Squid game recensione seconda stagione anteprima
(Netflix)
Televisione

Squid Game 2: la recensione

Abbiamo visto in anteprima gli episodi della seconda stagione della serie rivelazione di Netflix. L’arena non delude e lo show resta spettacolare

Alla settima puntata il dubbio che si siano sprecate sette ore della propria vita, legettimamente, può venire. Ma quando si parla di Squid Game, la serie sudcoreana che ha riscritto la storia della serie tv di tutto il mondo, non è mai davvero tempo perduto. Anzi.

Partiamo da una considerazione fondamentale e un consiglio. Come tutte le “seconde stagioni”, la storia raccontata mostra tutte le sfaccettature di una serie di mezzo che accompagna verso il gran finale. Non lasciatevi dunque intimorire se - inizialmente - e un po’ anche alla fine, rimarrete confusi con un dolce amaro in bocca. È tutto normale. Il consiglio, invece, e se potete concedervi il lusso in queste feste, è di isolarvi nel mondo di Squid Game per sette ore consecutive e concedervi una vera e propria full immersion nel “gioco del calamaro”. Come direbbero i veri fan: donatevi il tempo di fare bingewatching. Non ve ne pentirete.

Iniziamo da quello che tutti sanno. Tre anni dopo aver vinto lo Squid Game, il Giocatore 456 - interpretato da Lee Jung Jae che torna un una forma smagliante - rimane determinato a trovare le persone che stanno dietro a questo gioco e a porre fine al loro sport malvagio. Utilizzando i soldi che ha vinto per finanziare la sua ricerca, Gi-hun inizia dal luogo più ovvio: cercare l’uomo in abito elegante che gioca a ddakji nella metropolitana. Ma quando i suoi sforzi producono finalmente dei risultati, la strada per distruggere l’organizzazione si rivela più letale di quanto immaginasse: per porre fine al gioco, deve rientrarvi.

Ed è così che ci ritroviamo di nuovo catapultati nell'arena più letale al mondo, in un rincorrersi di giochi che hanno il sapore malinconico del passato declinato su un presente in cui la sete di soldi, i debiti e i lati negativi della società coreana tornano a controllare le menti dei giocatori facendogli dimenticare anche quel pizzico di umanità.

È una storia già raccontata, eppure, che cambia. Radicalmente. Nuovi giocatori e volti noti. Nuovi giochi, alcuni vecchissimi, e grandi ritorni. E un teatro di sangue che lascia a tratti - per la prima volta in due stagioni - con il fiato sospeso.

Il visionario regista Hwang Dong-hyuk ritorna alle redini del progetto. In seguito alla sua storica vittoria ai 74esimi Emmy, primo asiatico ad aggiudicarsi la Miglior Regia in una Serie Drammatica, Hwang riprende il suo ruolo di regista, scrittore e produttore. Lee Jung-jae, Lee Byung-hun, Wi Ha-jun e Gong Yoo riprendono i loro ruoli dalla Stagione 1, affiancati da un nuovo ricco cast di personaggi che include Yim Si-wan, Kang Ha-neul, Park Gyu-young, Lee Jin-uk, Park Sung-hoon, Yang Dong-geun, Kang Ae-sim, Lee David, Choi Seung-hyun, Roh Jae-won, Jo Yu-ri e Won Ji-an.

E sono tutti questi illustri nomi il fiore all'occhiello di questa stagione. Menzione d'onore, indubbio, a Park Sung-hoon la cui interpretazione di un uomo in transizione possiamo scommettere sarà una delle chiavi per spegnere definitivamente la macchina dell'arena. E pou c'è Kang Ha-neul, in un'interpretazione così variegata e dettagliata che conferma solo la potenza di questo attore davanti alla macchina da presa. Eccellenza anche con Chiu Seung-hyun, T.O.P dei BigBang, che porta il lato folle del K-entertainment nell'universo di Squid Game. La sua interpretazione di un rapper fallito è così realistica da volere sempre di più.

La vera potenza di questa stagione, a fronte di alcuni passaggi indubbiamente deboli e confusionari se non si è veri fan della saga, è che nei sette episodi di Squid Game due si intrecciano vite in uno strambo e malato gioco del destino che fa ritrovare vittime e carnefici, veri o presunti, tutti con la stessa tuta verde e un numero sul petto.

Se lascia senza particolari emozioni il ruolo di Wi Ha-joon. Hwang Jun-ho è un detective di buon carattere e determinato che trascorre la Stagione 1 alla ricerca di suo fratello scomparso, In-ho. Quando Jun-ho scopre che In-ho era un concorrente nel misterioso gioco, va sotto copertura come lavoratore per saperne di più. Il Jun-ho che nella prima stagione è inorridito da ciò che trova e riesce a fuggire dal complesso di Squid Game con le prove dell'orribile competizione, nella seconda tornata continua a cercare l'isola senza successi. Nonostante la prima stagione si chiuda con Jun-ho che si rifiuta di arrendersi a suo fratello, In-ho gli spara e Jun-ho cade da un dirupo, apparentemente alla sua morte. Tuttavia, come ha mostrato il promo per la Stagione 2, Jun-ho è sopravvissuto e come vi abbiamo preannunciato cercherà allo stremo delle forze l'isola maledetta. Il suo capitolo, tuttavia, è talmente scarsamente raccontato da passare inosservato. Con grande dispiacere per una side-story che speriami trovi lo spazio che merita nella terza stagione.

Interessante invece il dettaglio delle tute rosa. Dalla prima stagione abbiamo scoperto che i giochi si svolgono in un enorme complesso su un'isola deserta da qualche parte al largo della penisola coreana. Sono un'operazione elaborata che richiede di portare sia lavoratori che concorrenti. I lavoratori indossano tute rosa con maschere che nascondono sia la loro identità che il loro status di lavoratore. Dal livello più basso al più alto: i cerchi sono addetti alla manutenzione. I triangoli sono soldati. I quadrati sono manager. Alcuni dei lavoratori hanno un trambusto secondario, raccogliendo gli organi da concorrenti deceduti o morenti in vendita sul mercato nero. A guidarli c'è il Front Man che supervisiona tutti i lavoratori di Squid Game, assicurandosi che tutto funzioni senza intoppi in quella che è essenzialmente una serie di massacri. Ospita anche gli uomini ricchi che vengono a guardare la partita di persona, scommettendo sui risultati. The Front Man inizia la prima serie come una figura misteriosa, ma alla fine apprendiamo che è il vincitore del 28° turno degli Squid Game che ha avuto luogo nel 2015. Dopo aver vinto, è stato reclutato per entrare a far parte dell'operazione. Si chiama Hwang In-ho, ed è il fratello di Hwang Jun-ho (Wi Ha-joon). Il suo ruolo sarà uno delle più grandi sorprese di questa seconda stagione che promette più thriller e sangue (e, vi assicuriamo, non vi deluderà sotto questo punto di vista).

E che dire degli altri giocatori? Mentre il numero 456 cerca di salvare loro la vita, il fascino del montepremi milionario sembra troppo difficile da resistere. Dove un certo 001 era riuscito nella prima stagione a dare una seconda chance ai giocatori, i protagonisti dell'arena di quest'anno - forse complici debiti ancora più astronomici - appaiono ancora più determinati a vincere, esplodendo in episodi di frustrazione e rabbia per i "troppi pochi morti”. È la legge del gioco e abbastanza per instillare il dubbio nello spettattore che il gioctore 456 sia solo un Don Quixote e che Squid Game sia impossibile da difendere. Ma in fondo è così che nascono gli eroi...

Se dovessimo dare un voto a Squid Game due non saremmo in grado di farlo. E non perché la serie non ci consenta di farlo ma perché valutare Squid Game è surrealmente impossibile. Capolavoro contemporaneo, piace e non piace allo stesso tempo lasciando sempre lo spettatore in dubbio ma con il perverso desideri, come nel gioco narrato, di volerme sempre di più.

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Marianna Baroli

Giornalista, autore

(Milano, 1986) La prima volta che ha detto «farò la giornalista» aveva solo 7 anni. Cresciuta tra i libri di Giurisprudenza, ha collaborato con il quotidiano Libero. Iperconnessa e ipersocial, è estremamente appassionata delle sfaccettature della cultura asiatica, di Giappone, dell'universo K-pop e di Hallyu wave. Dal 2020 è Honorary Reporter per il Ministero della Cultura Coreana. Si rilassa programmando viaggi, scoprendo hotel e ristoranti in giro per il mondo. Appena può salta da un parco Disney all'altro. Ha scritto un libro «La Corea dalla A alla Z», edito da Edizioni Nuova Cultura, e in collaborazione con il KOCIS (Ministero della Cultura Coreana) e l'Istituto Culturale Coreano in Italia.

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