Sanremo 2024: Geolier trionfa su Angelina Mango e Annalisa tra i fischi dell’Ariston
La serata dei duetti regala emozioni, come previsto, compreso il ritorno dei Jalisse
I fischi dell’Ariston parlano da soli. Difficilmente si rivedrà in televisione qualcosa di talentuoso, speciale e doloroso come La Rondine di Pino Mango cantata da sua figlia.
Un pugno nello stomaco arrivato dritto a Geolier che si aggiudica una serata cover che si rivela essere, non a sorpresa, la più divertente della saga che è Sanremo.
Geolier incassa il colpo come solo un artista sa fare. A testa bassa sale sul palco, ringrazia, si esibisce. La colpa, di certo, non è sua ma di quello pseudo fanatismo di cui è impregnato il mondo della musica - non mentiamo a noi stessi, non solo italiano - e che porta a scegliere spesso il proprio idolo e a nascondere sotto il tappeto tutto io resto.
Musica a parte, i duetti convincono. Sono forse uno dei passaggi più azzeccati del Festival.
Annalisa fa dimenticare ai fan del K-pop la cover di Sweet Dreams di JYP portando un piccolo capolavoro in Rai, così come l’Halleluja dei Santi Francesi con Skin. Arriva al cuore Mr.Rain con l’attualissima Mary e i Gemelli Diversi, distrugge gli schemi Big Mama con la sua versione di Lady Marmalade.
Menzione speciale alle incursioni di Fiorello ma soprattutto a Lorella Cuccarini, presenza discreta ma di spessore che unisce storia della televisione italiana e della moda sanremese in una co-conduzione che fa sperare in un Festival al femminile.
I duetti premiano e mostrano anche le fragilità degli artisti. Dimostrano che “il nuovo” spesso non è la soluzione e che, l’Italia nutre una certa nostalgia della musica che fu.
Vecchioni e Alfa commuovono. Gli occhi del giovane cantante che osserva il maestro al suo fianco estasiato non hanno prezzo e lo portano dritto in classifica.
E poi Gigi D’Agostino dalla Costa, Arisa dal palco esterno, il ritorno dei Jalisse e Beppe Vessicchio. C’è un che di fortemente nostalgico in questa serata che servirà da monito per il prossimo Festival e che nemmeno il “trip e la marijuana” cantati da Geolier possono contrastare. Perché i Fiumi di Parole hanno superato l’insuperabile, mostrando la fragilità di un Festival che forse ha bisogno di una svolta nostalgica prima di rinascere come una Fenice.