«Puck»: lo show evento di Rai2 tra teatro, musica e grandi talenti
Intervista alla produttrice Cristiana Mastropietro, che ha realizzato lo spettacolo ideato da Massimiliano Bruno, in onda martedì 29 dicembre in seconda serata. La Mastropietro racconta la sua carriera, dagli esordi con Guardì a Il salone delle meraviglie
Ridare voce al teatro, sostenere gli attori e le maestranze fermi da mesi, riaccendere i riflettori sui palcoscenici che regalano emozioni e ricordi. Ruota attorno a questi elementi Puck, la serata evento di Rai 2, in onda martedì 29 dicembre, ideata da Massimiliano Bruno, regista, sceneggiatore e attore di serie come L'Ispettore Coliandro e Boris. A produrre lo show – che avrà tra gli ospiti anche Anna Foglietta, Niccolò Fabi, Edoardo Leo, Vanessa Scalera e Frankie Hi NRG – è la Pesci Combattenti di Cristiana Mastropietro (che ha fondato con l fratello Riccardo e con Giulio Testa), autrice tv e ideatrice di programmi come Le ragazzee Il salone delle meraviglie. «Mi piace mischiare i generi, raccontare storie e guardare la vita da prospettive inedite», racconta la produttrice a Panorama.it.
Partiamo da Puck: com'è nata questa serata evento?
«L'idea è di Massimiliano Bruno che ha voluto mettere assieme talenti vari, attori, performer e giovani promesse dell'arte scenica. Massimiliano insegna, ha un suo laboratorio e conosce bene il teatro e il cinema: il percorso artistico è sempre difficile, essere bravi spesso non basta e in questo periodo chi deve emergere fa ancora più fatica visto che è tutto sospeso e congelato».
Per questo sul palco del Teatro Golden di Roma si alterneranno volti emergenti e artisti affermati, come Edoardo Leo e Vanessa Scalera.
«Abbiamo messo insieme energie diverse in una serata di grande intrattenimento che dà visibilità a giovani attori talentuosi affiancati da attori famosi. Il risultato è un mix perfetto. Massimiliano è un talento eclettico, un creativo che con questa serata dimostra anche tutta la sua generosità».
Puck è una serata unica o avete in testa l'idea di "serializzarla"?
«Mentre ci mettevamo le mani, abbiamo capito che sarebbe facile serializzarlo perché dentro ci sono tanti registri diversi, dal monologo comico al duo, dagli sketch al momento riflessivo, dal teatro classico alla musica live. Il tutto senza grossi allestimenti. La potenzialità per diventare seriale l'avrebbe tutta, ma la decisione finale tocca ai broadcaster».
Rai 2 per altro è stata la sua prima casa televisiva: nei primi anni '90 lei cominciò a lavorare con Michele Guardì. Che scuola fu?
«Dura e rigida, ma i maestri severi poi li ringrazi tutta la vita. Ed io considero Guardì il mio maestro televisivo, quello che mi ha insegnato il mestiere. Con il suo gruppo ho lavorato per otto anni tra Mattina 2,Mattina in Famigliae Mezzogiorno in famiglia. Eravamo tutti giovani tra i 20 e i 30 anni e ci ha insegnato a chiederci perché: perché scegliamo di mostrare una cosa, perché scriviamo una certa cosa in scaletta. È stata la mia scuola dell'obbligo».
Poi decise di esplorare nuovi mondi tv e finì a fare La macchina del tempo con Cecchi Paone: dalla tv pop alla divulgazione scientifica.
«La scienza è sempre stata mia passione. Scelsi di fare quel programma e chiesi a Roberto Giacobbo di farmi avere un colloquio. Andai a Milano per starci sei mesi e invece ci rimasi tre anni. Lì capii che mi piaceva fare cose del tutto diverse: la tv è scatola in cui potevo fare tutto, osare, cambiare generi».
Il suo ritorno a Roma coincise con la nascita di Omnibus, il programma di politica che ancora oggi apre il mattino di La7. Come nacque il progetto?
«Mi considero un co fondatore del programma, ma l'intuizione fu di Tamara Gregoretti, all'epoca vice direttore di La7. Eravamo un gruppo di matti, dieci persone che si misero a fare sei ore di diretta al giorno. Eravamo dei pionieri perché all'epoca parlare di politica alle sette del mattino in tv sembrava un azzardo. Invece la scommessa fu vinta e da noi sfilava tutto il Parlamento».
Altra rete, altro cambio di registro. C'è il suo zampino dietro un gioiellino di Italia 1, Cronache marziane, uno degli show più camp della tv italiana.
«Nel 2004 mi chiamò Gregorio Paolini, altro maestro eccezionale con cui ho fatto cose bellissime. Mi fece vedere il format spagnolo, mettemmo su un piccolo gruppo di lavoro ed ebbi l'intuizione: farlo condurre a Fabio Canino, che avevo visto su Gay tv. Mi piaceva il suo ritmo, la sua capacità di improvvisare. Presi un ritaglio dal Venerdì di Repubblica con la sua foto e la mostrai ai dirigenti della rete: Fabio all'epoca era uno dei pochi gay dichiarati della tv e non era molto conosciuto. A sorpresa la puntata pilota andò benissimo».
Il risultato furono due stagioni ottime, con punte del 23% di share, numeri giganteschi per Italia 1. Perché non si è mai più rifatto?
«Le ragioni per cui un programma, anche se di successo, non si fa più sono tante e spesso insondabili. Quello resta però uno show che ha portato un linguaggio nuovo, una vena di follia, libertà totale, un gusto ultra camp mai più replicato in tv. Quella era certamente un'epoca in cui si rischiava in televisione, oggi non è così».
Lei è stata poi capo progetto de Le invasioni barbariche. Com'era lavorare con Daria Bignardi?
«Quello è un programma cui sono visceralmente legata. Quello con Daria è stato un incontro importante: lei mi chiamava il «ministro della semplificazione», mentre lei tende alla complessità. Quel nostro mix funzionava. Sono stati otto anni incredibili».
Le interviste che le sono rimaste più impresse?
«Difficile sceglierne una. Ricordo quella in cui Loredana Berté raccontò di aver incontrato Bin Laden alla Casa Bianca, o quella in cui Barbara Berlusconi decise di raccontarsi per la prima volta in tv. Ho visto ospiti tremare, qualcuno prendere le gocce prima di entrare in studio: erano davvero interviste barbariche, nessuno riceveva le domande prima e il risultato era inaspettato».
Se la ricorda un'incazzatura clamorosa?
«Quella di Gianni Alemanno, che si arrabbiò quando Daria gli chiese di mostrare la croce celtica che portava al collo. Quello è stato un programma che ha lasciato il segno, da lì in poi l'intervista in tv è stato un genere molto esplorato».
Intende dire copiato?
«No, perché in tv non s'inventa nulla di nuovo. Al massimo direi rielaborato: il tono, il modo, tutto dipende dal conduttore che plasma in maniera diversa la forma».
Cristiana Mastropietro
Ufficio Stampa
Oltre che autrice è anche produttrice e ha fondato Pesci Combattenti con suo fratello Riccardo e con Giulio Testa. Mi dice il vostro format cui è più affezionata?
«Le ragazze è quello in cui mi riconosco di più, perché ci sono tante cose mie. L'altro è Unti e bisunti: è uno dei primi programmi che abbiamo fatto, era un progetto piccolo su rete piccola eppure ci ha permesso di lasciare il segno».
Quanto a Le Ragazze: perché Gloria Guida non è più alla conduzione?
«È una scelta di Rai3 che ha voluto ridimensionare la parte in studio. Gloria secondo me ha dato un valore aggiunto, faceva da collante al racconto con garbo ed eleganza. L'idea di scegliere lei fu di Stefano Coletta, io la sposai subito e si è rivelata una scelta giusta».
C'è un modo garbato e pulito di raccontare le donne e poi c'è quello più pop e sopra le righe de Il salone delle meraviglie, con Federico Fashion Style su Real Time.
«Sono cresciuta nel salone di parrucchiere che aveva mia madre, tutta la mia parte pop viene da lì. Ed è lì che ho conosciuto tutti i tipi di donne: la bella, la ricca, la donna in cerca di riscatto, quella affascinante, la donna tradita, quella tormentata, quella risolta, quella che si mette in gioco per ricominciare. Il parrucchiere è un confessore e Federico incarna al meglio quel ruolo».
Ma chi è stato a scoprirlo?
«L'agente Andrea Di Carlo l'ha proposto a Discovery e loro ci hanno proposto di sviluppare un'idea attorno al personaggio. È bastato girare sette minuti di demo per capire che c'era un grande potenziale. A gennaio parte la quinta stagione e direi che la scommessa è vinta».
L'impressione è che ci sia un lavoro di scrittura forte dietro un programma apparentemente leggero. È così?
«Sì. Scegliamo storie forti e cerchiamo di esaltarle, dandogli i colori potenti che la telecamera è in grado di rendere ancora più vividi. Il cast fisso delle clienti è esattamente così come il pubblico lo vede, non forziamo nulla, idem quelle occasionali: è già tutto sopra le righe, se fingessimo il risultato sarebbe stucchevole».
C'è però chi lo etichetta come programma trash.
«È più ultra pop che trash. Non ci sono insulti, derisioni, umiliazioni, le donne entrano in un modo ed escono sentandosi ancora più belle. Non ha nulla della connotazione trash».
Lei è stata anche capo progetto di Vita in diretta e gli ascolti non furono esaltanti in quella stagione. Lo rifarebbe?
«Sì. Quando ho accettato, mi dicevano "sei pazza, ti faranno fuori". Per me è stato come il militare: dopo un anno ho avuto il congedo illimitato. Io mi sono divertita, nonostante fosse molto faticoso fare tre ore e mezzo di diretta tutti i giorni. La barca in porto l'abbiamo portata e con una squadra eccezionale. Ci sono programmi che vengono meglio o peggio, ma non mi pento di nulla».
In questa stagione state producendo anche Sette Storie, condotto da Monica Maggioni.
«Il programma è prodotto dalla Blu Yazmine, noi facciamo solo la parte della conversazione, preso da La conversation secrète,che tutti amiamo da tempo. Lo sforzo produttivo è grande, realizziamo interviste in mezzo alla strada – con il premier Conte eravamo a mezzanotte sui Fori Imperiali, ad esempio – con i cameraman che salgono su un attico o sfrecciano in monopattino per arrivare all'inquadratura migliore».
Ma c'era davvero bisogno di un format straniero, in questo caso francese, per un programma d'interviste?
«È una domanda che non mi pongo nemmeno. C'è una persona che questo programma l'ha scritto con una messa in scena peculiare e l'ha depositato: da autrice le dico che è giusto riconoscere la proprietà intellettuale. Necessario o meno, è giusto».
A quali progetti state lavorando ora?
«Lavoriamo a due progetti di cui non posso dire nulla se non che uno è molto pop e l'altro è un po' meno pop. Anche se la tv, per come la vedo io, ha sempre il dovere di essere pop e di parlare a tutti i tipi di pubblico, senza inutili elitismi».
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