nostalgia canaglia?
Uno striscione ha ripreso a sventolare, quello che noi tutti, figli degli anni Novanta e dei suoi fenomeni, avremmo voluto leggere. Tre metri sopra il cielo è tornato. Step e Babi sono tornati, la ritrosia di un amore che ha vinto pregiudizi e divisioni di classe. A diciannove anni dall’uscita del film, trentun’anni dopo la pubblicazione del libro omonimo, Netflix ha deciso di aggiungere la pellicola alla propria library. E che scelta fortunata si è rivelata la sua. Tre metri sopra il cielo, tratto da quel romanzo che Spinazzola, con un po’ di stizza, avrebbe detto appartenere al genere paraletterario, è diventato virale: uno fra i film più visti della piattaforma. Online, è (ri)scoppiata la mania. E, con l’invidia sospirata che ancora accompagna la storia fra Babi e Step, è arrivato il momento delle scuse, di un’apologia (tardiva quanto necessaria) di Federico Moccia. Se avessimo saputo, se avessimo potuto prevedere, non avremmo mai osato rinnegare i suoi libri.
Moccia, con l’amore fra Babi e Step, fra la figlia della Roma-bene e l’ombroso «proletario», ha perso la reputazione: uno sciocco, deciso ad arricchirsi sulle spalle di ragazzini troppo acerbi per distinguere fra ciò che è bello e ciò che, invece, non lo è. Non avrebbe potuto, non avrebbe dovuto essere definito «scrittore». Si è riso di Moccia, lo si è deriso. Federico Moccia, come Fabio Volo, è diventato sinonimo di una scrittura raffazzonata, carica di stereotipi e cliché. E, un po’, crescendo, ci si è vergognati degli ardori di un tempo, di aver divorato con fame nevrotica Tre metri sopra il cielo e il suo seguito, di aver visto e rivisto i film che ne sono stati tratti. Ci si è pentiti di aver desiderato uno Step all’uscita di scuola, con il chiodo in pelle e la moto da coatto. Moccia è stato ripudiato, condannato all’esilio dai suoi stessi lettori. Quelli che oggi, con il senno del poi, si sono trovati a levarsi il cappello e porgergli umilmente delle scuse.
Tre metri sopra il cielo non è stato banale. Non è stato una parentesi davanti alla quale provare imbarazzo. È stato il capostipite di ogni teen drama italiano, corrispettivo capitolino - e assai più realistico - di The Oc. 3MSC, come lo si chiamava un tempo, è stato l’archetipo italiano degli amori fra ragazzi, l’unico nel quale ancora oggi ci si possa immedesimare. Federico Moccia, con la scritta gigante sul cavalcavia e i lucchetti a suggellare le relazioni, ha indovinato la misura magica fra realtà e proiezione del reale: fra il presente e il desiderio del futuro più prossimo. Non era impossibile sperare in uno Step. Non era impossibile rivedersi in Babi. Tre metri sopra il cielo era un sogno alla portata di tutti. Chiamava speranza e immedesimazione. Cose, queste, estranee alle serie di oggi, italiane o meno. Di teen drama, nei trentuno anni intercorsi dalla pubblicazione del romanzo, ci siamo riempiti. Ma gli amori sono diventati altro: dinamiche complesse e surreali, spesso estranee alla vita vera di un adolescente. Ben tornato, dunque, Federico Moccia, padre di una storia alla quale tutti - autori e spettatori - dovremmo guardare con gratitudine.